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Sintesi
Italiano: Giovanni Verga, Fotografo e Scrittore

Storia: Fotografia dell'Istituto Luce, Il culto del Duce, l'esaltazione del consenso

Storia dell'Arte: Fotografi moderni Lewis Hine, Richard Avedon
Estratto del documento

GIOVANNI VERGA FOTOGRAFO E LO STILE VERISTA

.RACCONTARE IN BIANCO E NERO

Ogni volta che nel panorama storico di una data epoca

entra in scena un nuovo medium, una tecnologia legata

alle comunicazioni di massa, anche la lingua, le forme

stilistiche e le espressioni artistiche vengono sollecitate a

cambiare e ad assumere nuovi caratteri e nuove qualità.

E' il caso della letteratura verista e di Giovanni Verga

che condizionato dalla sua passione per la fotografia finì

per scrivere racconti e romanzi senza l'ausilio dei colori,

in "bianco e nero". Nell’ abitazione di Giovanni Verga, padre del

Verismo, nel 1966 furono ritrovati ben 448

negativi fotografici - 327 lastre in vetro e 121

fotogrammi in celluloide - impressi dallo scrittore

a partire dal 1878.

I negativi ritraggono in parte parenti, domestici,

amici, molti dei quali esponenti culturali del suo

tempo, quali Luigi Capuana, Federico De Roberto,

Eleonora Duse, gli editori Emilio e Giuseppe

Treves, e molti altri.

Molti dei negativi raffigurano anche paesaggi,

scorci di case anche umili, e le vie di paesi come

Vizzini, Scordia e Licodia Eubea completamente

svuotate di gente, forse al lavoro nei campi, che

rimandano a quel senso di mondo fermo e

immutabile che si respira nei racconti.

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Ritraggono anche l'ambiente rurale delle sue

proprietà fondiarie, con i suoi uomini di fiducia ed

i suoi braccianti, dalla figura umile e col volto

ruvido, segnato dal sole e dalla fatica.

Emergono insomma da queste foto non solo quegli scenari naturali e domestici, ma anche

quegli uomini e quelle donne che dovettero certamente servire da modelli ideali,

perlomeno in alcuni loro tratti, per le sue opere letterarie appartenenti alla fase verista,

dalla raccolta di novelle ‘Vita dei campi’, pubblicata nel 1880 - due anni dopo l'inizio

ufficiale della sua attività di fotografo - ai romanzi ‘I Malavoglia’ e ‘Mastro don

Gesualdo’.

In quegli anni la fotografia era diventata una specie di moda d'elite presso nobili,

intellettuali e persone facoltose. Anche gli altri scrittori veristi ed amici di Verga erano

appassionati di fotografia, tanto che fu lo stesso Capuana ad insegnare all'amico di Catania

il procedimento di sviluppo dei negativi. Anche per questo motivo l'attività fotografica

dello scrittore verista è stata considerata dalla critica come un semplice passatempo,

un'adesione alla moda dell'epoca, senza alcuna influenza sulla sua produzione letteraria.

Tuttavia se è vero che la sua adesione ai principi guida della filosofia verista - la

descrizione scientifica dell'ambiente naturale e umano, l'estrema obiettività della

narrazione, il distacco emotivo ed etico da parte dell'autore, l’impersonalità - venne

maturando soprattutto dall'esempio della letteratura naturalista europea, in particolare,

com'è noto, quella del francese Emile Zola, d'altra parte sembra proprio esagerato

affermare che un mezzo di comunicazione di massa e di rappresentazione artistica come la

fotografia non abbia avuto alcuna relazione con la sua letteratura.

Verga come gli altri suoi amici e scrittori veristi apparteneva a quella generazione che vide

crescere e progredire intorno a sé quella nuova tecnologia. Già all'età di 9 anni vide lo zio

paterno Salvatore Verga Catalano scattare fotografie con una delle prime macchine a

cassetta acquistata nel 1849, e della quale si servì poi lui stesso per le sue prime prove.

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Molti altri esempi della nuova tecnologia li vide poi nelle città dove ancor giovane si

trasferì - prima Firenze, poi dal 1872 Milano - e persino tra le mani del suo fraterno amico

Capuana, il quale sin dal 1863 aveva preso a fotografare ed a sviluppare personalmente i

negativi.

Tutti quei primi ritratti fotografici color seppia di gentiluomini e nobildonne che doveva

ammirare nei salotti che frequentava, non potevano non rimandargli suggestioni e

riflessioni circa la rappresentazione del vero, specie se confrontava quelle rudimentali

fotografie con i dipinti degli antenati di famiglia. Un concetto importante sicuramente

dovette farsi strada in maniera sempre più chiara nella sua mente, così come anche presso

tutti gli altri componenti della sua generazione anche se in maniera forse inconsapevole: la

realtà poteva essere riprodotta anche senza la mediazione dell'artista, il quale finiva

immancabilmente per distorcerla come nei dipinti artificiosi e di maniera.

La sua scelta di una forma letteraria più fedele alla realtà dovette quindi procedere di pari

passo con la decisione di darsi anche lui alla fotografia. Ambedue queste scelte erano figlie

oltre che dell'adesione ai nuovi principi naturalistici francesi, anche dell'ammirazione verso

la nuova tecnologia.

Nonostante il gran numero di negativi rinvenuti, una buona parte della produzione

fotografica dello scrittore catanese deve essere andata perduta. I negativi infatti sono stati

ritrovati con molte note aggiuntive nelle quali Verga stesso annotava soggetti, luoghi e

date. Di qualche arco di anni non si hanno dunque fotografie, ed allo stesso modo mancano

totalmente negativi di alcuni scenari fondamentali delle sue opere, per esempio il paese di

Aci Trezza, sfondo del romanzo ‘I Malavoglia’. Questo è stato un altro dei motivi che ha

alimentato presso gli studiosi la convinzione della totale estraneità della sua passione

fotografica nei confronti della sua attività di scrittore.

C'è da precisare comunque che Verga - soprattutto nei primi tempi della sua attività di

fotografo - si affidò ad altri più esperti di lui, in particolare all'amico Capuana, per la

realizzazione di fotografie che riprendessero ambienti e personaggi rurali. In una lettera del

26 dicembre 1881 Verga chiede a Capuana: "…Bisogna assolutamente che tu mi faccia o

mi procuri gli schizzi e le fotografie di paesaggio e di costumi pel mio volume di novelle

siciliane, tipi di contadini, maschi e femmine, di preti, e di galantuomini, e qualche

paesaggio della campagna di Mineo, ecco quanto mi basta, ma mi è necessario. Potrai

farmeli anche tu con la tua macchina fotografica da S. Margherita…". Difficile escludere

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comunque che da quelle foto, come da altre precedenti e successive, lo scrittore catanese

non sia rimasto suggestionato sempre più - in maniera probabilmente inconsapevole - a

percepire il suo mondo narrativo con la lente del suo obiettivo fotografico, uno

strumento di indagine sociale equivalente ad altri strumenti scientifici dotati di lenti:

"…ma per poter comprendere siffatta caparbietà, che è per certi aspetti eroica,

bisogna farci piccini anche noi, chiudere tutto l'orizzonte fra due zolle, e guardare

col microscopio le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori. Volete metterci

un occhio anche voi, a cotesta lente? voi che guardate la vita dall'altro lato del

cannocchiale? Lo spettacolo vi parrà strano, e perciò forse vi divertirà…" (da:

Fantasticheria).

Una traccia significativa di questa sua originale percezione Verga ce la lascia in alcuni tratti

caratteristici del suo stile verista. In primo luogo è estremamente parsimonioso con i

colori anche lì dove paesaggio e ambiente vengono descritti più dettagliatamente.

Nei racconti che compongono le raccolte ‘Vita dei Campi’ e ‘Novelle Rusticane’ Verga

non ricorre a nessun altro colore oltre al bianco e al nero, facendo talvolta filtrare qua e là -

ma molto sporadicamente - anche la citazione di un azzurro, di un verde e di qualche altro

colore. Anche lì dove Verga indugia a dipingere paesaggi rurali, sembra fare a meno di

ogni tipo di tonalità cromatica. Nella parte iniziale della famosa novella ‘La roba’ dov'è

descritta in maniera pittoresca la Piana di Catania vengono nominati una volta sola il verde

ed il rosso: sono le uniche due occasioni in tutta la novella, che per il resto non conosce

altri colori se non quelli "chiaroscuri" (bianchi, neri, grigi, e via dicendo).

Il caso limite tuttavia pare costituito da ‘I Malavoglia’, ambientato ad Aci Trezza, in uno

scenario dominato dal mare, dove il termine "azzurro" ricorre in tutto il romanzo una volta

sola, all'interno di un modo di dire: "…ma la ragazza cantava come uno stornello, perchè

aveva diciotto anni, e a quell'età se il cielo è azzurro vi ride negli occhi, e gli uccelli vi

cantano nel cuore…".

Normalmente dunque nelle opere veriste di Verga, paesaggi, ambienti e personaggi

vengono descritti facendo ricorso, proprio come nelle foto d'autore rigorosamente in bianco

e nero, al sapiente gioco di luci ed ombre, del Sole, della Notte, dei fuochi, e via dicendo.

Inoltre le trame dei racconti sembrano una sequenza di brevi scene neorealiste legate

insieme dalla voce del narratore. 10

All'interno di tali scene i personaggi per lo più umili risaltano come figure in chiaroscuro

sullo sfondo di un paesaggio rurale e umano, grezzo e spesso ostile, ritratto fedelmente

come nelle fotografie che ci ha lasciato. E proprio perchè la struttura d’ogni racconto è

immaginata come una sequenza di "istantanee", chi "ritrae", cioè lo scrittore, riesce a

restarne più facilmente al di fuori, come dietro la sua macchina, al momento di aprire

l'obiettivo sulla realtà.

Pare proprio insomma che la fotografia dovesse costituire per Verga (ne fosse cosciente o

meno) un modello ideale a cui ispirare lo stile dei propri racconti: ma ovviamente solo un

modello.

Lo scrittore catanese non andava di certo a scattare fotografie di gente e paesi con il

preciso intento di studiare i positivi sviluppati e scriverci una novella o un romanzo.

Tuttavia al pari degli altri suoi amici veristi era nato insieme alla fotografia, l'aveva vista

progredire ed aveva imparato ad usarla: dunque la sua visione del mondo e degli uomini

doveva per forza risentire della suggestione della camera oscura fino a suggerirgli di

scegliere uno stile narrativo che "fotografasse" la realtà con le parole, in una forma appunto

obiettiva, impersonale, ed in "bianco e nero".

Ai nostri giorni ad esempio la tecnologia delle videocamere a basso costo e con grandi

capacità di memoria invoglia chi la usa a ritrarre qualunque aspetto della realtà, bello o

brutto, banale o eccezionale. Può avvenire allora una trasformazione nella percezione della

realtà - di uomini e cose - da emotivamente "immediata" come nel passato, ad una forma

sempre più "mediata" da un diaframma ottico che riduce anche gli altri ad un puro e

semplice spettacolo realistico anche se a volte drammatico - con la riduzione delle persone

a semplici personaggi - da osservare "dall'esterno" con un atteggiamento spesso

emotivamente distaccato. Allo stesso modo, nella seconda metà dell'Ottocento la

fotografia, già abbastanza progredita e diffusa, suggeriva un modello di percezione del

mondo in una forma sempre più impersonale, obiettiva e priva di qualsiasi coinvolgimento

emotivo. 11

Verga doveva rendersi ben conto di questo nuovo atteggiamento poichè la sua prima

fotografia in ordine cronologico che ci è rimasta consiste in un "autoscatto" del 1878

dove è in compagnia dei suoi parenti più stretti (la madre, la sorella, uno dei fratelli e la

cognata). In questa fotografia lo scrittore è ancora "dentro" lo spettacolo della realtà cioè

davanti all'obiettivo fotografico.

Successivamente avrebbe accettato molto raramente di farsi fotografare, o di

autoriprendersi, preferendo invece stare quasi sempre dietro la macchina, cioè "al di fuori"

dello spettacolo della realtà, finendo certamente col comprendere ed approfondire sempre

più quell’atteggiamento di "osservatore esterno", al di fuori dello "spettacolo del mondo"

che intendeva trasferire in maniera sempre più precisa nella sua letteratura:

"…Chi osserva questo spettacolo non ha il diritto di giudicarlo; è già molto se

riesce a trarsi un istante fuori del campo della lotta per studiarla senza passione, e

rendere la scena nettamente, coi colori adatti, tale da dare la rappresentazione

della realtà com'è stata, o come avrebbe dovuto essere…" (dall'introduzione de I

Malavoglia). 12

Tuttavia si rendeva conto che ciò poteva anche non essere sufficiente, poichè così come le

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