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Sintesi
Introduzione Fede e Scienze - Tesina


In questa tesina di maturità viene descritta la fede e la scienza. Sartre affermò che ”l’uomo è un’inutile passione”; e proprio questo può rappresentare una prova indiretta del finalismo dell’universo. Non possiamo negare che la vita sia un fenomeno alquanto improbabile, dal momento in cui le moderne conoscenze ci parlano di infiniti universi e sostengono che probabilmente soltanto il nostro offre condizioni per la nascita di forme di vita, e soprattutto intelligenti.
Attraverso un percorso scientifico e filosofico cercherò pertanto di dimostrare che proprio quando il varco tra la domanda ”come ha avuto origine tutto?” e la sua risposta sembra valicabile grazie alla scienza (pensiamo alle più moderne teorie di fisica particellare, alla scoperta stessa del Bosone di Higgs e astrofisica), la scienza stessa pone le basi per un completamento da parte della teologia, in quanto la prima non è in grado di negare l’esistenza di un “principio generatore” o più elegantemente di un Apeiron, e sembra possibile recuperare il valore dell’antropocentrismo.
In sostanza nelle pagine seguenti verrà poi approfondita la questione della diatriba secolare fra razionalismo e teologia (in senso lato) che sembra poter accedere ad un punto di raccordo. A questo proposito uno dei massimi fisici teorici del XX secolo, Stephen Hawking, in un celebre trattato sulla storia del tempo, scrive: “quand'anche ci fosse una sola teoria unificata possibile, essa sarebbe solo un insieme di regole e di equazioni. Che cos'è che infonde vita nelle equazioni e che costruisce un universo che possa essere descritto da esse? L’approccio consueto della scienza, consistente nel costruire un modello matematico, non può rispondere alle domande del perché dovrebbe esserci un universo reale descrivibile da quel modello. Perché l’universo si dà la pena di esistere?”.
È capitato probabilmente ad ognuno di noi di volgere gli occhi al cielo stellato, nell'oscurità della notte, e avvertire un senso di ineffabilità e meraviglia, che ci lascia interdetti, in reverenziale contemplazione. È una sensazione intangibile, che accomuna inspiegabilmente l’interiorità dell’uomo.
E l’uomo, in quanto tale, aspira così all'assoluto, indagando sul reale, cercando di comprendere i significati profondi delle cose, spinto dalla volontà di cogliere l'origine del tutto, il "principio". L’essere umano è l’interprete della realtà per eccellenza. Questa condizione è unica e privilegiata in quanto presuppone il possesso di un’intelligenza.
La mia tesina di maturità vuole dunque essere un tentativo di celebrare lo slancio dell’uomo verso la conoscenza, ripercorrendo i momenti centrali della scoperta di ciò che sta alla base di tutto ciò che lo circonda (l’atomo) e le varie fasi che hanno portato alla formulazione della teoria del Big bang attraverso cui si spiega la nascita dell’universo, e sottolineando come questa ricerca costante della verità continui a produrre i suoi frutti nelle scoperte scientifiche ancora oggi. Ma poiché ritengo che l’uomo sia un’eccezionalità non giustificabile da modelli matematici, tenterò di approfondire il pensiero di grandi filosofi riguardo alla scienza, e più in generale alla ragione, e alla sua compatibilità con la fede in un “assoluto” non dimostrabile.

Collegamenti

Fede e Scienza - Tesina


Scienze dela terra - Le teorie cosmologiche.
Fisica - Gli acceleratori di particelle.
Filosofia - S. Agostino, S. Tommaso, Galileo Galilei, Comte, Bergson.
Inglese - The middle phase of the victorian Age: Darwin and Newman.
Estratto del documento

1. Il progresso della scienza

“Dalla meraviglia nasce la curiosità ed è essa a costituire la molla per cui

l’uomo è spinto ad imparare, sentendolo non solo come un piacere ma anche

come un dovere verso se stesso. E’da questa motivazione intrinseca che

germina più proficuamente il processo che porta alla conoscenza”.

1.1 La storia

dell’atomo

Prima di presentare le teorie circa la formazione dell’universo, cercherò di analizzare

la materia di cui esso è composto, poiché per comprendere l’infinitamente grande è

necessario approfondire l’infinitamente piccolo.

àtomos indivisibile, a tómos

L'atomo (dal greco - -, unione di - - [alfa privativo] + - -

[pezzo, fragmento]) è una struttura nella quale è normalmente organizzata la

materia. particelle subatomiche.

In realtà l’atomo è costituito da particelle semplici: le

Fisicamente, dunque, l’atomo è tutt’altro che indivisibile ma la sua suddivisione in

particelle più piccole comporta la perdita delle caratteristiche proprie dell’elemento di

cui fa parte. Pertanto l’atomo può essere considerato come la più piccola entità di un

elemento che ne conserva le caratteristiche e che non può essere ulteriormente

suddiviso con mezzi chimici. Oggi le particelle atomiche e subatomiche (dette

particelle elementari) conosciute sono state suddivise in diverse classi, in base alle

proprietà che le caratterizzano. La teoria che riunisce le attuali conoscenze

sulle Metafisica.

Aristotele,

6 Modello

particelle elementari e sulle forze con cui queste interagiscono è il

Standard .

Proporrei ora di ripercorrere le varie tappe che hanno portato a tale modello. Un

tragitto tortuoso, ma affascinante.

Innanzitutto qual è il filo rosso che sottende tutta la storia della fisica delle particelle?

E’ il tentativo di ridurre la straordinaria complessità delle fenomenologie fisiche che si

manifestano attorno a noi a poche leggi fondamentali capaci di spiegare tutto.

Avevano incominciato proprio i filosofi greci della scuola ionica di Mileto, nel VI sec.

a.C., ripresi poi da Aristotele, a proporre che ogni sostanza potesse essere spiegata

dalla combinazione di pochi elementi fondamentali. Per Aristotele erano quattro: la

terra, l’acqua, l’aria, il fuoco.

Sopravvissuta per due millenni, l’incerta dinamica aristotelica verrà spazzata via da

Galileo e da Newton nel XVII secolo, ma potremmo individuare nel chimico francese

Antoine Lavoisier (1743-1794) colui che, per essere riuscito per primo a scomporre

l’acqua in idrogeno e ossigeno, ne rivela la soggiacente struttura e liquida l’idea che

l’acqua sia una sostanza elementare.

Dopo Lavoisier, viene l’inglese Jhon Dalton (1766-1844) a suggerire che l’intuizione

atomica democritea ha un fondamento reale: le sostanze in natura sono davvero

composte da atomi, particelle genuinamente elementari, che si distinguono fra loro

essenzialmente per la massa (così si pensa all’inizio). E, mentre la teoria atomica va

via via consolidandosi nel corso del XIX secolo, è infine il russo Dmitrij I. Mendeleev

(1834-1907) a scoprire una modalità di classificazione degli atomi semplice e feconda

al tempo stesso: Mendeleev li incasella in una tabella che non solo mette ordine

nell’intricata matassa degli elementi che si vanno scoprendo ormai a getto continuo,

ma soprattutto rende conto delle affinità e delle differenze del loro comportamento

chimico. tavola periodica degli

Da notare che, per il mondo ingegnoso in cui è strutturata la

elementi di Mendeleev mostra di avere una sorta di potere predittivo.

La tappa successiva si svolge a Parigi, dove una giovane ricercatrice d’origine polacca,

Maria Sklodowska (1864-1934) si applica allo studio della radioattività, uno strano

fenomeno scoperto qualche anno prima dal francese Antoine H.Becquerel: certi

7 certi sali d’uranio hanno la proprietà di impressionare le lastre fotografiche anche nel

buio più totale, come se emettessero radiazioni che producono gli stessi effetti della

luce, ma che evidentemente sono ben più penetranti di questa, poiché riescono ad

attraversare senza troppa difficoltà anche le sottili lamine di metallo che gli

sperimentatori interpongono tra il campione radioattivo e la lastra.

La Sklodowska, affiancata dal marito, Pierre Currie, scopre ben presto che non sono i

sali di uranio la fonte della radioattività naturale, ma è l’uranio stesso; e che anche

altri elementi, come il torio, il radio, il polonio si comportano in modo analogo. Maria

Curie dimostra che la fonte sono gli atomi stessi e ciò, come vedremo, si rivelerà di

fondamentale importanza.

Siamo nel 1898 e a faccenda si fa ancora più intrigante l’anno dopo, quando il fisico

neozelandese Ernest Rutherford scopre che la radiazione emessa dall’uranio e dagli

altri elementi radioattivi è di natura corpuscolare. Si tratta di due radiazioni distinte,

raggi alfa,

dotate di carica elettrica opposta: i positivi (che in seguito si comprenderà

particelle alfa) raggi beta,

essere costituiti da nuclei di elio, ancora oggi chiamati e i

elettroni).

negativi, di piccola massa (che verranno poi detti Qualche mese dopo, Paul

Villard (1869-1934) rivelerà un terzo tipo di radiazione, questa volta non corpuscolare

raggi gamma.

ed elettricamente neutra, che chiamerà Il nome è rimasto e oggi

sappiamo che si tratta di radiazione elettromagnetica, con fotoni d’altissima energia.

La scoperta della radioattività dà uno scossone al paradigma atomico daltoniano. Il

fatto che certi atomi emettono particelle materiali sta a indicare che non possono più

essere riguardati come oggetti puntiformi, senza struttura interna, realmente

elementari. Oltretutto, Rutherford si accorge ben presto che l’attività dei campioni

radioattivi tende a calare nel tempo e formula l’ipotesi rivoluzionaria che gli elementi

radioattivi cambino la loro natura chimica.

L’attività si riduce quando il prodotto finale delle trasformazioni è un elemento

stabile, non radioattivo.

Ormai è tempo di stanare i costituenti dell’atomo, scendendo di un ulteriore scalino

verso la vera elementarità. Ora la scena si sposta a Cambridge, al Cavendisch

Laboratory, e i protagonisti sono Joseph J. Thomson (1856-1940) e il già citato

Rutherford.

8 Thomson viene considerato lo scopritore dell’elettrone. Studiando le emissioni

corpuscolari dei raggi catodici, egli giunge alla conclusione che le particelle

emesse in quei tubi sono della stessa natura dei raggi beta degli elementi

radioattivi: hanno una carica esattamente uguale a quella dell’idrogeno ionizzato,

ma negativa, e una massa migliaia di volte minore. George Stoney li chiama

elettroni.

Gli elettroni sono particelle leggere, dice Thomson, portano una carica negativa e

stanno dentro l’atomo, che però è neutro nel suo complesso. Quindi, devono essere

controbilanciati da cariche positive. Egli immagina che l’atomo sia una sferetta

fatta di una sostanza uniformemente carica in senso positivo, che accoglie forse

sulla superficie, forse nell’interno, gli elettroni, distribuiti regolarmente: il modello

di Thomson. Esperimento di

Thomson

Rutherford, si ritrova a contrastare il modello del suo vecchio maestro quasi per

caso; egli predispone un esperimento nel quale un fascio collimato di particelle alfa

viene indirizzato contro una sottile lamina d’oro e raccolto su uno schermo

retrostante sul quale è distribuita una sostanza che scintilla (ossia emette luce)

quando viene colpita da una particella carica. Lo scopo dell’esperimento è di

verificare in che modo le particelle alfa vengono diffuse dopo essersi scontrate con

gli atomi d’oro.

Egli è interessato a verificare quanto gli atomi d’oro deviano le particelle alfa dalla

loro traiettoria rettilinea. Se è vero il modello di Thomson, le deviazioni devono

essere minime: dopotutto, le particelle attraversano un “panettone” fatto di un

impasto sostanzialmente omogeneo. Se attraversano la sfera nelle parti centrali,

hanno tanto impasto sulla destra quanto sulla sinistra, tanto sopra quanto sotto e

quindi non subiscono deviazioni. Queste sono dunque le attese: tutte le particelle

alfa verranno deviate (non ci sono varchi tra gli atomi), ma sempre e solo di un

angolo molto piccolo.

Quando gli assistenti che avevano compiuto materialmente le misure per mesi e

mesi, gli consegnano le conclusioni, lui si accorge che c’è una frazione importante

di particelle che ha percorso il tragitto in linea retta, senza alcuna deviazione. E

questo lo insospettisce, inoltre sono poche le particelle deviate all’indietro, ma ci

sono.

9 deviate (non ci sono varchi tra gli atomi), ma sempre e solo di un angolo molto

piccolo. Esperimento di

Rutherford

Quando gli assistenti che avevano compiuto materialmente le misure per mesi e

mesi, gli consegnano le conclusioni, lui si accorge che c’è una frazione importante

di particelle che ha percorso il tragitto in linea retta, senza alcuna deviazione. E

questo lo insospettisce, inoltre sono poche le particelle deviate all’indietro, ma ci

sono. Rutherford ne deduce che l’atomo è per gran parte vuoto, il che

spiegherebbe il gran numero di particelle che lo attraversano senza deviazioni

apprezzabili; inoltre, al centro ci dev’essere una forte concentrazione di carica

positiva, di modo che quando la particella alfa punta dritta al centro del bersaglio, è

l’interazione con questa carica concentrata che determina le diffusioni all’indietro.

Infine, il numero percentualmente esiguo dei rimbalzi a 180° gli dice che la carica

centrale è raccolta in un piccolo spazio.

Dopo anni di misure, finalmente, nel 1911, Rutherford presenta le sue conclusioni,

corredate da stime quantitative che poi si riveleranno corrette, che propongono un

nucleo,

nuovo modello di atomo. Al centro dell’atomo si trova il di carica positiva,

con un diametro dell’ordine di 10-14 m, mentre gli elettroni gli ruotano attorno a

distanze fino a diecimila volte maggiori. In mezzo c’è il vuoto. L’atomo è

sostanzialmente una sfera vuota.

10 L’atomo è sostanzialmente una sfera vuota.

Qui però sorge il problema dell’incompatibilità del modello a sistema planetario

con l’elettromagnetismo classico. La teoria elettromagnetica di Maxwell nega

stabilità a un tale sistema: in pratica, un atomo siffatto non potrebbe sopravvivere

che una frazione di secondo, dopo di che gli elettroni finirebbero col precipitare sul

nucleo. Invece, noi sappiamo bene che gli atomi esistono e che sono stabili. Si, è

una contraddizione insanabile con l’elettromagnetismo classico e si sa come è

stata superata: proponendo concetti e teorie del tutto nuove e rivoluzionarie, quelli

della meccanica quantistica.

Un nuovo modello di atomo viene proposto nel 1913 dal danese Niels Bohr (1865-

1962), allievo di Rutherford all’Università di Manchester: l’atomo è

complessivamente neutro; un certo numero di elettroni “ruota” su particolari

“orbite” attorno ad un nucleo molto piccolo e dotato di carica elettrica di segno

positivo. Egli aggiunge poi che quando un elettrone si trova in una di queste

orbite non irradia energia; gli elettroni possono variare la propria energia solo in

seguito alla transizione tra due orbite permesse.

L’atomo, dal momento che è scindibile in due componenti, ora non può più essere

riguardato come un’entità elementare e allora i fisici cominciano a chiedersi se lo

sia almeno il nucleo. Di nuovo, la risposta è negativa ed è ancora il gruppo di

Rutherford a individuare le particelle che lo compongono. Siamo nel 1919,

Rutherford esegue esperimenti di bombardamento di atomi con particelle alfa e,

almeno in un certo numero di casi, si rende conto che i nuclei bersaglio vengono

Modello atomico di Bohr

”scheggiati”, perdendo un frammento che corrisponde al nucleo dell’atomo

protone,

d’idrogeno. Egli chiama questo frammento ha una carica elettrica

positiva, uguale e contraria a quella dell’elettrone. Poiché non si conoscono

particelle dotate di carica minore di questa e poiché ogni altra carica elettrica in

natura risulta essere un suo multiplo intero, la carica del protone e dell’elettrone,

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