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Tesina - Premio maturità 2009
Titolo: Genialità e Follia
Autore: Ciurla Diana
Descrizione: genialità e follia sono da sempre un binomio che affascina l'umanità ; vittima anch'io del fascino che i tarli della mente sanno esercitare, ho riunito in poche pagine alcuni dei geni dell'arte e della letteratura, mettendo in evidenza come la follia
Materie trattate: Italiano, Storia, Inglese, Arte, Filosofia
Area: umanistica
Sommario: Italiano- Alda Merini (Il dottore agguerrito nella notte); Arte-Jackson Pollock; Filosofia-Sigmund Freud; Inglese- Virginia Woolf; Storia- Storia dei manicomi. Tutti gli argometi trattati hanno per filo conduttore la pazzia, o comunque lo stato mentale delicato degli autori, passando per una breve storia di quelli che sono stati i manicomi dal medio evo alla legge Basaglia e toccanto l'ambito filosofico-psicoanalitico con Freud.
Genialità e Follia
Premessa
Il tema della follia da sempre affascina l’essere umano, in particolar modo nel
periodo romantico, nel quale viene associata alla passione amorosa, al genio,
che permette all’individuo di uscire da sé per meglio esprimere la propria
interiorità e per stabilire un contatto più intenso con la propria Essenza
creando cosi autentici capolavori, ed infine viene associata alle pulsioni
sepolte nella coscienza, che negli anni successivi verranno analizzate dalla
psicoanalisi. Ecco dunque che si forma un interessante binomio: Genialità e
Follia, due aspetti dell’essere umano che sembrano rafforzarsi a vicenda e
che permettono all’individuo di raggiungere una condizione non comune a
molti; la creazione artistica abbraccia la follia, non chiudendo l’abisso del caos
come fa la razionalità, lasciando cosi emergere le parole liberamente. Sarà poi
la ragione a tentare di riordinarle. È proprio per questo motivo che spesso le
opere, sia si tratti di poesia, di quadri, oppure di scritti prosaici, risultano
difficili da comprendere. Gli artisti sono in grado di percepire cioè che l’uomo
si preclude usando ragione e razionalità, ciò che sta al di là di ogni schema
preposto, cercando di racchiudere queste sensazioni e di esprimerle con gli
strumenti a loro disponibili: la parola nel caso dei Poeti, la musica per i
compositori e cosi via.
Il binomio Genialità e Follia viene preso in considerazione fin dall’antichità,
quando Platone per primo nota la maniacalità del temperamento artistico ed
arriva a distinguere lo squilibrio psichico vero e proprio dall’entusiasmo
creativo, il divin furore, che ispirava poeti e veggenti.
Nonostante il passare del tempo il problema non ha perso di fascino ed
importanza nella società e tutt’ora è argomento di dibattiti.
Nel corso dell’Ottocento le diagnosi cliniche rafforzano le idee platoniche sul
collegamento tre Genio e Follia e teorie di psicologi come Moreau (1804 –
1884), Lombroso (1836 – 1909), Moeius ( 1853 – 1907) ebbero una notevole
influenza sugli psichiatri del nostro secolo.
“La Follia è la virtù dei Geni”
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Genialità e Follia
Anonimo
La concezione di Follia nel corso
della storia
"La follia è la condizione più diffusa tra gli uomini."
Erasmo Da Rotterdam
Dopo la concezione platonica, che vedeva la Follia come strumento utile alla creazione
artistica, l’argomento non è certo stato accantonato ed ha preso punti di vista diversi nel
corso dei vari periodi storici.
Periodo Medioevale: tra scienza e magia
Alla fine del II secolo d.C. si affermano nel mondo della medicina europea le idee di
Galeno di Pergamo, medico di origini greche che visse ed operò presso le corti latine di
Marco Aurelio, Lucio Vero e Settimio Severo. Rifacendosi alle teorie ippocratiche secondo
le quali la malattia e la salute di una persona dipendevano da fattori e circostanze umani e
non da superiori interventi divini, trova come causa del disturbo mentale uno squilibrio
umorale del cervello, dando dunque una spiegazione organica della malattia mentale.
Alle teorie scientifiche su contrappongono quelle legate alla magia, arte fortemente
praticata durante il Medioevo. Secondo la superstizione il disturbo mentale era da
collegarsi al contatto con particolari soggetti ed animali oppure riconducendolo alle varie
congiunzioni astrali. I rimedi prevedevano l’uso di amuleti e di speciali formule o
l’attuazione di riti magici.
Una terza spiegazione arriva dal mondo della religione, per il quale il soggetto che
manifesta disturbi psichici è posseduto da spiriti maligni oppure viene classificato come
indemoniato. In questo caso interviene l’intera comunità religiosa pregando, richiedendo
un esorcismo oppure arrivando addirittura a perseguitare i soggetti ed a condannarli al
rogo.
Questa ultima spiegazione è quella che avrà maggior successo nel periodo medioevale, in
cui la follia sarà vista come segno del peccato. Il folle però è anche visto come persona in
grado di vedere realtà superiori, colme di misteri ed è dunque associato alla figura del
mago. È per questo motivo che a partire dalla fine del 1400 molte persone furono bruciati
sul rogo, accusati di stregoneria. Tra loro molti erano affetti da disturbi mentali.
1600 e 1700: il grande internamento
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Genialità e Follia
Durante questo periodo le città si sviluppano prendendo le forme proprie della civiltà
moderna. Parigi è la città che ha maggiore influsso sul resto dell’Europa e ciò che avviene
nella capitale francese troverà riscontro nel resto del continente. L’Hospital General ed altre
strutture simili liberate ormai dai lebbrosi, vengono utilizzate per ospitare i soggetti rifiutati
dalla società. Vengono qui relegati libertini, prostitute, maghi, mendicanti, omosessuali,
aspiranti suicidi, sifilitici, atei e folli. Tutte quelle categorie quindi che vanno contro la
razionalità tipica del Seicento.
Inizialmente non si tratta di una istituzione medica, nonostante il nome, ma di una
istituzione amministrativa con poteri autonomi. Nel 1650 un parigino su cento vi si troverà
rinchiuso.
Gradualmente viene a perdersi l’individualità del soggetto ed il folle, il povero ed il
criminale vengono posti sullo stesso piano: tutti e tre sono visti come una minaccia per la
comunità. È però anche la prima volta che la società si fa carico della follia in quanto tale.
1800: nascita del manicomio
Dopo la massificazione che ha caratterizzato i secoli precedenti, con l’arrivo
dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese si ha finalmente una separazione tra i folli ed i
criminali e riprendono le teorie scientifiche sulla follia come vera e propria malattia,
pensando anche al trattamento in termini medici.
Fu Philippe Pinel a separare i folli dai criminali creando il primo manicomio, istituzione che
si basa su obbiettivi di cura dei pazienti e di ricerca medica. È tuttavia ancora forte il
legame con i reclusori del passato a causa della persistenza dell’idea di controllare i malati,
soggetti che la società ancora non accetta e tenta di escludere.
Prima metà del 1900: nascita della psicoanalisi
Nel 1904 viene in Italia formulata la prima legge nazionale sull’assistenza psichiatrica. Essa
però parla più del mantenimento di un ordine pubblico che dell’assistenza sociale vera e
propria, anteponendo la protezione sociale alle cure mediche di cui i paziente
necessiterebbero. I ricoverati sono quindi persone ritenute pericolose e “di pubblico
scandalo”. Il paziente psichiatrico assomiglia molto ad un detenuto ed il suo ricovero viene
stabilito dalla Magistratura o dalla Questura locale. Spesso l’internamento era a vita e ciò è
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Genialità e Follia
dovuto al fatto che il direttore del manicomio fosse responsabile del paziente dimesso dal
punto di vista penale e civile.
L’istituzione manicomiale perfeziona sempre più le proprie tecniche di reclusione arrivando
ad isolare non solamente i pazienti, ma anche se stessa, divenendo cosi una Istituzione
totale specializzata nella funzione sociale di “contenitore della follia”, ma priva di un
programma di cura e di riabilitazione.
Verso la fine degli anni Trenta cominciano a diffondersi le terapie di shock, secondo
l’ipotesi che un trauma elettrico ipoglicemico potesse avere effetti terapeutici.
Nello stesso periodo storico, in cui l’istituzione manicomiale resta pressoché immobile e
vittima di pregiudizi sociali, si avvia la più grande rivoluzione storica nel campo della
psicologia ed il primo nome da ricordare è quello del neurologo austriaco Sigmund Freud.
Il cambiamento però non è portato avanti da una sola persona o solamente dalla nascita
della psicoanalisi; esso comprende anche studi di antropologia e della fenomenologia, che
permettono di comprendere meglio il concetto di identità personale, del rapporto tra
individuo e società e di delimitare i confini tra salute e malattia mentale.
Seconda metà del 1900
Dalla seconda metà degli anni Cinquanta viene introdotta la somministrazione di
psicofarmaci i quali, indipendentemente dagli esiti curativi, hanno l’effetto di attenuare i
sintomi e dunque di rendere controllabili i momenti di crisi. Risultano essere un ulteriore
strumento di controllo sul paziente.
Alla fine della seconda Guerra Mondiale, sulla scia dei progressi teorici, si sviluppano le
prime comunità terapeutiche, che pongono come elemento fondamentale per la cura lo
stretto rapporto tra il personale ed i pazienti, i quali partecipano alle attività della comunità
e contribuiscono alle decisioni che li riguardano. Si ha dunque un radicale cambiamento
rispetto alle istituzioni precedenti, che si ponevano come obbiettivo principale il controllo
sui pazienti.
Nello stesso periodo prendeva vita in Francia la psichiatria di settore.
Sono iniziative con una sistematicità ancora da perfezionare, ma si distaccano da quelle
precedenti superando il pregiudizio secondo il quale la malattia mentale deve essere vista
in chiave organicistica aprendo cosi la strada ad interpretazioni che prendono in
considerazione il contesto sociale e le componenti psicologiche individuali.
Si avvertono cosi sempre più i limiti della psichiatria ottocentesca ed è in questo scenario
che si inserisce il movimento italiano di negazione delle istituzioni manicomiali, criticate in
quanto non curano il paziente ma contribuiscono allo sviluppo della sua patologia a causa
dei metodi di cura adottati.
Cosi, nel 1968 viene approvata la legge Mariotti, con la quale vengono istituiti enti
ospedalieri con vaste finalità ospedaliere e classificati gli ospedali per specialità ed
importanza (comunali, regionali, provinciali) ed edificati preferibilmente nelle zone
periferiche delle città, per godere di ari pulita, sfuggendo cosi all’inquinamento causato da
officine ed industrie. In seguito all’approvazione della legge Mariotti viene costituito il
Fondo Nazionale Ospedaliero e attribuita ad ogni regione il compito di emanare norme
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Genialità e Follia
legislative riguardanti l’assistenza sanitarie ed ospedaliera, nei limiti stabiliti dalle leggi
dello Stato Italiano.
È tuttavia ancora una fase di passaggio, perché è con la legge 180/78 conosciuta come
legge Basaglia e approvata dieci anni più tardi, che il percorso si compie. Questo
provvedimento impone la chiusura dei manicomi e regolamenta il trattato sanitario
obbligatorio, istituendo servizi di igiene mentale pubblici. Successivamente la legge confluì
nella legge 883/78 che istituì il Servizio Sanitario Nazionale:
“ La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e
interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale.
La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della
dignità e della libertà della persona umana.”
Articolo I (i principi, punti 1-2)
Grazie al lavoro di Franco Basaglia, diventato direttore dell’ Ospedale Psichiatrico di Trieste,
ed al suo impegno nella riabilitazione nei manicomi e nella preparazione di un adeguato
servizio territoriale esterno al manicomio, nel 1977 avviene la prima chiusura a livello
mondiale di un manicomio.
Finalmente l’attenzione viene incentrata sulla malattia del paziente che viene seguito ed
assistito a domicilio e presso gli ambulatori per la terapia ordinaria. Sono inoltre previsti
bravi ricoveri qualora si presentasse una crisi. Coloro che erano destinati ad una reclusione
permanente possono tornare in famiglia oppure in piccole comunità.
La legge Basaglia introduce quindi porta allo smantellamento dei manicomi in quanto non
possono essere considerati come luoghi di cura, all’introduzione di un’assistenza a livello
territoriale, al rispetto della persona sofferente ed alla fiducia nella possibilità di essere
curata. Inoltre si supera anche l’idea secondo la quale il folle sarebbe un soggetto
pericoloso per la società, idea sulla quale si basavano i manicomi; si prende coscienza
anche del fatto che, per superare il problema esso va affrontato dove nasce il disagio,
quindi nella società e non fuori da essa.