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Sintesi
Introduzione Esiste Dio? tesina


La tesina si struttura come percorso attraverso le interpretazioni date da filosofi o letterati differenti circa Dio.

Collegamenti

Esiste Dio? Il problema del trascendente nella cultura occidentale


Filosofia- S.Tommaso, Spinoza, Marx, Freud, Nietzsche.
latino: Seneca.
Inglese: Beckett.
Estratto del documento

INDICE

Seneca, epistola 41. (pag. 4)

Epistulae morales ad Lucilium,

• S.Tommaso e la dimostrazione razionale di Dio. (pag. 8)

• Spinoza e il panteismo. (pag. 10)

• Marx: la religione come “oppio dei popoli”. (pag. 14)

• Freud: la religione come isteria del mondo. (pag. 15)

• Nietzsche: la morte di Dio. (pag. 16)

• Beckett and the theatre of the Absurd: waiting for God? (pag. 19)

• Una questione aperta: Jonas e “Il concetto di Dio dopo Auschwitz”. (pag.

• 21)

Bibliografia e sitografia. (pag. 22)

• 3

SENECA

Le Epistulae morales ad Lucilium.

Le “Epistulae morales ad Lucilium” sono l'opera filosofica più importante di

Seneca, quella in cui esprime nel modo più maturo e personale la sua visione

della vita e dell'uomo. Si tratta di una raccolta di lettere scritte dopo il ritiro

dall'attività politica, dunque dal 62 al 65: sono in tutto 124, distribuite in venti

libri. Il destinatario è Lucilio, un giovane amico e discepolo a cui Seneca dedicò

anche le e il dialogo

Naturales quaestiones De providentia.

Le epistole, di varia estensione, sono una riflessione su problemi di filosofia

morale, un'antologia di temi cari a Seneca, quali il tempo, la morte, la figura del

saggio.

Egli assume nei confronti dell'amico l'atteggiamento del consigliere e del maestro,

per aiutarlo a raggiungere quella sapienza che egli sta ancora perseguendo giorno

per giorno.

Nel complesso, si tratta di epistole letterarie, esplicitamente destinate alla

pubblicazione e ai posteri, come affermato da Seneca stesso: è il primo epistolario

propriamente letterario in latino, poiché, a differenza di quelli ciceroniani, fu

concepito fin dall'inizio in vista della pubblicazione.

I grandi temi esistenziali affrontati da Seneca non vengono analizzati in modo

astratto, ma partono da circostanze contingenti, talvolta autobiografiche: le

esperienze autobiografiche vengono sempre trasformate in occasioni di riflessione

da cui ricavare utili ammaestramenti.

Il modo di procedere dell'esposizione è libero, disinvolto, colloquiale: Seneca

infatti assimila esplicitamente il suo discorso al sermo, cioè ad una conversazione

informale. Tipico del sermo è l'assenza di sistematicità nell'esposizione della

materia, sia all'interno delle singole lettere che nella disposizione della raccolta. Il

filo conduttore è il progressivo avanzamento del destinatario sulla strada della

conoscenza filosofica. Da qui il carattere pedagogico e parenetico delle lettere,

nelle quali Seneca presta particolare attenzione a quanto succede nell'io,

nell'interiorità dell'individuo.

Un dio abita dentro ciascuno di noi (Epistulae morales ad Lucilium, 41, 1-5)

Seneca Lucilio suo salutem

[1] Facis rem optimam et tibi salutarem si, ut scribis, perseveras ire ad bonam

mentem, quam stultum est optare cum possis a te impetrare. Non sunt ad

caelum elevandae manus nec exorandus aedituus ut nos ad aurem simulacri,

quasi magis exaudiri possimus, admittat: prope est a te deus, tecum est, intus

est. [2] Ita dico, Lucilii: sacer intra nos spiritus sedet, malorum bonorumque

nostrorum observator et custos; hic prout a nobis tractatus est, ita nos ipse

tractat. Bonus vero vir sine deo nemo est: an potest aliquis supra fortunam nisi

ab illo adiutus exsurgere? Ille dat consilia magnifica et erecta. In unoquoque

virorum bonorum

(quis deus incertum est) habitat deus.

[3] si tibi occurrerit vetustis arboribus et solitam altitudinem egressis frequens 4

lucus et conspectum caeli <densitate> ramorum aliorum alios protegentium

summovens, illa proceritas silvae et secretum loci et admiratio umbrae in aperto

tam densae atque continuae fidem tibi numinis faciet. Si quis specus saxis

penitus exesis montem suspenderit, non manu factus, sed naturalibus causis in

tantam laxitatem excavatus, animum tuum quadam religionis suspicione

percutiet. Magnorum fluminum capita veneramur; subita ex abdito vastis amnis

eruptio aras habet; coluntur aquarum calentium fontes, et stagna quaedam vel

opacitas vel immensa altitudo sacravit. [4] Si hominem videris interritum

periculis, intactum cupiditatibus, inter adversa felicem, in mediis tempestatibus

placidum, ex superiore loco homines videntem, ex aequo deos, non subibit te

veneratio eius? non dices: «ista res maior est altiorque quam ut credi similis huic

in quo est corpuscolo possit?» [5] Vis isto divina descendit; animum excellentem,

moderatum, omnia tamquam minora transeuntem, quidquid timemus

optamusque ridentem, caelestis potentia agitat. Non potes res tanta sine

adminiculo numinis stare; itaque maiore sui parte illic est unde descendit.

Quemadmodum radii solis contingunt quidem terram sed ibi sunt unde

mittuntur, sic animus magnus ac sacer et in hoc demissus, ut propius [quidem]

divina nossemus, conversatur quidem nobiscum sed haeret origini suae; illinc

pendet, illuc spectat ac nititur, nostris tamquam melior interest.

[1] Fai proprio una cosa buona e a te salutare se, come scrivi, continui ad

avanzare verso la saggezza: è insensato chiederla a dio, visto che puoi ottenerla

da te. Non occorre alzare le mani al cielo o scongiurare il sacrestano che ci lasci

avvicinare alle orecchie della statua, quasi potessimo trovare più ascolto: dio è

vicino a te, è con te, è dentro di te. [2] Secondo me, Lucilio, c'è in noi uno spirito

sacro, che osserva e sorveglia le nostre azioni, buone e cattive; a seconda di come

noi lo trattiamo, lui stesso ci tratta. Nessun uomo è virtuoso senza dio: oppure

qualcuno può ergersi al di sopra della sorte senza il suo aiuto? Egli ci ispira

principi nobili ed elevati. In ogni uomo virtuoso

abita un dio (quale non si sa).

[3] Se ti troverai davanti a un bosco folto di alberi secolari, di altezza insolita,

dove la densità dei rami, che si coprono l'un l'altro, impedisce la vista del cielo,

l'altezza di quella selva, la solitudine del luogo e lo stupore che desta un'ombra

tanto densa e ininterrotta in uno spazio aperto, ti persuaderà che lì c'è un dio. Se

una grotta, creata non dalla mano dell'uomo, ma scavata in tanta ampiezza da

fenomeni naturali, sostiene su rocce profondamente corrose un monte, un

sentimento di religioso timore colpirà il tuo animo. Noi veneriamo le sorgenti dei

grandi fiumi; vengono innalzati altari là dove d'improvviso scaturisce dal

sottosuolo una copiosa corrente; onoriamo le fonti di acque termali, e il colore

opaco o la smisurata profondità hanno reso sacri certi laghi [4]Se vedrai un uomo

impavido di fronte ai pericoli, libero da passioni, felice nelle avversità, tranquillo

in mezzo alle tempeste, che guarda gli altri uomini dall'alto e gli dèi alla pari, non

ti pervaderà un senso di rispetto per lui? Non dirai: "C'è un qualcosa di troppo

grande ed eccelso perché possa ritenersi simile al povero corpo in cui si trova"?

[5] Una forza divina è discesa in lui; una potenza celeste stimola questo spirito

straordinario, moderato, che passa oltre ogni cosa considerandola di poco conto,

che se la ride dei nostri timori e desideri. Non può un essere così grande restare

saldo senza l'aiuto divino; perciò la parte maggiore di lui è là da dove è disceso.

Come i raggi del sole raggiungono la terra, ma non si staccano dal loro punto di 5

partenza, così l'anima grande e santa, mandata quaggiù per farci conoscere

meglio il divino, sta insieme a noi, ma rimane unita alla sua origine; dipende da

essa, a essa guarda e aspira e sta in mezzo a noi come un essere superiore.

Dal punto di vista dei contenuti, l'epistola di Seneca mostra il proprio debito

dottrinale nei confronti della tradizione platonico-stoica, e non rivela tratti di

spiccata originalità.

Se, nei paragrafi iniziali, l'immagine del che alberga all'interno

sacer spiritus

dell'uomo (e in particolare del l'uomo saggio e virtuoso), consigliandolo

bonus vir,

e indirizzandone le azioni in qualità di e rimanda alla

observator custos,

concezione del demone platonico, l'idea più propriamente stoica dell'anima come

emanazione del universale compare nel paragrafo 5, nel paragone con i

logos

raggi del sole che irradiano la terra pur restando in cielo: allo stesso modo

l'anima del saggio, che partecipa alla forza divina discesa in lui, dimora solo

fisicamente sulla terra, ma spiritualmente in cielo, da dove proviene. Questa forza

divina discesa nel saggio si esprime in un animo superiore, equilibrato,

indifferente a tutto ciò che è umano e mortale, libero a timori e desideri.

Al paragrafo 3 Seneca elenca una serie di luoghi o spettacoli naturali in grado di

inspirare nell'uomo un senso di religioso timore e il presentimento della presenza

divina: boschi, che suscitano venerazione per l'antichità, e l'altezza degli alberi e

l'ombra fittissima che gli avvolge; spelonche scavate nei fianchi delle montagne;

fiumi e sorgenti.

Lo stesso sentimento – argomenta Seneca – dovrà destare la visione dell'uomo

saggio, di cui al pararafo 4 sono riassunte le caratteristiche: l'incrollabilità

dinanzi al pericolo e alle avversità, l'indifferenza ai piaceri e alle passioni, la

superiorità rispetto agli uomini, l'uguaglianza dinanzi agli dei. Come di fronte allo

spettacolo della natura, così anche di fronte allo “spettacolo del saggio” e di

queste qualità eccezionali, si ottiene dunque la certezza della presenza del dio in

lui.

Il tema del si modella, dandogli esso stesso forma, sul linguaggio

deus internus

senecano dell'interiorità; da qui l'uso innovativo e peculiarissimo di preposizioni e

avverbi che denotano la dimensione psichica, interiore (intra, in), dotati in Seneca

di una pregnanza semantica mai attestata prima.

Sul finire del paragrafo 1, la frase afferma

prope est a te deus, tecum est, intus est

la presenza di dio non solo vicino all'uomo, ma anche all'interno dell'uomo.

L'idea è ripresa all'inizio del paragrafo successivo nella fortemente

sententia,

allitterante, prosegue sulla linea

sacer inter nos spiritus sedet: intra nos

dell'interiorizzazione del linguaggio, già annunciata dall'uso peculiare di (il

intus

latino classico si sarebbe espresso usando il più generico in nobis); la

preposizione spesso unita a pronomi personali, si specializza in Seneca a

intra,

designare non più o non tanto la dimensione spaziale, quanto piuttosto quella

interiore, psichica.

Alla fine del paragrafo Seneca torna a ribadire il concetto, utilizzando un verso

virgiliano: in In

unoquoque virorum bonorum (quis deus incertum est) habitat deus.

Virgilio, il verso (Eneide 8, v. 352) appartiene alla descrizione che fa Evandro a

Enea dei luoghi dove sorgerà la futura Roma, e in particolare di un bosco che

ricopriva il Campidoglio, che gli abitanti del luogo credevano abitato da una

divinità. Seneca interiorizza la citazione virgiliana, adattandola a significare la

dimora del dio nel cuore degli uomini virtuosi. 6

Il motivo del affonda le proprie radici nella sfera mistico-religiosa e

deus internus

si lega in primo luogo alla sconvolgente esperienza del divino nei culti orgiastici e

misterici, nonché nell'invasamento profetico. La filosofia si appropria di questa

tradizione e la utilizza per definire l'essenza dell'anima; per Platone l'anima, la

parte più divina dell'uomo, si identifica con il principio di natura divina

dàimon,

che è stato infuso dal dio come una sorte di genio tutelare.

Lo stoicismo introduce, all'interno del motivo e della definizione dell'anima

umana, un significativo spostamento d'ottica; mentre la dottrina platonica aveva

infatti messo l'accento su una generica natura divina dell'anima, gli stoici

riconoscono in essa la manifestazione più alta del immanente nel mondo, la

logos

divinità che è diffusa in ogni creazione. L'anima è essa stessa dio, poiché viene

riconosciuta come una sua emanazione diretta, come parte di lui; l'uomo non

deve innalzare templi agli dei, ma coltivare il vero dio che è dentro di lui, nel suo

spirito e nella sua mente. Teologia e morale vengono così a coincidere: praticare

la vera religione equivale a praticare la virtù. 7

SAN TOMMASO D'AQUINO

La dimostrazione razionale dell'esistenza di Dio

“La dimostrazione può avvenire in due modi: il primo è quello di risalire alla causa,

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