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Sintesi

Introduzione Facoltà di linguaggio tesina



In questa tesina si vuole discutere intorno al linguaggio, inteso come capacità specifica dell’essere umano di comunicare in modo ricco, complesso ed espressivo, ma anche inteso come strumento indispensabile per la comprensione del mondo, dell’uomo e quindi dei suoi caratteri più peculiari. Più precisamente, la tesina di maturità si sviluppa su due nuclei tematici. Il primo intende prendere in considerazione alcune delle numerose e variegate teorie circa la genesi di questa facoltà straordinaria nel processo evolutivo della nostra specie, adottando un approccio il più scientifico possibile. Successivamente, ci si concentra sull’evoluzione della concezione del linguaggio nel pensiero umano, attraverso una trattazione più storico-filosofica e letteraria.

Collegamenti


Facoltà di linguaggio tesina



Letteratura Inglese: Newspeak by George Orwell.
Filosofia: Storia della filosofia del linguaggio, Stutturalismo, Ferdinand de Saussure e Noam Chomsky.
Matematica: La matematica e l'informatica come linguaggi formali.
Letteratura Latina: Lucrezio, il linguaggio come facoltà naturale.
Estratto del documento

«l’uomo è sottoposto a variazioni numerose, leggere e diversificate, che sono

indotte dalle stesse cause generali e sono regolate e trasmesse secondo le stesse

3

leggi generali valide per gli animali inferiori» .

In tale prospettiva, tutte le differenze esistenti tra gli umani e gli altri

animali sono differenze solo quantitative, e tra queste anche la più

affascinante, ossia il linguaggio, inteso, secondo Darwin, come un’evoluzione

(e pertanto non basato sul principio interamente differente cartesiano) dei

sistemi di comunicazione animale.

Nella presente trattazione si partirà dal presupposto che il linguaggio umano

non introduce una discontinuità nel mondo naturale poiché nasce e si

sviluppa da capacità comunicative e mentali già presenti (seppur in grado

diverso) in altre specie (secondo moderni studi di anatomia, neurologia e

paleontologia comparate). Si ritiene, pertanto, che il linguaggio costituisca

senz’altro una grande differenza che gli esseri umani presentano rispetto agli

altri animali, ma che tale differenza non giustifichi la collocazione di Homo 1 N C

OAM HOMSKY

sapiens su un gradino superiore e distinto rispetto al resto della natura.

L’unicità del linguaggio umano

Ma cosa rende, di fatto, il sistema di comunicazione umano davvero differente dagli altri? Le risposte

più soddisfacenti giungono da Chomsky. La prima grande differenza, secondo Chomsky, sta nel fatto

che tutti i sistemi di comunicazione animale siano in grado di esprimere solamente semplici messaggi

circostanziali, ineluttabilmente legati al qui ed ora. Al contrario, il linguaggio umano permette

all’uomo di esprimere concetti complessi in grado di fornire rappresentazioni totalmente svincolate

dal qui ed ora. In altre parole, il linguaggio umano è l’unico sistema di comunicazione che permette

di descrivere oggetti, situazioni, ambienti, pensieri lontani nello spazio, nel tempo, ma anche irreali

o inesistenti (Cartesio avrebbe definito tali enti idee fattizie). Per esempio, è possibile parlare di un

cavallo alato o di un uomo tricefalo, entità di cui nessuno sulla Terra può avere esperienza, ma ad

ogni modo facilmente raffigurabili nell’immaginazione di chiunque. Dal punto di vista grammaticale,

il linguaggio umano è l’unico dotato di capacità deittica, ossia la facoltà di collocare gli enunciati in

un determinato spazio-tempo e di fare riferimento all’emittente o al destinatario del messaggio.

Questo accade perché il linguaggio umano è l’unico regolato da una struttura precisa, ma duttile (la

sintassi), che permette la costruzione di rappresentazioni e messaggi complessi attraverso la

combinazione creativa di parole, tale da rendere possibile la creazione di infinite frasi capaci di

concretizzare agevolmente tutto ciò che la nostra mente può produrre. Il linguista e neuroscienziato

italiano Andrea Moro offre un esempio concreto di quanto finora detto:

«Noi esseri umani abbiamo dizionari di parole. Il nostro cervello prende queste

parole e costruisce un’infinità di frasi. Gli animali hanno invece dizionari di frasi,

4

fisse, non scomponibili né ricombinabili»

E pertanto limitati, potremmo concludere.

Perché si sviluppò il linguaggio

Le teorie a questo riguardo sono molteplici, talvolta, ma tutte equidistanti da un’eventuale verità,

motivo per cui non si può dare una risposta convincente alla nostra domanda. Tutte le teorie partono,

però, dal presupposto che:

«Ad un certo punto del processo evolutivo gli umani abbiano acquisito un cervello

5

più sofisticato che rese la nascita e l’apprendimento del linguaggio possibile» .

3 Charles Darwin, L’origine delle specie, 1859.

4 Citazione dalla conferenza Parlo dunque sono. Il linguaggio attraverso i secoli di Andrea Moro, te-

nutasi in occasione del Festival della Mente di Sarzana, 2012.

5 Edward Vajda, The origin of language, traduzione del redattore. 2

Tra le ipotesi più significative (la cui valutazione di plausibilità rimane al lettore), figurano:

 La teoria dell’avvertimento: il linguaggio potrebbe essersi sviluppato da segnali di

avvertimento come quelli utilizzati dagli animali. Questo avrebbe poi portato all’estensione

della facoltà di linguaggio a fini didattici, per esempio per l’insegnamento di tecniche di

caccia o di costruzione di utensili.

 La teoria dello sforzo: il linguaggio potrebbe essersi sviluppato sulla base di sforzi

cooperativi di gruppi di uomini. Questa tesi presuppone che le prime tracce di linguaggio

fossero essenzialmente cori che stimolassero lo sforzo collettivo.

 La teoria della bugia: questa ipotesi dissonante, teorizzata dal linguista americano Edgar

Sturtevant, afferma che, dal momento che tutte le intenzioni o le emozioni vengono

involontariamente espresse dai gesti, dall’aspetto o da suoni, la comunicazione volontaria

deve essere stata introdotta allo scopo di mentire o nascondere. Anche Italo Calvino, nel suo

romanzo Le città invisibili, diceva «non c’è linguaggio senza inganno».

Le teorie sul perché sia nato, o si sia evoluto il linguaggio, sono tante quante sono le persone che si

occupano di linguistica, tutte prive ovviamente di qualsiasi evidenza scientifica. Ne sono state citate

tre a puro scopo esemplificativo.

Come si sviluppò il linguaggio

Prescindendo dai motivi che portarono allo sviluppo del linguaggio nell’uomo, ci si propone ora di

studiare i meccanismi biologici, fisiologici e sociali che hanno portato l’uomo ad essere il vero ed

unico animale parlante del globo.

Per questa trattazione, si fa ampio riferimento all’opuscolo Origine del linguaggio di Ines Adornetti,

pubblicato nel gennaio 2012 sul portale di filosofia analitica aphex.it.

L’origine vocale

«Il linguaggio articolato deve la sua origine all’imitazione ed alla modificazione dei

vari suoni naturali, delle voci di altri animali e delle grida istintive dell’uomo,

6

aiutato dai segni e dai gesti» .

L’idea di un’origine prevalentemente vocale del linguaggio venne ipotizzata e

ampiamente trattata da Darwin nella sua opera Origine dell’uomo. Ivi, l’illustre

scienziato inglese elaborò una teoria sul processo di nascita ed evoluzione del

linguaggio attraverso tre fasi:

1. Alla base del processo vi fu un miglioramento delle capacità cognitive dei

primati (al di sopra di quello delle altre scimmie), che innescò un processo

di imitazione dei suoni naturali rappresentanti pericolo (per esempio, il

ruggito di una belva) come strumento di avvertimento dei propri

7

compagni . 2 C HARLES

2. La seconda fase vide, dunque, un incremento ed un miglioramento della D ARWIN

capacità di imitazione vocale, che portò alla nascita delle prime

vocalizzazioni finalizzate all’espressione delle emozioni, in cui la voce veniva usata in modo

8

creativo e melodico, «per produrre vere cadenze musicali» . Questo portò, in seguito, ad un

perfezionamento dell’apparato fonatorio degli antenati umani.

3. Infine, nella terza fase, questa facoltà, definibile protolinguaggio, divenne abbastanza

sofisticata da retroagire sulla mente «mettendola in grado di formulare lunghe catene di

6

pensieri» .

6 Charles Darwin, Origine dell’uomo, 1871.

7 Partendo da questa ipotesi, Darwin ipotizza, più o meno volontariamente, anche un perché dell’ori-

gine del linguaggio.

8 Citazione testuale dall’opera sopraccitata. 3

Studi etologici del secolo scorso hanno dimostrato che la maggior parte delle scimmie non

antropomorfe possiede un apparato fonatorio piuttosto complesso ed utilizza richiami d’allarme

acusticamente differenti per segnalare la presenza di diversi tipi di predatori. Tali suddetti richiami

possono essere considerati olistici (rappresentano, cioè, messaggi completi non scomponibili né

ricombinabili come, per esempio, le parole che costituiscono le frasi di ogni lingua umana) e

manipolativi (ossia non finalizzati a comunicare informazioni in senso stretto, ma a condizionare il

comportamento altrui).

In tempi recenti, lo studioso inglese Steven Mithen, partendo dai presupposti darwiniani, ha sostenuto

l’origine vocale del linguaggio umano, sottolineando come l’abbassamento della laringe nell’uomo

rispetto ai primati (trasformazione avvenuta con l’avvento di Homo erectus) abbia permesso a questo

di produrre una gamma di vocalizzazioni più ampia ed articolata. Lo stesso studioso aggiunge che,

con la comparsa di Homo neanderthalensis (collocabile intorno ai 400 000 anni fa), il sistema di

comunicazione si arricchì anche della caratteristica della mimesi, definita dal neuroscienziato

canadese Merlin Donald come la «capacità di produrre atti rappresentazionali coscienti ed

autoindotti». Il punto chiave sta in atti rappresentazionali: attraverso la mimesi, infatti, un sistema

di comunicazione si arricchisce esponenzialmente attraverso la capacità rappresentazionale.

Innanzitutto, la comunicazione fuoriesce all’ambito prettamente istintuale, per entrare in una

dimensione che implica la coscienza di sé e trasformarsi quindi in un linguaggio vero e proprio. Ma

soprattutto questa svolta fu fondamentale perché rese possibile la trasformazione del sistema di

comunicazione da manipolativo a informativo, cioè finalizzato alla comunicazione di messaggi od

informazioni. Secondo quest’ottica, infatti, fu proprio la capacità di mimesi nel sistema di

comunicazione a stabilirne l’allontanamento dalla limitatezza circostanziale del qui e ora suggerita

da Chomsky. Sempre la mimesi, secondo Mithen, segnò l’inizio della trasformazione del

protolinguaggio da olistico a creativamente assemblabile, cioè formato da singole rappresentazioni

(le parole) componibili e relazionabili tra loro per formare concetti più complessi attraverso le

strutture sintattiche di sintagmi, frasi e periodi.

Ad ogni modo, le ipotesi di Mithen, come fu successivamente riconosciuto dallo stesso studioso, vanno

incontro a contraddizioni con le evidenze scientifiche, soprattutto in ambito anatomico e filogenetico.

Nel mondo animale, infatti, i sistemi di vocalizzazione migliori sono quelli delle scimmie non

antropomorfe, mentre sorprendentemente le scimmie antropomorfe presentano sistemi fonatori

molto limitati dal punto di vista strettamente anatomico, pur essendo filogeneticamente più vicine

agli esseri umani ed avendo capacità cognitive decisamente più sviluppate rispetto alle scimmie non

antropomorfe. Inoltre, studi biologici hanno reso noto che le vocalizzazioni delle scimmie, sia

antropomorfe sia non antropomorfe, sono per la maggior parte determinate geneticamente e quindi

congenite, a differenza del linguaggio umano che invece è notoriamente appreso ed aperto

all’esperienza. Altre evidenze neuropsicologiche sembrano suggerire che le vocalizzazioni di questi

animali siano prevalentemente legate a stati emotivi e non sottoposte al controllo volontario.

L’origine gestuale

A differenza delle vocalizzazioni, gran parte del repertorio gestuale delle scimmie, soprattutto

antropomorfe, viene appreso individualmente ed utilizzato in modo intenzionale, volontario e

flessibile. Esiste, infatti, un alto grado di variabilità individuale nella produzione e nell’uso dei gesti.

Tra i primi sostenitori dell’ipotesi dell’origine gestuale del linguaggio vi fu il filosofo francese Étienne

de Condillac (1747). A causa del veto della Società Linguistica di Parigi (1866), ma anche a causa

dell’elevata oscurità dell’argomento e della mancanza di approcci scientifici efficaci, le speculazioni

sull’origine del linguaggio andarono incontro ad un arresto quasi totale fino agli anni ’70 del

Novecento, periodo in cui l’avvento degli studi comparati di psicologia, neuroscienze e

paleoantropologia ha permesso ai ricercatori di lavorare finalmente su fonti e dati più solidi ed

affidabili. 4

L’ipotesi di Michael Corballis

Tra le ipotesi più moderne ed accreditate oggi figura quella del

neuroscienziato neozelandese Michael Corballis, pubblicata nel 2002

nell’opera Dalla mano alla bocca. Le origini del linguaggio. La tesi di

Corballis, riassunta in un enunciato, sostiene che il linguaggio umano si è

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