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Sintesi
Storia: l'Italia del Boom e il '68

Italiano: Umberto Saba (Città vecchia)

Psicologia: l'emarginazione

Latino: Seneca (Epistulae Ad Lucilium)

Inglese: Edgar Lee Masters (Spoon River Anthology)
Estratto del documento

Silvia Valsecchi 5^Ap

minimamente conto della società stessa e, quindi, quello di diminuire la distanza tra potere

e società.

Egli, nel 1973, incide l'album Storia di un impiegato, , in cui racconta la storia di un

impiegato il quale, dopo cinque anni, ascolta una delle canzoni del maggio francese, che

ricorda gli avvenimenti accaduti durante la rivolta degli studenti e si rivolge, allo stesso

tempo, a chi a quella lotta non ha partecipato ricordando che chiunque, anche chi per

paura in quei giorni si è chiuso in casa, è coinvolto in ciò che è avvenuto. L'impiegato

paragona così la sua vita fatta di buonsenso, individualismo e paure a quella degli

studenti che si sono ribellati al sistema che li opprimeva; egli vuole unirsi idealmente ad

essi, seppure con qualche anno di ritardo, scegliendo però un approccio individualista e

violento per liberarsi da tutti i problemi che lo incatenano al posto di lavoro.

L’album rappresenta il percorso dell’impiegato e la sua evoluzione: egli, pur volendo

ribellarsi, non è in grado di liberarsi dall’individualismo, dalla lotta che mira solo a scopi

personali e dai codici di comportamenti che distinguono chi si divide il potere. Solo nel

momento in cui viene arrestato, grazie al carcere che rappresenta una situazione di

collettività, riesce a imparare un nuovo modo di agire, di pensare e di gestire la propria

persona, tenendo conto della presenza degli altri e facendosi tutt’uno con essi, ripetendo

la stessa posizione di lotta, ma questa volta consapevole di appartenere alla stessa classe

degli sfruttati.

Egli si fa sempre meno cantante e sempre più interprete abile dei fatti del mondo, in grado

di penetrare nell’animo dell’uomo e di comprendere i suoi gesti e le emozioni che li hanno

provocati.

Nell’album, il brano del maggio francese ascoltato dall’impiegato è rappresentato da La

canzone del maggio. È una canzone di protesta, tratta da un canto degli studenti parigini

del maggio '68, anno in cui si verificarono scioperi operai e manifestazioni studentesche

contro il sistema capitalistico, accusato di produrre sfruttamento e ingiustizie sociali e di

manipolare le coscienze con i mass-media.

CANZONE DEL MAGGIO

Anche se il nostro maggio

ha fatto a meno del vostro coraggio

se la paura di guardare

vi ha fatto chinare il mento

se il fuoco ha risparmiato

le vostre millecento

anche se voi vi credete assolti

siete lo stesso coinvolti.

E se vi siete detti

non sta succedendo niente,

le fabbriche riapriranno,

arresteranno qualche studente

convinti che fosse un gioco

a cui avremmo giocato poco

provate pure a credervi assolti

siete lo stesso coinvolti.

Anche se avete chiuso

le vostre porte sul nostro muso

la notte che le "pantere"

ci mordevano il sedere

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Silvia Valsecchi 5^Ap lasciandoci in buonafede

massacrare sui marciapiede

anche se ora ve ne fregate,

voi quella notte voi c'eravate.

E se nei vostri quartieri

tutto è rimasto come ieri,

senza le barricate

senza feriti, senza granate,

se avete preso per buone

le "verità" della televisione

anche se allora vi siete assolti

siete lo stesso coinvolti.

E se credete ora

che tutto sia come prima

perché avete votato ancora

la sicurezza, la disciplina,

convinti di allontanare

la paura di cambiare

verremo ancora alle vostre porte

e grideremo ancora più forte

per quanto voi vi crediate assolti

siete per sempre coinvolti,

per quanto voi vi crediate assolti

siete per sempre coinvolti.

Esprimendo le motivazioni più profonde della protesta e della rivolta sessantottina, De

André dichiara la propria adesione al movimento attraverso l'uso dell'aggettivo nostro e si

schiera contro i benpensanti che videro minacciato l'ordine stabilito.

Il ceto medio, opportunista e formalista, è rappresentato con grande efficacia attraverso

pochi elementi: la millecento, la fiducia nella televisione, il desiderio di non compromettersi

votando ancora la sicurezza, la disciplina.

Sono presenti alcune metafore:

-lo stesso maggio (v. 1), oltre al suo ovvio livello denotativo, rinvia a una rinascita di forze

intellettuali, volte al cambiamento e al miglioramento della società;

-ci mordevano il sedere (v. 20), riferito alle auto della polizia, indica l'inseguimento.

Possiamo individuare un'anafora con lievi variazioni lessicali del canto d'accusa: anche

se voi vi credete assolti / siete lo stesso coinvolti (vv. 7-8), provate pure a credervi assolti...

(v. 15), anche se allora vi siete assolti... (v. 31), per quanto voi vi crediate assolti (v. 41).

Per quanto riguarda il metro, il brano è composto da quattro strofe di otto versi, più una

strofa finale di dieci. I versi sono di differente lunghezza: dal settenario (ad es. vv. 1 e 8)

all'endecasillabo (ad es. vv. 2 e 30), dal quinario doppio (ad es. vv. 12 e 28) all'ottonario

(ad es. vv. 19 e 38) al novenario (ad es. vv. 22 e 35). Le rime, maggiormente regolari nella

seconda parte, sono baciate: maggio/coraggio, assolti/coinvolti, gioco/poco, ecc., o

alternate: mento/millecento, niente/studente, ora/ancora. Manca la rima ai vv. 3-5 e 9-11;

vi è invece rima imperfetta ai vv. 21-22 e assonanza tonica ai vv. 34-36.

Poco più di un decennio prima dell’incisione dell’album Storia di un impiegato, nel 1962,

Fabrizio De Andrè scrive il testo di La città vecchia.

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Silvia Valsecchi 5^Ap LA CITTÀ VECCHIA

Fabrizio De André

Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi,

ha già troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi.

Una bimba canta la canzone antica della donnaccia,

quel che ancor non sai tu lo imparerai solo qui fra le mie braccia.

E se alla sua età le difetterà la competenza

presto affinerà le capacità con l’esperienza.

Dove sono andati i tempi d’una volta, oh, per Giunone!

quando ci voleva per fare il mestiere anche un po’ di vocazione?

Una gamba qua, una gamba là gonfi di vino

quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino.

Li troverai là col tempo che fa estate e inverno,

a stratracannare, a stramaledir le donne, il tempo ed il governo.

Loro cercan là la felicità dentro a un bicchiere

per dimenticare d’esser stati presi per il sedere.

Ci sarà allegria anche in agonia col vino forte,

porteran sul viso l’ombra d’un sorriso fra le braccia della morte.

Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone

forse quella che sola ti può dare una lezione.

Quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie,

quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie.

Tu la cercherai, tu la invocherai più di una notte,

ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette.

Quando incasserai, dilapiderai mezza pensione

diecimila lire per sentirti dire: micio bello e bamboccione.

Se t’inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli

in quell’aria spessa carica di sale, gonfia di odori,

Lì ci troverai i ladri, gli assassini e il tipo strano,

quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.

Se tu penserai e giudicherai da buon borghese

li condannerai a cinquemila anni più le spese.

Ma se capirai, se ricercherai fino in fondo

se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo

Essa è costituita da una serie di “quadri” di vita di un quartiere genovese del centro

storico, attraverso cui il cantautore rappresenta il mondo degli emarginati, a lui molto cari e

troppo spesso dimenticati, persino dal buon Dio. Descrive con simpatia prostitute e

pensionati ubriachi, in quanto raffigurano la schiettezza contrapposta all’ipocrisia del

vecchio professore dal comportamento ambiguo, mentre nelle ultime due strofe delinea la

zona dell’angiporto di Genova e i personaggi che lo abitano, quali ladri, assassini e

approfittatori senza scrupoli.

De Andrè chiede di non giudicare queste persone con il metro della legalità e della

mentalità borghese, ma di provare per loro un forte senso di pietà, in quanto essi non sono

altro che vittime della società e della storia.

Per quanto riguarda le figure retoriche, al primo verso possiamo individuare una metafora:

“Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”, mentre ai versi 51-52 troviamo

una sinestesia: “in quell’aria spessa carica di sale / gonfia di odori”.

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Silvia Valsecchi 5^Ap

Riguardo alla metrica, invece, il testo è costituito da otto strofe ognuna formata da otto

verso di uguale misura, che si distendono sul ritmo cadenzato della mazurca. Le rime

sono regolari e baciate per tutta la canzone, ad eccezione dell’ultima strofa in cui abbiamo

delle rime al mezzo: “penserai”-“giudicherai”, “capirai”-“cercherai”, “gigli”-“figli”; una rima

baciata: “borghese”-“spese” ed una rima alternata: “fondo”-“mondo”.

Per il titolo ed il contenuto del brano Fabrizio si ispira a Città vecchia, celebre poesia di

Umberto Saba, ambientata nella zona portuale di Trieste.

CITTÀ’ VECCHIA

Umberto Saba

(da “Trieste e una donna”, 1910-12)

Spesso, per ritornare alla mia casa

prendo un’oscura via di città vecchia.

Giallo in qualche pozzanghera si specchia

qualche fanale, e affollata è la strada.

Qui tra la gente che viene e che va

dall’osteria alla casa o al lupanare,

dove son merci ed uomini il detrito

di un gran porto di mare,

io ritrovo, passando, l’infinito

nell’umiltà.

Qui prostituta e marinaio, il vecchio

che bestemmia, la femmina che bega,

il dragone che siede alla bottega

del friggitore,

la tumultuante giovane impazzita

d’amore,

sono tutte creature della vita

e del dolore;

s’agita in esse, come in me, il Signore.

Qui degli umili sento in compagnia

il mio pensiero farsi

più puro dove più turpe è la via.

Saba ci descrive un momento abituale della sua giornata, della sua vita, cioè quando

tornando verso casa attraversa strade della parte più vecchia della città di Trieste: la zona

portuale. Egli, attraverso i suoi occhi, ci permette di vedere attimi di vita vissuta come se

venissero fotografati. Con questi versi il poeta ci comunica anche il suo stato d'animo, i

sentimenti che prova in quel momento.

La prima strofa inizia con l'avverbio "Spesso" per indicare che questa situazione non è

occasionale ma piuttosto frequente. Ci appare immediatamente l'immagine di una via della

zona portuale di Trieste “Città Vecchia”. E' sera e la strada affollata è illuminata da qualche

fanale. Con la prima strofa si conclude la descrizione dall’esterno, oggettiva, che il poeta ci

fornisce all'inizio dell'ambiente circostante.

Con la seconda strofa,infatti, il poeta non è più un estraneo, ma si trova "tra la gente che

viene che va". Queste persone vanno allo stesso modo a casa o al lupanare (il prostibolo:

luogo dove si pratica la prostituzione) senza particolari problemi. Saba paragona le merci

e gli uomini a dei detriti, a degli scarti, a dei rifiuti di una grande città come Trieste. Ma lui

proprio in mezzo a questa gente ritrova "l'infinito nell'umiltà". L'infinito, un qualcosa di

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Silvia Valsecchi 5^Ap

immenso, indeterminato, indefinito, senza confini, viene trovato dal poeta nell'umiltà di

questa gente. A questo punto Saba ci dà una descrizione più dettagliata delle singole

persone, mostrandole ad una ad una. Il poeta elenca una serie di persone, umili, di basso

rango come una prostituta con un marinaio, un vecchio che bestemmia, una donna che

litiga, un soldato che siede ad una bottega di un friggitore, una giovane tumultuante

impazzita d'amore, definendo tutte queste persone come "creature della vita e del dolore".

Creature quindi, che, nonostante appartengano agli strati più bassi della società, vivono

come tutte le altre persone, momenti belli, positivi nel loro piccolo, e momenti brutti,

negativi e dolorosi. Anche queste sono creature come tutte le altre e quindi figli di Dio, il

Signore, che non abbandona i propri figli ed è presente anche in questi luoghi, anche nella

parte più povera, depravata e peccatrice della città, e come in loro il Signore si agita anche

nel poeta.

Nella terza ed ultima strofa Saba esprime i suoi sentimenti e fa capire quanto egli in questi

luoghi della sua città non si senta un estraneo, ma in "compagnia". Il suo pensiero, la sua

anima, le sue preoccupazioni si alleggeriscono proprio qui in un ambiente vergognoso e

peccaminoso.

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