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È un approfondimento che parte da una mia esperienza personale, e che per questo mi ha coinvolta in prima persona. Ora conosco di più sul tema dell'integrazione, che oggi è di grande attualità .
Materie trattate: filosofia, Italiano, Tedesco
Liceo-Ginnasio F. Petrarca
Anno Scolastico 2006/2007
I DIVERSAMENTE ABILI NELLA
NOSTRA SOCIETÀ
Classe III G
Federica Zanotto
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Indice
Introduzione...........................................................................................................................................pg. 3
Filosofia...................................................................................................................................................pg. 5
Italiano.....................................................................................................................................................pg. 9
Tedesco....................................................................................................................................................pg. 15
Traduzione dal tedesco........................................................................................................................pg. 19
Bibliografia..............................................................................................................................................pg. 23
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Introduzione
Nella mia tesina ho deciso di occuparmi della disabilità nella società occidentale attuale
innanzitutto perché vivo, in prima persona, a contatto con ragazzi diversamente abili. Da circa
tre anni svolgo, infatti, un'attività di volontariato, che mi ha permesso di conoscere, per la
prima volta, un mondo nuovo, che anche a me fino a quel momento era del tutto sconosciuto.
Prima non mi rendevo conto di cosa volesse dire condividere la propria vita, la scuola, lo sport,
gli amici, con persone diverse da quelle cui noi siamo solitamente abituati.
Poi, però, il mio modo di accostarmi agli altri e anche a me stessa è cambiato: ho imparato ad
apprezzare anche “il diverso”, e a valorizzare i lati positivi delle persone che mi circondano.
Quest'anno ho deciso, quindi, di approfondire questo argomento, così importante e reale,
anche dal punto di vista scolastico, attraverso questa traccia.
Dapprima ho analizzato come filosofi, psicologi e psichiatri del secolo scorso abbiano
affrontato tale tema, partendo da Alfred Adler all'inizio del '900, fino ad arrivare alla fine
degli Anni '80 con gli studiosi Ruggero Sicurelli ed Annalisa Zabonati. Riguardo alla disabilità,
ho riscontrato opinioni abbastanza concordi; tutti, infatti, sottolineano che la separazione tra
abile e diversamente abile non è poi così evidente. Più precisamente, si può affermare che, dal
punto di vista psicologico, ogni soggetto può presentare una percezione di inferiorità di se
stesso rispetto ad altri in determinati settori, come ad esempio lo sport, la musica, la scuola,
il lavoro. Questi studiosi prendono, dunque, in considerazione atteggiamenti che sono
patologici in persone diversamente abili, ma che, in modo ridotto, possono essere presenti
anche in individui abili.
Ho poi voluto considerare come il tema della disabilità venga affrontato nella letteratura
italiana, nella quale ho trovato esempi molto significativi che si basano su storie realmente
accadute. E' il caso del bambino dislessico del romanzo “Mio figlio non sa leggere”, che grazie
al padre riesce a superare in parte il suo handicap e ad inserirsi tra i suoi coetanei. Di rilievo
è anche la storia d'amore, raccontata in prima persona da Barbara Jacobs, tra l'autrice e un
uomo affetto dalla sindrome di Asperger, una forma di autismo. Infine, credo che essenziale
sia il collage di testimonianze raccolto dagli autori di “Diversabilità”, pubblicato proprio nel
2000, Anno Europeo della Disabilità. Nel libro intervengono sia abili che diversamente abili,
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accomunati dalla lotta per uno scopo comune: l'integrazione.
In seguito a tutte queste letture, mi sono resa conto che in Italia si sta formando una
sensibilità sempre crescente per il mondo dei diversamente abili, e ritengo che ciò sia molto
importante e positivo in un'epoca in cui l'accettazione del “diverso” è indispensabile.
Ho successivamente messo a confronto ciò che caratterizza la nostra società e quella
tedesca. In questa lingua ho letto due romanzi che raccontano di rapporti di amicizia e
solidarietà tra ragazzini abili e diversamente abili. Mi sembra molto singolare il fatto che
nella lingua tedesca non esista una esatta traduzione del neologismo italiano “diversamente
abile”. Non credo, però, che ciò rispecchi una minore attenzione per questo tema; infatti,
benché privi di questo termine, i romanzi sono entrambi portatori di messaggi di umanità nei
confronti dei più deboli e di cooperazione con chi ci circonda. I ragazzi dimostrano di essere
capaci di guardare oltre le diversità, e di instaurare amicizie profonde basate sul rispetto
della personalità di ciascuno.
Credo che questo lavoro mi abbia innanzitutto arricchito, perché mi ha permesso, con l'aiuto
dei miei insegnanti, di avvicinarmi ad un argomento per me molto importante anche nel campo
della letteratura, della filosofia e della psicologia.
Ritengo, infine, molto positivo il fatto che sia nella letteratura italiana che in quella tedesca
sia presente un'apprezzabile attenzione agli individui diversamente abili, perché ciò
rispecchia anche una sensibilità da parte della società stessa.
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FILOSOFIA
Filosofi, psichiatri e psicologi hanno preso in considerazione, a partire pressappoco dal secolo
precedente, atteggiamenti e condizioni di individui diversamente abili. Mi sono dapprima
documentata sullo studio di Alfred Adler, filosofo e psichiatra dell'inizio del '900. Egli
analizza in particolar modo i bambini, la loro sensazione di inferiorità rispetto agli adulti e la
possibilità che questa percezione aumenti a tal punto da divenire patologica.
Agli Anni 80' risalgono invece le analisi degli psicologi Gente, Sicurelli e Zabonati e dello
psichiatra De Ajuriaguerra. Tutti, partendo da punti di vista diversi, affermano che in realtà
il confine tra abili e diversamente abili non risulta netto e marcato come può sembrare.
Anche se è passato più di mezzo secolo, dunque, sembra che la posizione adleriana sia
condivisa anche da questi altri studiosi; ossia non ci si riferisce soltanto ad individui che
evidenziano comportamenti apertamente patologici, ma anche ad ognuno di noi, poiché tutti
abbiamo vissuto, in qualche momento della nostra vita, la percezione di essere inferiori
rispetto agli scopi che ci eravamo prefissi.
In “Tendenza al fine della vita psichica” Adler analizza lo sviluppo del bambino a partire dai
primi anni di vita e, in particolar modo, i problemi che si possono presentare in seguito ad
atteggiamenti sbagliati da parte degli adulti nei suoi confronti.
Egli sottolinea il fatto che il bambino ha un grandissimo bisogno di sicurezza, e fa di tutto per
procurarsene sempre più. “Non ci vuol molto a riconoscere quanto solida sia la sicurezza
desiderata dal bambino”. Essa, inoltre, non è legata soltanto alla paura del pericolo, bensì alla
vera e propria “conservazione dell'organismo umano”. Il bambino tende, dunque, a cercare
forme di sicurezza che sono ancora maggiori rispetto a quelle che gli sono realmente
necessarie; esige, infatti, “un sovrappiù che vada al di là di quanto sarebbe necessario per il
suo tranquillo sviluppo”.
Questo perché in lui può subentrare la comune paura di non essere all'altezza, la quale si nota
soprattutto nel bambino in cui, per qualche motivo, un pessimismo diffuso prevale: non ha
fiducia nelle sue capacità, dimostra “indecisione, timidità, chiusura e diffidenza, e tutti quegli
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altri tratti mediante cui quel debole cerca di difendersi.”
Già dalla nascita, può manifestarsi, nel bambino, un senso di inferiorità che lo induce ad
assumere spesso atteggiamenti ostili verso l'ambiente che lo circonda. Adler sostiene che ciò
sia causato “dalle molteplici privazioni”, e che dovrebbe essere poi superato grazie al senso
comunitario che lo lega ad altri uomini. Molti tendono a colmare questa inferiorità richiamando
su di sé l'attenzione dei propri genitori, che li gratifica nel loro desiderio di
autoaffermazione. I bambini riescono così a superare il loro complesso di inferiorità e quindi a
sviluppare la loro personalità in modo più sereno.
C'è tuttavia il rischio che lo sviluppo sia distorto, che permanga cioè un senso di inferiorità
eccessivamente marcato. Ad esempio, se “si pretende troppo da un bambino, gli si evoca con
maggior rilievo nell'anima il sentimento della sua nullità. Altri bambini sono in continuazione
fatti attenti sul loro scarso significato, sulla loro piccolezza e inferiorità. Altri vengono usati
come giocattoli, come divertimenti, o vengono considerati come un bene da proteggere con
ogni cura, o si considerano come una pesante zavorra.”
Molti atteggiamenti, apparentemente innocui, di adulti nei confronti di bambini, possono quindi
provocare dei danni anche gravi ai soggetti che sono più indifesi nei confronti degli adulti per
il modo diverso e più insicuro di percepire ciò che li circonda.
Le conseguenze possono essere talmente profonde da protrarsi fino all'età adulta e possono
assumere forme molto differenti tra loro. Il bambino, infatti, come ricorda Adler, può
continuare a sentirsi inferiore e a non consolidare la sua autostima; oppure sviluppare, in
contrasto, una eccessiva tendenza al potere, che prevale sul “senso comunitario”. Tale
tendenza è subdola e latente: i bambini, “avvantaggiandosi del bene che loro si vuole e dei
teneri sentimenti che si hanno a loro riguardo, cercano di metterla in opera in maniera
nascosta.” Tale tendenza può causare danni alla vita psichica del soggetto, “cosicché [...] il
coraggio può diventare insolenza, l'obbedienza vigliaccheria, mentre riescono a trasformare la
tenerezza in astuzia con cui ridurre gli altri alla remissività, all'obbedienza, alla
sottomissione”.
Adolfo Gente è ben consapevole che una relazione o una collaborazione con individui
diversamente abili non è affatto semplice e facile da gestire; tuttavia, attraverso queste
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difficoltà, si può giungere ad una forma più serena di convivenza, perché queste persone sono
in grado di comunicare con noi, cosiddetti “normali”, anche se a volte nessuno se ne accorge. “I
diversi, gli handicappati, non sono quelli, come qualcuno afferma, che comportano solo i
problemi insormontabili, ma anche coloro che sono portatori di una «nuova cultura».”
A suo avviso l'inizio dell'emarginazione dei soggetti diversi comincia a scuola, dove “la maestra
si difende da tutta una serie di angosce che le crea non solo l'impatto con un altro mondo
culturale, ma anche l'insicurezza della propria preparazione psicopedagogica e il mito
dell'autorità che ricopre”.
Molti individui abili si potrebbero identificare con questa maestra, se non comportarsi in modi
ancor più distaccati; e questo magari perché hanno paura del diverso, non credono nelle
capacità di questi individui e sono convinti di non riuscire ad instaurare nessun tipo di
rapporto con soggetti “diversi”.
Per quanto riguarda la psicologia del diversamente abile, De Ajuriaguerra ritiene che sia
“collegata alla frustrazione che implica l'infermità. Essere frustrato significa essere deluso
nella propria aspettativa, ed il soggetto non trova quello che cerca, attende, spera, perché un
ostacolo si interpone tra lui ed il suo fine”.
Il soggetto diversamente abile può percepire, quindi, una sua mancanza o incapacità, e di
conseguenza si sente a disagio. Trovo che questo comportamento non sia tuttavia proprio solo
dei soggetti diversamente abili, bensì di ognuno di noi: come osservava anche Adler, se non
riusciamo, per esempio, a giocare come gli altri a calcio, o a pallavolo, ci sentiamo frustrati e a
disagio rispetto agli altri, proprio perché una nostra mancanza ci diversifica più o meno
sensibilmente da chi ci circonda.
Come sostiene Ruggero Sicurelli, “la vita è uno strumento per creare valori”, di conseguenza
“dovremmo essere a disposizione degli altri per essere coinvolti in progetti capaci di far