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Sintesi
Storia e Filosofia - il linguaggio nei regimi totalitari del Novecento: i regimi Nazista, Stalinista e Fascista
Italiano - Il Futurismo: distruzione della sintassi e interventismo
Storia dell'Arte - Futurismo e Fascismo
Inglese - Orwell's 1984: language manipulation in a dystopia
Estratto del documento

IL LINGUAGGIO NEI REGIMI TOTALITARI EUROPEI DEL

NOVECENTO (STORIA E FILOSOFIA)

Nel corso della storia ogni sorta di regime si è avvalso dell’utilizzo del linguaggio per

manipolare e controllare la società su cui governavano, ma l’esempio più caratterizzante

è, forse, quello dei regimi totalitari del Novecento, in particolare dei regimi nazista e

stalinista. Nello stesso contesto di utilizzo del linguaggio come manipolazione si inserisce

anche il regime fascista italiano, benché non fosse un regime totalitario vero e proprio.

Mussolini, Stalin e Hitler, sfruttando carisma e violenza, sono riusciti a organizzare il

consenso, reprimere il dissenso e mantenere il potere a lungo mediante la capacità di

controllare e manipolare le masse.

movimenti totalitari sono organizzazioni di massa di individui atomizzati e isolati,

«I

da cui, in confronto degli altri partiti e movimenti, esigono una dedizione e “fedeltà”

incondizionata e illimitata […]». Le origini del totalitarismo)

(H. Arendt –

Dalla citazione della Arendt si evince che un elemento fondamentale per l’instaurazione

masse,

di un regime totalitario sono le intese come un gruppo indifferenziato di persone,

non caratterizzate da una comunanza di interessi, ma da l’atomizzazione dell’individuo,

da “isolamento nella sfera politica ed estraniazione nella sfera dei rapporti sociali”. Tale

situazione è insopportabile per ogni singolo individuo, che, dunque, risulta facilmente

convinto da un’ideologia – come quelle dei movimenti totalitari – che, benché presenti

evidenti menzogne in più aspetti, offra un’evasione da tale realtà. Infatti, i totalitarismi

del Novecento, basati nella loro ascesa sull’appoggio delle masse, offrirono a esse nuove

illusioni e miti cui credere (come la superiorità della razza ariana o la necessità di una

continua lotta di classe per giungere all’emancipazione del proletariato), operando nei

masse,

loro confronti una manipolazione ideologica senza eguali. Le cui si rivolsero i

movimenti totalitari, erano quelle che i precedenti partiti politici non erano riusciti a

coinvolgere, ritenendo che fossero solo una minoranza – irrilevante – rispetto alla

popolazione politicamente attiva. I movimenti totalitari, però, dimostrarono il contrario e

si servirono della grande forza numerica della masse per la propria ascesa al potere.

Il totalitarismo è una forma contemporanea di dittatura nella quale tutto fa capo ad un

unico partito (e capo) e lo Stato controlla non solo l'aspetto politico ed economico, ma

quasi ogni aspetto della vita di un individuo, come l’educazione e i rapporti sociali, anche

privati. Il potere politico invade la società, soffocandone ogni autonomia, come dimostra

l’eliminazione di ogni possibile istituzione che possa contraddire il partito al governo, che

controlla anche i mezzi di comunicazione, in modo che niente di ciò che viene divulgato

sia contro l’ideologia del partito. Tale ideologia è la legittimazione stessa del regime e deve

essere accettata, quasi fosse una fede, da tutta la popolazione. Infatti, il partito unico che

governa punta a ottenere il consenso e la partecipazione del popolo. L’ideologia (la “logica

di un’idea”) di regime si basa, a partire da una premessa, sulla coerenza e una serie di

deduzioni logiche, che rasentano, a volte, l’assurdo e l’incredibilità, elementi che

scompaiono per i caratteri dello stesso regime totalitario, nel quale la distinzione tra

realtà e finzione si perde. La stessa incapacità di distinguere tra vero e falso si richiede

anche all’ideale suddito di un regime totalitario. Infatti, i regimi totalitari vogliono

impadronirsi delle coscienze dei cittadini, annullando la loro originalità ed individualità.

In questo modo la società si irrigidisce e i cittadini diventano quasi dei soldati con l’unico

compito di servire la nazione, la quale è sempre potenzialmente in lotta contro nemici

interni (perseguitati, mediante l’utilizzo di polizie segrete di regime, ed eliminati come

poco affidabili”) obbedire, combattere!”,

“individui ed esterni (cit.: “Credere, slogan

fascista). La propaganda contro questi ultimi è estremamente aspra, in modo da

screditarli e porli quasi sullo stesso piano di “belve e mostri” mediante un meccanismo

del nemico”.

definito “demonizzazione

(La prima immagine proposta è un manifesto nazista contro il bolscevismo che viene

presentato come un pericoloso ragno che avvelena tutto il mondo. La seconda immagine,

invece, è ancora un manifesto nazista, ma stavolta di argomento antisemitico; infatti la

“terribile piovra” che attanaglia il mondo coi suoi tentacoli rappresenta il potere e la

congiura ebraica internazionale.)

L’eliminazione continua dei “nemici” interni (veri e non) è un fatto caratteristico e

comune dei regimi totalitari. Basti pensare alle grandi purghe dell’URSS, che, dietro alla

menzogna di eliminare nemici e complottanti interni, servirono per eliminare soggetti

diventati invisi al regime perché “sapevano troppo”, in vista della riscrittura della storia

della rivoluzione russa.

Un altro espediente, utilizzato per screditare quello che si riconosce come il “nemico”

dello Stato/del partito, è quello di indicare quest’ultimo mediante un termine specifico

che, benché in sé sia assolutamente normale, utilizzato in un particolare contesto viene

ad assumere un significato ben diverso, negativo. Peculiarità dei regimi totalitari, poi, è il

fatto che la continua ripetizione di questo termine, nella sua accezione negativa, fa sì che

esso conservi tale significato in ogni altro contesto. Ad esempio, i Nazisti riconoscono

negli Ebrei i loro veri nemici, simboli della malvagità universale e del male che affligge

Germania e contrappongono ad essi l’ideale supremo dell’arianità come razza perfetta e

superiore a tutte le razze. La continua ripetizione dei termini “ebreo”, “ebraismo”

non essere

contribuisce a identificare immediatamente il nemico e a sottolineare il suo

tedesco, quasi come non fosse nemmeno umano, ma alieno (uno dei requisiti per

iscriversi al partito Nazionalsocialista Tedesco era, infatti, la prova dell’origine non

ebraica). Con un astuto gioco linguistico, poi, il Nazismo arriva a identificare tutti i suoi

avversari in un unico nemico, come se fossero tutti collegati all’ebraismo: «l’ideologia

giudaico marxista», «l’interesse giudaico inglese», «il sistema di sfruttamento giudaico–

capitalista», «congiura giudo-pluto-massonica».

Per contro, sempre a fini propagandistici, il partito e soprattutto il suo capo vengono

presentati come il “bene assoluto”. In particolare, i “sudditi” portano avanti un vero a

proprio “culto del capo”, quasi fosse una divinità in terra, visto come guida da seguire,

in maniera che il

protettore della patria e operante sempre per il bene dei cittadini ("Agisci

Fuhrer, se conoscesse le tue azioni, approverebbe", slogan nazista). Così, Mussolini,

Kampf”di

“Duce” (= guida), diventa l’uomo della Provvidenza; il “Mein Hitler, “Fuhrer”,

batiuska,

diventa la “Bibbia” del Nazismo e Stalin diventa il il piccolo padre di tutti i

proletari (termine che, nel regime zarista, era riservato allo zar).

Il rapporto che si instaura, però, tra il capo e le masse è lo stesso che si crea tra

l’ipnotizzatore e l’ipnotizzato (sono noti, infatti, il potere suggestivo e la grande

adunate

fascinazione dei discorsi di Hitler, o di quelli di Mussolini nelle cosiddette

oceaniche): la massa crede ciecamente alle parole del capo e viene ad assumere i caratteri

contagio mentale,

della folla, caratterizzata dal che consiste nella ripetizione di uno stesso

atto o stato d’animo in modo acritico, e nella quale si creano dei legami che portano a

proiettare l’aggressività fuori dal gruppo stesso (di qui le numerose manifestazioni di

violenza che caratterizzano i regimi totalitari).

Da quanto detto, si può intuire che il linguaggio avesse una grande importanza nei

regimi totalitari e fosse controllato da chi deteneva il potere, anche grazie al monopolio

dei mezzi di comunicazione di massa. Il linguaggio totalitario, caratterizzato da una

lingua povera e uniforme, è strettamente connesso all’azione politica, anzi, è volto a

legittimare la stessa. Ciò a cui esso punta è l’eliminazione della molteplicità di significati

che può avere un dato concetto e anche della varietà di modi per esprimere quello stesso

concetto, in modo che ogni affermazione possa essere fatta e interpretata in un unico

modo, quello definito dal regime. La società risulta, dunque, immobilizzata, poiché la

soggettività viene soppressa. Il potere è presente in ogni campo della società e del governo

politica del terrore

e utilizza anche e soprattutto la per ottenere l’adesione totale

all’ideologia, ricorrendo anche alla persecuzione e all’eliminazione del dissenso (cit.: “O

con noi o contro di noi”, “la vera

slogan fascista). Il terrore in sé, però, pur essendo

essenza del regime totalitario ”,

1 non basta a garantirne il potere, per questo serve la

legittimazione popolare, che è ricercata mediante la propaganda. Tramite la propaganda è

possibile influenzare gli uomini, manipolando i meccanismi del loro comportamento,

provocando le loro reazioni e rendendole prevedibili secondo regole controllabili: in una

formula, utilizzando nei loro confronti la violenza psichica . La propaganda dei regimi

2

totalitari, utilizzata per la prima volta in maniera coerente, razionale e organizzata, è

soprattutto propaganda politica e raggiunge la sua massima efficacia. Essa sfrutta il

fattore psichico e i suoi meccanismi, utilizzando slogan semplici e perentori e una serie di

immagini stereotipate (emblemi, ritratti del capo, caricature dei nemici ecc.).

Sono note, infatti, le numerose fotografie che raffigurano Mussolini impegnato in attività

semplici ma utili a veicolare un’immagine positiva di sé e del fascismo, o anche l’istituto

LUCE, portavoce del regime e volto a “educare” le masse all’ideologia fascista.

Il linguaggio della propaganda, come anche il linguaggio totalitario, è caratterizzato

dall’utilizzo di termine dal doppio significato, quello letterario e quello di regime, e dal

progressivo tentativo di sostituire il primo col secondo. La verità, così, non è un più un

fine ma un mezzo che serve al controllo.

propaganda non deve servire la

"La

verità, specialmente perché questa

potrebbe servire l'avversario". (Hitler)

Alla verità come aderenza di un’affermazione alla realtà va a sostituirsi l’arbitrarietà

dell’affermazione, alla verifica basata sull’esperienza, il rapporto fideistico nei confronti

del capo e del partito. Anche diverse teorie scientifiche – prime fra tutte le teorizzazioni

darwiniane di evoluzione delle specie e della lotta per la sopravvivenza – vennero usate in

modo arbitrario dal Nazismo, che ne diede un’interpretazione trasfigurata, per poterle

utilizzare come prova della fondatezza dell’esistenza delle razze e dell’idea della

superiorità naturale della razza ariana. Lo stesso si può dire per la trasfigurazione delle

teorizzazioni di Marx nell’URSS di Stalin.

Si può affermare, quindi, che i totalitarismi puntano a intervenire sul pubblico pensiero

attraverso la lingua, confermando così l’ipotesi che le forme del linguaggio influenzano le

forme del pensiero e cioè che il pensiero di un popolo è determinato dalle strutture della

lingua che parla . Ma, dal momento che la lingua dei regimi totalitari è povera e univoca

3

il ragionamento umano in essi risulta ben poco supportato e con esso anche la

comunicazione stessa e anche il modo di vedere il mondo risulta influenzato. Svilita in

questo modo, la lingua diventa uno strumento di manipolazione a servizio delle varie

ideologie di partito, in base alle quali i regimi si mostrano come necessari storicamente e

cercano di radicare la convinzione, di matrice cristiana ed hegeliana, di fondarsi e

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