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Introduzione Fuga dei cervelli tesina
Ho scelto di trattare nella tesina della fuga dei cervelli perché è un tema sempre attuale. Fin da quando l’uomo ha scoperto nuove terre, infatti, ha sempre avuto la voglia di fuggire dalla propria terra natale alla ricerca del nuovo. Basti solo pensare quando, nel 1492, venne scoperta l’America: molte persone, chi per un motivo economico, chi per altri, vollero trasferirvisi.
Col passare degli anni i motivi delle fughe dei cervelli sono cambiati: se nella prima metà del ‘900, in Europa, si fuggiva di casa per colpa delle guerre, oggi si fugge all’estero a causa della poca disponibilità di lavoro, soprattutto in Italia. Sono principalmente i giovani, ricchi di speranze e di energie, a tentare la fortuna nelle terre oltralpi, e molti di essi la trovano.
Questo non è l’unico motivo, molti scienziati si trasferiscono all’estero dove si hanno maggiori possibilità di trovare fondi ed attrezzature per condurre nuove ricerche.
Inoltre si può fuggire anche per cause completamente diverse: come la stesura di un libro, che, per motivi religiosi, può valere la pronuncia di una condanna a morte.
Non solo gli italiani fuggono dalla propria patria, ma sono numerosi i profughi che attraversano il Mediterraneo per scappare dalle zone di guerra ed arrivare sulle nostre coste in cerca di u a migliore aspettativa di vita.
Collegamenti
Fuga dei cervelli tesina
Storia -
Un esodo continuo dal Bel Paese
Fisica -
WILHELM CONRAD ROENTGEN: un ingegnere alla scoperta dei RAGGI X
.Inglese -
Salman Rushdie: a runway author
.RAGGI X
Inglese……………………………………………………………………
………………………………………10
SALMAN RUSHDIE: a runway author
Bibliografia &
sitografia…………………………………………………………………
…………….11 PREMESSA
Ho scelto di trattare della fuga dei cervelli perché è un tema sempre attuale.
Fin da quando l’uomo ha scoperto nuove terre, infatti, ha sempre avuto la
voglia di fuggire dalla propria terra natale alla ricerca del nuovo. Basti solo
pensare quando, nel 1492, venne scoperta l’America: molte persone, chi per un
motivo economico, chi per altri, vollero trasferirvisi.
Col passare degli anni i motivi delle fughe dei cervelli sono cambiati: se nella
prima metà del ‘900, in Europa, si fuggiva di casa per colpa delle guerre, oggi
si fugge all’estero a causa della poca disponibilità di lavoro, soprattutto in
Italia. Sono principalmente i giovani, ricchi di speranze e di energie, a tentare la
fortuna nelle terre oltralpi, e molti di essi la trovano.
Questo non è l’unico motivo, molti scienziati si trasferiscono all’estero dove si
hanno maggiori possibilità di trovare fondi ed attrezzature per condurre nuove
ricerche.
Inoltre si può fuggire anche per cause completamente diverse: come la stesura
di un libro, che, per motivi religiosi, può valere la pronuncia di una condanna a
morte.
Non solo gli italiani fuggono dalla propria patria, ma sono numerosi i profughi
che attraversano il Mediterraneo per scappare dalle zone di guerra ed arrivare
sulle nostre coste in cerca di u a migliore aspettativa di vita.
BEL PAESE
UN ESODO CONTINUO DAL
La storia ha visto migrazioni che hanno spinto l’uomo a cercare ambienti più
favorevoli. Dopo la
scoperta dell’America e dell’Australia si è verificata la grande migrazione degli
europei, cui è seguita quasi sempre la colonizzazione, cioè l’assoggettamento
di un territorio da parte dello Stato che lo conquistava.
A partire dall’800 il benessere cresciuto con l’industria in alcune regioni del
globo e il progresso dei trasporti hanno aperto la strada alle grandi migrazioni
di massa dovuta agli squilibri nel grado di sviluppo economico. Guerre,
instabilità politiche, persecuzioni razziali
e religiose, carestie, epidemie, hanno
costituito ai giorni nostri un potente
“motore delle migrazioni”. Sempre più
grave è diventato il fenomeno dei
rifugiati, ossia di coloro che sono stati
costretti a lasciare il proprio paese a
causa di conflitti o perché perseguitati
dai regimi della loro patria d’origine.
Proprio negli anni novanta le guerre
balcaniche hanno spinto centinaia di Lavoratori in attesa della partenza
migliaia di persone ad abbandonare le
loro case per cercare rifugio in zone più sicure, al riparo dalla guerra e dalle
persecuzioni.
Con la Prima guerra mondiale diminuiscono i flussi migratori, che riprendono
subito dopo il conflitto. Se prima dell’inizio della guerra l’emigrazione dall’Italia
aveva toccato, nel 1913, il record di più di 870 mila espatri, già nel 1914 si
assiste al dimezzamento delle partenze e a un’ ulteriore diminuzione nel 1915,
con l’entrata in guerra dell’Italia, quando l’invio al fronte della popolazione
maschile e l’accresciuta pericolosità delle partenze fanno da freno ai movimenti
migratori, senza comunque cancellarli completamente.
Alla fine della Prima guerra mondiale riparte con vigore l’emigrazione dall’Italia,
ma l’introduzione di leggi restrittive negli Stati Uniti e la crisi del 1929
incanalano il fenomeno verso nuove mete. La maggioranza degli espatri si
dirige quindi in Europa. Complessivamente gli espatri sono in diminuzione: da
un lato, le leggi restrittive americane dei primi anni Venti ne riducono la media
a circa 200.000 l’anno, dall’altro, gli effetti della crisi del 1929 portano il
numero degli espatri a circa 50.000 l’anno. Si spiega così il fatto che l’ 84%
degli emigrati nel periodo 1916-1945 sia partito prima degli anni Trenta.
Ad ogni modo la mobilità non cessa, tanto che il Ventennio fascista favorisce e
in alcuni casi forza l’aumento delle migrazioni interne (espansione della
capitale e bonifiche) e tenta di popolare le colonie vecchie e nuove. Infine
comincia l’emigrazione antifascista che, caratterizzata dal fatto di non utilizzare
i canali legali di espatrio, finisce comunque per raggiungere le comunità
italiane già presenti all’estero. Al cambiamento di mete e abitudini migratorie
corrisponde anche un mutamento nell’equilibrio tra i sessi. L’incidenza
femminile cresce tra le due guerre: da una percentuale situata fra il 20-25% del
movimento globale prima della Grande guerra, si arriva a oltre il 63% agli inizi
degli anni 1930 e a oltre il 77% alla fine di quel decennio.
La Grande Guerra diminuisce le partenze e provoca i ritorni degli antichi
emigrati e dei loro discendenti per combattere nell’esercito italiano.
L’esperienza italiana di molti di coloro che sono rientrati non è, però, delle
migliori: in particolare i cosiddetti “americani” sono ritenuti troppo restii ad
ubbidire e molti finiscono nelle carceri militari.
Nella fase immediatamente successiva alla Grande Guerra gli Stati Uniti
costituiscono la direzione privilegiata delle partenze. Essi attirano
complessivamente fra le due guerre circa un milione d’italiani, un quarto di
tutti i partenti dell’epoca, ma oltre metà compiono il viaggio nel 1919-1921.
La chiusura degli accessi statunitensi induce poi la ripresa della mobilità verso
l’Argentina, dove confluiscono oltre l’80% degli italiani diretti in America Latina,
nonché verso il Canada e l’Australia. Nel 1917 sono introdotti negli Stati Uniti i
Literacy Tests che vietano l’ingresso a chi non sa leggere né scrivere la propria
lingua. Nel 1921 il parlamento federale statunitense vota poi il Quota Act che
assegna a ogni paese la possibilità di inviare ogni anno un numero di emigranti
pari al 3% della popolazione immigrata registrata nel censimento del 1911. I
nuovi arrivi sono così dimezzati e portati a circa 300.000 l’anno. Il National
Origins Act (1924) riduce tale cifra a circa 164.000, passando la quota al 2% di
quanto rilevato dal censimento del 1890: sono così esclusi quasi totalmente gli
asiatici e in buona parte gli europei orientali e meridionali. Infine nel 1927 un
ulteriore ritocco porta a una media di 150.000, favorendo quasi esclusivamente
britannici, irlandesi e tedeschi. Nel tempo tale legislazione viene parzialmente
imitata anche dalle altre nazioni americane, privilegiando possibilmente i
francesi e i belgi nel Canada francofono e gli spagnoli o i portoghesi nell’
America Latina. Inoltre, nelle Americhe la crisi del 1929 comporta il crollo delle
possibilità di lavoro e quindi la fine dei flussi.
La riduzione dell’emigrazione blocca attorno al 1930 il meccanismo dei ritorni
dalle Americhe, che si era sempre nutrito della possibilità di rientrare e ripartire
quante volte si volesse. Le comunità italiane iniziano dunque a cristallizzarsi,
prima a causa della guerra e poi delle restrizioni ai nuovi arrivi. Di conseguenza
la seconda generazione, giunta alla maturità tra le due guerre, scopre di essere
diversa dalla prima perché ormai completamente americanizzata. Tra le due
guerre l’Europa diviene la destinazione più importante per gli emigrati italiani,
per i quali la Francia è la meta preferita.
La strategia fascista nei riguardi dell’emigrazione si rivela essere ambigua. A
parole il regime combatte le partenze e persino l’esodo delle campagne, ma il
Ventennio si rivela essere il periodo forse più significativo della vicenda
migratoria italiana. Nel momento in cui si registra un calo delle partenze verso
l’estero, il Governo tenta di incentivare i trasferimenti verso i territori delle
colonie, seppur con scarso successo, e le migrazioni interne. Il triangolo
industriale assorbe manodopera dal Meridione e dal Nord-Ovest, ma ancora più
notevole è la crescita di Roma, fortemente voluta dal Governo. Inoltre, le
bonifiche permettono di ridistribuire la popolazione, indirizzando la diaspora
veneta, quella friulana e quella romagnola verso la Sardegna e l’Agro pontino.
Questi spostamenti non bastano ad ovviare alle richieste di lavoro. Il Governo
crea allora un meccanismo che influenzerà tutto lo sviluppo dei decenni
successivi. Infatti, negli anni 1938-1941, più di 400 mila italiani sono inviati a
lavorare in Germania in base ad accordi speciali fra i due Governi. In tal modo
la manodopera eccedente è ufficialmente scambiata con le materie prime
necessarie allo sviluppo italiano, in particolare di carbone.
Il governo fascista s’interessa anche alla penetrazione politica fra le masse
degli emigranti. Cerca dunque di rimpiazzare le vecchie strutture statali e
private per l’assistenza agli emigrati. Il Partito stesso s’incarica d’inquadrare gli
italiani all’estero, attraverso la formazione di appositi Fasci e l’attività di
associazioni quali quelle giovanili e dopolavoristiche. Il tentativo non riesce
completamente, perché le comunità emigrate in via di cristallizzazione
finiscono per sentirsi più legate alle loro nuove patrie e molti emigrati,
soprattutto in Europa, sono partiti per sfuggire al fascismo.
Nei giorni nostri la migrazione verso l’estero è ancora presente e riguarda
soprattutto i giovani italiani appena laureati che cercano, o hanno già trovato,
lavoro. In dieci anni, dal 2002 al 2012, sono andati via dal “Bel Paese” circa 700
mila laureati, circa settanta mila l’anno. Questo export di cervelli e competenze
ha un doppio costo. C’è il capitale umano che se ne va e c’è la spesa dello
Stato per la loro istruzione: più di tremila euro a semestre per universitario, e
poiché questi talenti hanno frequentato corsi per cinque anni, perderli significa
dire addio a un investimento complessivo di
175 milioni di euro. Sono i numeri ingombranti
del sequel di una storia che pensavamo ormai
di conoscere, quella dell’arcinota “fuga dei
cervelli”. Il blockbuster degli scienziati
eccellenti costrett