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In questa tesina ho voluto fare una descrizione del progresso della scienza avvenuto negli anni che corrono tra '800 e '900
Materie trattate: fisica, geografia astronomica, italiano, storia, latino, chimica, inglese, filosofia, arte
POPPER
Con la caduta delle certezze assolute sulle quali si era basata la cultura dell’800 anche
la scienza va in crisi, ineffetti alla luce di nuove scoperte come quelle della geometria
non euclidea e della teoria della relatività di Einstein, si comprende che anche il
sapere scientifico non è assoluto e che le leggi che regolano i fenomeni non si
possono definire una volta per tutte. Le teorie scientifiche devono essere ritenute
delle semplici ipotesi o congetture destinate a rimanere tali. La lezione di Einstein fu
compresa nel secolo scorso da Popper che, impressionato dalle “previsioni rischiose”
del suo maestro, si convinse che una teoria non è scientifica se non si presta ad essere
confutata, cioè falsificata. É quindi la falsificabilità e non la verificabilità che
costituisce il tratto caratteristico delle teorie scientifiche del 900. É la direzione stessa
dell’indagine che viene in tal modo invertita: non si muove da fatti alla costruzione
delle teorie, ma dalle teorie mediante i fatti. E poiché questo controllo avviene
traendo deduttivamente dalle teorie le loro conseguenze osservabili, Popper designa il
metodo da lui proposto come ipotetico-deduttivo: e definisce i controlli empirici
asserzioni-base il cui utilizzo presuppone sempre un accordo in seno alla comunità
dei ricercatori.
Quindi, pur essendo esito di congetture audaci le teorie, una volta trovate, vanno
provate. Cioè il metodo che Popper propone procede per prove ed errori, congetture e
confutazioni. Esso come sottolinea il filosofo, si risolve nei seguenti momenti:
1. Inciampiamo in un problema
2. Tentiamo di risolverlo
3. impariamo dai nostri errori
Il filosofo perciò critica il metodo induttivo utilizzato dalla scienza tradizionale,
perché per quanto numerosi possano essere i casi osservabili non giustificano una
legge generale, viceversa una teoria è falsificabile se e solo se esiste almeno un
falsificatore potenziale, cioè un possibile asserto di base che entri logicamente in
conflitto con essa.
Si comprende che Popper esclude dall’ambito scientifico l’osservazionismo,
procedimento secondo il quale lo scienziato osserverebbe la natura senza presupposti
o ipotesi precostituite. E ciò perché la nostra mente non è un recipiente vuoto, ma un
faro che illumina, ossia un deposito d’ipotesi o di aspettative, alla luce delle quali
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recepiamo la realtà. In poche parole nell’accostarci ai presunti fatti, noi già siamo
impregnati di teorie. Contro il sapere assoluto Popper rivendica la problematicità del
nostro sapere la cui ricerca non ha fine, in poche parole lo scienziato non deve
tendere al possesso del vero, ma alla ricerca mai conclusa di esso. Quindi se la verità
rimane una pura idea regolativa, il compito dello studioso è quello di raggiungere
teorie sempre più verosimili all’ideale di una descrizione esauriente del mondo. In
questo ambito la scienza si presenta come teatro di lotta fra teorie rivali. A tale
proposito Popper parla di una selezione naturale fra le ipotesi: vengono eliminate
quelle che non resistono alla concorrenza, cioè quelle inadatte.
VERISMO
Il nuovo pensiero scientifico e filosofico legato alla seconda rivoluzione industriale e
al Positivismo, ebbe immediati riflessi sulla letteratura del tempo che prese il nome di
Realismo.
Il principio fondamentale della poetica realista, che in Francia prese il nome di
Naturalismo e in Italia di Verismo, è che l’arte deve rappresentare il reale-positivo,
cioè deve ritrarre i comportamenti e gli ambienti non delle classi privilegiate, ma di
quelle più umili, perché sono esse quelle più vicine alla natura e al vero.Inoltre, l’arte
deve essere impersonale: l’artista deve ritrarre il vero in modo distaccato e freddo,
analogo a quello con cui gli scienziati descrivono un fenomeno della natura. Bisogna
precisare che l’impersonalità, mentre fu esasperata dal Naturalismo al punto da
ridurre l’opera d’arte a una rappresentazione fotografica e scientifica della realtà, la
troviamo attenuata negli scrittori veristi, nelle cui opere, anche se latente, si individua
l’impronta della personalità dell’artista e la sua personale visione del mondo.
Il genere letterario, espressione di questa nuova poetica, fu il romanzo sociale che
soppiantò quello storico che lasciava tanta parte alla fantasia e alla manimopazione
arbitraria dello scrittore. Al contrario quello sociale si prestava a rappresentare
obbiettivamente personaggi, caratteri e costumi della società.
Altri elementi della tecnica realistica sono:
La descrizione particolareggiata dei paesaggi, dei personaggi e degli ambienti.
I frequenti monologhi e i dialoghi che conferiscono alla narrazione un andamento
rapido e serrato simile a quello teatrale.
Il linguaggio semplice, popolare aderente al carattere dei personaggi, intriso di
termini e costrutti dialettali.
Lo scrittore più rappresentativo del Verismo italiano fu Giovanni Verga che pur
partendo dai postulati teorici del verismo, scrisse opere di grande valore umano e
poetico. Infatti il suo verismo non fu una fredda e distaccata riproduzione del reale,
ma rispecchia un forte sentimento di dolore e di tristezza difronte alla vita soprattutto
di quella della povera gente della sua terra. Ineffetti il Verga ebbe una concezione
dolorosa e tragica dell’esistenza umana. Egli pensava che tutti gli uomini sono
sottoposti ad un destino impietoso e crudele che li condanna non solo all’infelicità e
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al dolore, ma anche a una condizione di immobilismo nell’ambiente familiare, sociale
ed economico in cui sono venuti a trovarsi nascendo. Chi cerca di uscire dalla
condizione in cui il destino l’ha posto, non trova la felicità sognata, anzi va
immancabilmente incontro a sofferenze maggiori come succede a ‘Ntoni Malavoglia
e a Mastro Don Gesualdo.
Questa concezione fatalistica e immobile dell’uomo sembra contraddire la fede nel
progresso, propria delle dottrine positivistiche ed evoluzionistiche. In verità Verga
non nega il progresso, ma lo riduce alle sole forme esteriori, per lui progredisce
l’umanità nel suo complesso, grazie alle conquiste scientifiche e tecnologiche, ma
l’uomo singolo è sempre dolorante ed infelice, costantemente posto nelle mani del
destino. Uniche note positive che si riscontrano nella sua poetica vanno individuate:
In quel sentimento della grandezza e dell’eroismo umano che lo portano ad assumere
verso i vinti un atteggiamento misto di pietà e di ammirazione: pietà per le loro
sventure, ammirazione per la loro virile rassegnazione.
La fede in alcuni valori che sfuggono alle ferree leggi del destino e della società: la
religione della famiglia e della casa, la dedizione al lavoro, il senso dell’onore e della
dignità.
La saggezza che ci viene dalla coscienza dei nostri limiti e ci aiuta a sopportare le
delusioni, saggezza condensata nei frequenti proverbi di Padron ‘Ntoni.
I MALAVOGLIA
Nei Malavoglia il Verga narra le vicende di una famiglia di pescatori (i Toscano, detti
i Malavoglia). Il suo unico patrimonio è costituito: da una grossa barca, la
Provvidenza, e dalla casa del Nespolo.
Spesso nomi e nomignoli sono usati in senso ironico, col sentimento del contrasto
con la realtà.
Così è per la barca, la Provvidenza, che non mantiene certo la promessa del suo nome
ben augurale, così è per Maruzza, detta la Longa, che però è tutt’altro che lunga,
essendo bassissima e minuta. I Toscano sono soprannominati i Malavoglia, ma sono
tutt’altro che svogliati, essendo attivi ed operosi.
L’ideale di questa povera gente è proprio quello dell’ostrica, ossia l’attaccamento alla
casa, alla famiglia e al lavoro.
Nei Malavoglia si scontrano due concezioni della vita: la concezione di chi, come
padron ‘Ntoni, si sente legato alla tradizione e riconosce la saggezza dei valori
antichi, come il culto della famiglia, e la concezione di chi come il nipote ‘Ntoni si
ribella all’immobilismo dell’ambiente in cui vive, ne rifiuta i valori aspirando ad una
vita diversa. La simpatia di Verga è verso Padron ‘Ntoni e Alessi dei quali
ricostruisce il focolare domestico andato distrutto.
La lingua è semplice, viva, popolare modulata sui dialetti e sui modi popolari.
MASTRO DON GESUALDO 11
In “Mastro Don Gesualdo” il Verga narra le vicende di un ex muratore, Gesualdo
Motta, che con la sua tenace laboriosità è riuscito ad arricchirsi.
Sul piano sociale il romanzo rappresenta la borghesia in ascesa di nuova formazione,
avida e ambiziosa, simboleggiata da Mastro Don Gesualdo, e le vecchie aristocrazie
in declino simboleggiate dai Trao.
I due romanzi hanno in comune il tema di fondo del ciclo dei “vinti”. Mettere in
evidenza il movente dell’agire umano che genera il progresso, ma mentre ciò che
mette in moto le vicende ne “I Malavoglia” è il bisogno di uscire dalla miseria, in
“Mastro Don Gesualdo” è la brama di ricchezza e di ascesa sociale.
Differente è il motivo di aspirazione: nei Malavoglia è la religione della famiglia e
della casa; in Mastro Don Gesualdo è la religione della roba, divenuta quasi oggetto
di culto per le fatiche che è costata.
Differente è anche la struttura dei due romanzi: nei Malavoglia è compatta, organica;
in Mastro Don Gesualdo è a quadri staccati (lo dimostra la divisione in quattro
capitoli).
Differente è il tono della narrazione: lirico quello dei Malavoglia; polemico e satirico
quello di Mastro Don Gesualdo dovuto allo sdegno nello scrittore per gli eccessi
dell’economicità pura, cioè del progresso fine a se stesso.
Differente, infine è anche il pessimismo che domina nei due romanzi: nei Malavoglia
è lenito dal conforto della religione, della casa e della famiglia riservata a chi resta
fedele al loro mito come avviene per Alessi; e più cupo e totale in Mastro Don
Gesualdo la smania di ricchezze e della scesa sociale chiude il cuore dell’uomo
d’affari, lo rende vile e spietato condannandolo a una solitudine amara e senza
speranze. 12
Italo Svevo
L’opera letteraria di Italo Svevo costituì un momento di passaggio tra il decadentismo
italiano e la grande narrativa europea del Novecento. Svevo riuscì molto presto ad
acquistare uno spessore intellettuale raro negli scrittori italiani del tempo non solo
perché ebbe la fortuna di vivere in una città con grandi caratteristiche culturali, cioè
Trieste, ma anche perché al centro della sua formazione c’erano da una parte la
conoscenza della filosofia tedesca, e dall’altra il forte interesse per la psicoanalisi di
Freud.
Inoltre, oltre ad interessarsi alla letteratura, Svevo svolgeva il lavoro di impiegato in
banca, iniziato dopo il fallimento della ditta paterna (1880) e collaborava come critico
teatrale e letterario a “L’indipendente”, famoso giornale triestino. Ci fu un altro
evento nella vita di Svevo che si rivelò poi fecondo per il suo futuro percorso
letterario; infatti, nel 1905 Svevo cominciò a prender lezioni di inglese da James
Joyce e fu proprio quest’ultimo che lo incoraggiò a scrivere nuovi romanzi. Intanto,
nel 1908, si era accostato all’opera di Freup, che gli fornì altri strumenti per
scandagliare la “coscienza” dell’inetto Zena Cosini.
I protagonisti dei suoi romanzi sono gli “inetti”, infatti, guardano vivere gli altri e
sono incapaci di vivere la propria vita. Tra le sue opere più importanti ricodiamo:
“Una vita”, ispirata alla sua esperienza di impiegato; infatti, il romanzo è incentrato
sul personaggio di Alfonso Nitti, che, incapace di adattarsi alle leggi e all’ambiente
dell’ufficio, viene sconfitto dalla sua inettitudine che gli impedisce di tradurre
l’ideale in azione. Poi abbiamo “Senilità”, dove il riferimento non è al dato
anagrafico bensì alla patologica vecchiaia psicologico-morale di Emilio Brentani, che
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nel tentativo di riscattare la mediocrità e il grigiore della propria vita, intreccia con
Angiolina, la donna che lui amava, una relazione che si rivelerà fallimentare per
l’incapacità di Emilio di mettere in pratica quello che lui desiderava fare.