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Sintesi
“Ogni immigrato nelle nostre società è insieme un emigrato dalla sua società d'origine”.
A cura di Zaira Campigotto 5° C Liceo scientifico “ Giorgio Dal Piaz”

ETIMOLOGIA DEL TERMINE EMIGRAZIONE



Etimologicamente il termine emigrazione indica l’abbandono dell’ambiente d'origine da parte di popolazioni o di individui considerati singolarmente o come gruppi sociali, con l'obiettivo di stabilirsi in un nuovo territorio o ambiente definitivamente e in alcuni casi temporaneamente.
L'emigrazione è un fenomeno demografico caratterizzato dallo spostamento di grandi masse di popolazione da uno Stato a un altro o da una regione all'altra di una stessa nazione. In genere i fenomeni migratori sono motivati da uno squilibrio fra popolazione e risorse. Chi non trova opportunità lavorative nel proprio Paese d'origine sufficienti a permettergli una vita decorosa, si sposta dove ritiene che esistano maggiori possibilità di lavoro e condizioni di vita favorevoli.

TIPI DI EMIGRAZIONI



Le emigrazioni, con riferimento alla loro durata, possono essere distinte in emigrazioni stagionali, temporanee o definitive.
Le emigrazioni temporanee possono essere distinte a loro volta da quelle definitive solo a posteriori in quanto possono coprire periodi estremamente differenziati, cioè mesi,anni,decenni.
Le emigrazioni sul piano giuridico possono,invece,essere individuate come emigrazioni interne. Questa distinzione risulta essere un principio classificatorio del tutto insufficiente, poiché non tiene conto delle reali distanze geografiche e della portata dei cambiamenti di stile di vita. L’emigrazione interna, infatti, da un lato pone sullo stesso piano il trasferimento di un’analoga famiglia dalla costa atlantica degli Stati Uniti verso la California in cerca di nuove terre da coltivare o miniere di metalli preziosi da sfruttare, dall'altro lato l’emigrazione internazionale riunisce in una stessa categoria le migrazioni di grandi masse con quelle dei piccoli gruppi di lavoratori stagionali che soprattutto in passato emigravano temporaneamente dai loro paesi di origine seguendo la stagione agricola o quella turistica.
Un’altra distinzione può essere fatta tra emigrazione coatta e volontaria.
Nel primo caso si tratta di un'espulsione forzata dal Paese d'origine di individui da parte di autorità politiche o religiose, nel secondo caso si tratta della libera scelta da parte di questi soggetti di andare alla ricerca di un nuovo Paese in cui poter condurre una vita migliore.

CAUSE DELL’EMIGRAZIONE



Da un'attenta analisi dei vari movimenti migratori sia all’interno di uno stesso paese che verso paesi stranieri, emergono in primo luogo una serie di fattori economici che, per quanto diversificati specificamente, possono essere ricondotti ad un unico concetto generale.
Le condizioni materiali di vita divenute insufficienti e talvolta non in grado di garantire neppure la semplice sopravvivenza spingono gli individui all’emigrazione, sia definitiva sia temporanea . Si pensi ad esempio ai grandi movimenti di popolazione in seguito alle siccità e carestie in Africa, oppure alle migrazioni interne dalle campagne verso le concentrazioni urbane e industriali, che hanno accompagnato la rivoluzione industriale in Europa. Accanto alle cause di carattere economico, in alcuni casi, sono presenti altre motivazioni di carattere socio-politico, ideologico e religioso. Si pensi ad esempio alla lunga marcia dei Mormoni verso la “terra promessa”, che li portò nel secolo XIX dall’Ohio allo Utah attraverso due terzi dell’attuale territorio degli Stati Uniti, oppure al drammatico esodo degli Ebrei dalla Germania e dai paesi politicamente controllati da essa durante il periodo nazista.
Altri fattori quali le nuove scoperte geografiche,il progresso tecnologico, si sono dimostrati storicamente determinanti nell’influenzare o addirittura nel rendere possibile,l’emigrazione stessa.

LE ONDATE MIGRATORIE



L’emigrazione italiana nel mondo è stato uno dei fenomeni più singolari e unici della storia contemporanea che ha interessato il nostro Paese. L’interesse per il tema rimane tuttora forte a causa dei recenti e diffusi fenomeni di xenofobia verificatisi in una Nazione a lungo protagonista di flussi verso l’estero, e per l’ampio dibattito riguardante il voto degli italiani all’estero. Appare utile quindi ricordare il momento in cui l'Italia è diventata protagonista del fenomeno migratorio.
Trattandosi di un fenomeno complesso e lungo, è importante individuare le varie fasi differenti tra loro per caratteristiche demografiche e sociali; cronologicamente la classificazione più diffusa ne propone quattro:
-la prima, dal 1876 al 1900;
-la seconda, dal 1900 alla prima guerra mondiale;
-la terza, tra le due guerre;
-la quarta, dal dopoguerra agli anni ‘60/’70.
La data del 1876 indica la prima rilevazione ufficiale dell’emigrazione italiana; della fase precedente esistono solo dati che aiutano a comprendere l’evoluzione di un fenomeno non riconducibile alla sola età contemporanea.



Prima fase migratoria: 1876-1900



Nella storia migratoria italiana dei primi sessant'anni dopo l'Unità, si distinguono due periodi. La prima fase, che giunge fino alla fine dell'Ottocento, è caratterizzata da un forte flusso migratorio dalle regioni settentrionali.
Tra i paesi di destinazione l'America settentrionale (in particolar modo gli Stati Uniti) occupa una posizione di rilievo. 1.1 Emigrazione italiana in Nordamerica
Gli emigranti italiani che giungevano in America settentrionale si inserivano in un Paese fortemente urbanizzato e svolgevano attività lavorative di tipo industriale in genere dequalificate o si occupavano della costruzione di strade e ferrovie, raramente essi svolgevano attività agricole.
Il flusso migratorio dall'Italia settentrionale, così come quello tedesco, scandinavo, britannico, interessano Paesi, in cui è in corso la rivoluzione industriale e un'intensa trasformazione sociale; si tratta di un'immigrazione relativamente colta e qualificata dal punto di vista lavorativo, i cui costumi differivano poco da quelli "americani", cioè da quella cultura di origine britannica che era stata fatta propria dalla maggioranza della popolazione statunitense.

1.2 Emigrazione italiana in Sudamerica



Gli emigrati italiani che partivano per il Sudamerica, in particolare verso il Brasile, riuscivano spesso ad inserirsi nel settore agricolo, costituendo spesso aziende indipendenti.
L'emigrazione veneta in America Latina è un fenomeno unico: le cosiddette golondrinas, le rondinelle che, a partire dagli anni Novanta, sfruttando l'inversione delle stagioni nei due emisferi, si muovevano da ottobre a marzo per i raccolti e soprattutto per la mietitura. Ogni emigrante andava nei luoghi in cui vi erano parenti, amici, conoscenti,in modo tale da avere un punto di riferimento e un aiuto.
Tra aree di partenza e aree di destinazione si stabilivano dei nessi privilegiati, così gli emigranti dalla zona di Bassano, nel Veneto, tendevano a emigrare in Brasile, in particolare nell'area nota appunto come "Nuova Bassano"; coloro che provenivano dai villaggi liguri emigravano in California e così via.

2.Seconda fase migratoria:1900-1914



La seconda fase (1901-1915) coincide con l’industrializzazione italiana; eppure, è detta “grande emigrazione“ proprio a causa dell’incapacità del nostro sistema di sviluppo economico, non intenso né uniforme, di assorbire la manodopera eccedente. L’emigrazione del periodo è soprattutto extraeuropea: il 45% degli emigranti (prevalentemente meridionali) espatriano in America e proprio le grandi variazioni sono visibili tra gli anni 1908 in cui si registrano 487 000 partenze e 1913 in cui si registrano 870 000 partenze. Permane lo squilibrio tra i sessi, e specie per i settentrionali aumenta la tendenza all’espatrio in Europa.
La media annuale è di 600.000 partenze, aggiungendosi ai dati complessivi del periodo: 9.000.000 di persone emigrate. Nel 1901 viene creato il Commissariato Generale dell’emigrazione che tutelava l’espatrio dall’azione speculativa di intermediari e agenti delle compagnie di navigazione, autori di grandi arricchimenti, pur senza risolvere le enormi problematiche igieniche e sociali causate dalla concentrazione di emigranti nei tradizionali porti d’imbarco (Genova, Napoli, Palermo): l’ epidemia di colera a Napoli nel 1911, le vessazioni cui furono sottoposti gli emigranti gemeralmente (portatori a detta del questore di Genova di “grave danno dell’igiene, della morale, del decoro”) e le donne in particolare, contro le quali si scatenarono “antichi pregiudizi e nuove paure” (A.Molinari), oltre alle tradizionali attitudini violente del “branco” maschile (abusi, violenze, furti).

2.1 Migranti meridionali: le caratteristiche



Questa "nuova immigrazione" è composta in genere da analfabeti, contadini sradicati dalla terra, poveri, la cui cultura differisce radicalmente da quella "americana".
E’ un'emigrazione in larghissima prevalenza maschile e adulta (donne e bambini restavano in Italia), con una percentuale di rimpatri molto elevata (quasi uno su tre), dedita ai lavori di tipo operaio poco o per nulla qualificato, (pochi sono gli emigranti che si dedicano alle attività rurali), e che destina gran parte dei suoi guadagni alla famiglia rimasta in Italia. Molti emigranti si recano nei Paesi del sud, in particolar modo in Brasile e Argentina.
La scelta tra le aree di destinazione è tra un lavoro e una collocazione sociale simili a quelli lasciati in patria, e un radicale e brusco cambiamento.
L'obiettivo della loro emigrazione non era (come era avvenuto ad esempio per gli irlandesi o per l'emigrazione settentrionale che li aveva preceduti e come avveniva ancora per gli ebrei dell'Europa orientale) quello di lasciare la propria terra in cui non riuscivano a sopravvivere, bensì il guadagno di denaro utile per comprare terreni nel Paese d'origine e per migliorare la loro condizione sociale.
In questo modo si comprende l'incredibile flusso di "rimesse", ovvero il denaro inviato in patria dagli emigranti. Il flusso di una simile quantità di denaro dall'estero faceva dell'emigrazione di massa una straordinaria risorsa per l'economia italiana, permettendo al Paese acquisti di materie prime e pagamenti di debiti internazionali.
Solo molto tempo dopo la classe dirigente italiana ha cominciato a comprendere quanto quei vantaggi immediati abbiano però causato il decadimento economico di intere aree, innumerevoli tragedie, sofferenze personali e collettive.
Gran parte delle forze politiche dominanti era favorevole all'emigrazione di massa soprattutto laddove le tensioni sociali erano insostenibili (soprattutto in Italia meridionale).
2.2 Atteggiamenti razzisti negli Stati Uniti.
Molti americani assumevano i meridionali italiani che venivano compresi nella " nuova immigrazione" meridionale ed orientale (russi, slavi del sud, greci).
Per poter dare una spiegazione "scientifica" - biologico-razziale - alle evidenti differenze culturali ed economiche tra le due aree di provenienza degli emigranti italiani, sociologi e Governo dividono gli immigrati italiani in due gruppi diversi : "celtici" , affini cioè agli irlandesi e ai francesi, i settentrionali; "iberici", affini cioè ai portoghesi e agli spagnoli, i meridionali.
Per spiegare le differenze di cultura e di comportamento tra gli italiani del nord e del sud emigrati negli Stati Uniti, anziché ricorrere a simili teorie pseudo-scientifiche, sarebbe bastato conoscere la diversa situazione economica delle diverse regioni italiane e il diverso atteggiamento che, prima dell'unificazione e anche dopo, il potere politico aveva assunto in merito all'istruzione e alla situazione sociale nelle campagne.
3 La chiusura delle frontiere americane
Con due leggi, una del 1921 e l'altra, ancora più restrittiva, del 1924, gli USA chiusero le frontiere dell'immigrazione.
Alla base della campagna anti-immigrazione c'era la convinzione secondo cui l'afflusso di migranti dall'Europa meridionale e orientale stesse avendo un'influenza negativa sul Paese sia dal punto di vista razziale (in quanto sarebbe cresciuto il peso delle "razze inferiori" rispetto a quelle superiori, in particolare quella "anglosassone"), sia dal punto di vista economico (in quanto i "nuovi immigranti" erano considerati meno produttivi e più tendenti a farsi mantenere dalla collettività di quanto fossero stati i loro predecessori).
In questo modo spariva quella che era stata la massima valvola di sfogo, per oltre un secolo, degli squilibri demografici europei.

La terza fase migratoria (tra le due guerre)



Essa Coincise con un brusco calo delle partenze: vi contribuirono dapprima le restrizioni legislative adottate da alcuni Stati (in particolare gli USA, con le “quote” (1921/1924) di immigrati annuali che favorivano le comunità di antica immigrazione e quindi più “integrate”, e con i “Literacy Tests” contro gli analfabeti); in secondo luogo, la tendenza statalista e dirigista seguita a partire dal 1921 attraverso varie conferenze internazionali tenute a Roma per disciplinare i flussi; inoltre, la politica fortemente restrittiva attuata dal fascismo per motivi di prestigio (l’“immagine negativa” fornita dai gruppi di partenti) e di potenziamento bellico (trattenendo molte giovani leve da impiegare per scopi militari); per ultimo, il peso delle crisi economiche degli anni ’20 (specie quella del ’29).
L’ emigrazione si diresse quindi soprattutto verso la Francia, alimentata anche dai numerosi espatri oltralpe degli oppositori politici del fascismo (specialmente comunisti), e verso la Germania negli anni ’30, specie dopo la firma del “Patto d’Acciaio”.
In quel periodo aumentarono i richiami dei congiunti dall’estero (crebbe quindi la presenza femminile, segno di stanziamento definitivo all’estero). Dal 1920 al 1940, emigrarono circa 3.200.000 persone, destinate a supplire alla deficienza francese e tedesca di manodopera nazionale in agricoltura, edilizia, industria.
Dopo esser stato incorporato nel Ministero degli Esteri, il “Commissariato” fu in seguito sostituito con la “Direzione generale per gli italiani all’estero”.

La quarta fase migratoria: dal dopoguerra agli anni ‘60/’70



Nella quarta e ultima fase (1945-1970 ca.) in Italia aumentarono nuovamente i flussi migratori, infatti, si registrarono sette milioni di espatri. I cambiamenti politici ed economici del Paese però alimentarono un parallelo flusso dalle campagne verso le città e le regioni settentrionali più industrializzate. Prevalsero due destinazioni: extraeuropea (America Latina, subito in calo per le continue crisi economiche e politiche, Australia, Venezuela) ed europea (Francia, Svizzera, Germania). Peculiare fu l’esperienza migratoria in Belgio, destinata al lavoro in miniera ed improvvisamente abbandonata nel 1956 in seguito alla tragedia di Marcinelle in cui persero la vita anche 136 minatori italiani. Dagli anni ’50 le mete transoceaniche calano ulteriormente.

CON LA VALIGIA IN MANO



Sei arrivato in una piovosa notte di fine marzo.
Ad aspettarti io e mia madre…tua sorella.
non alla solita stazione
e nemmeno l’ora e’ la stessa.
Ti abbiamo atteso,
sedute sul divano della tua dimora,
quella casa che tanto amavi,
testimonianza delle tue origini,
da sempre custodite nel tuo cuore.
Siamo rimaste lì sedute per ore,
eri in ritardo…
Pare strano ma…
non hai mai indugiato così tanto,
quando prendevi il treno.
Le campane segnano le ore che passano:
un rintocco, due, tre…
e poi il rumore del furgone che avanza.
Sei arrivato
…non con le solite valigie,
quelle che hai sempre tanto odiato
…non con la presenza di chi ti e’ stata vicina
fino all’ultimo respiro…
Questavolta,
comequellavolta,
seiarrivatosolo,
alpuntodipartenza
della tua esistenza. Dona

IL MESTIERE DELL’EMIGRANTE



Nell’arco di oltre cent’anni,(inizia nel 1860 e a partire dal 1875 sarà vero e proprio esodo)- gli emigranti italiani svolsero varie attività. Questi, negli anni della grande fuga dalle campagne di tutta Europa di fine ottocento erano generalmente contadini e una volta partiti all'Estero cominciarono a mettere in pratica una serie di competenze professionali acquisite o magari appena intraprese in patria. Nelle Americhe e in molti Paesi europei i lavoratori italiani si cimentarono via via con una varietà di mestieri legati all'attività contadina, all'attività artigianale urbana e ad antiche specializzazioni lavorative su basi locali e regionali.
Gli italiani che sbarcavano negli Stati Uniti non avevano mai svolto lavori come l'idraulico, l'imbianchino, il metallurgico, l'impiegato o il contabile; in altri settori invece i lavoratori italiani monopolizzavano il mercato del lavoro: erano scalpellini e muratori, meccanici, marinai, barbieri, sarte e cucitrici.
Un altro settore in cui erano impiegati gli italiani era quello alimentare: molti sono stati coloro che aprirono un'attività commerciale legata ai beni di prima necessità o che aprirono un ristorante: negli Stati Uniti, Francia, Spagna, ecc.
Molte di queste specializzazioni erano funzionali, non meno delle attività poco qualificate, alle esigenze dell’economia dei Paesi d’immigrazione o si dispersero nei cantieri edili e a ridosso delle nuove linee ferroviarie, lungo le strade che collegavano i nuovi territori, nelle cave e miniere, nelle grandi e piccole officine e naturalmente nelle campagne del nuovo continente.

LA FIGURA DELL’EMIGRANTE NELLA LETTERATURA ITALIANA - Ugo Foscolo, “ A Zacinto



Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
Metro: sonetto (ABAB, ABAB, CDE, CED)

Breve commento



Il sonetto fa parte di un gruppo di quattro composizioni (Alla sera, A Zacinto, Alla Musa, In morte del fratello Giovanni) aggiunti a otto sonetti (Non son chi fui, Che stai?, Te nidrice alle Muse, E tu ne' carmi, Perché tacci, Cisì gl'interi giorni, Meritamente, Solcata ho fronte) pubblicati in precedenza (1802) a Pisa nel Giornale dei letterati. I temi dominanti sono la nostalgia verso la terra natia, perduta per sempre, e i richiami al mito e alla poesia greca. Vengono analizzati anche gli altri grandi temi della poesia foscoliana che saranno ripresi e sviluppati successivamente soprattutto nei "Sepolcri": l'esilio, il destino avverso e la tomba illacrimata e solitaria. Seguendo la critica idealistica si può affermare che nel sonetto sono presenti i miti fondamentali della poesia foscoliana (mito inteso come immagini significative, sintesi della vita, degli affetti e delle meditazioni del poeta):
- il mito dell'esilio - esilio come rifiuto del poeta di accettare i valori della società in cui viveva, e quindi esilio come rivolta morale contro la società e come momento di meditazione.
- il mito del sepolcro come centro di affetti familiari, simbolo di una corrispondenza d'amore che lega gli uomini attraverso il tempo; illusione della vittoria della vita sulla morte, sopravvivenza delle tradizioni civili di un popolo nella storia.
- il mito della bellezza serenatrice vista come bellezza eterna e incorruttibile che per i mortali è alternativa all'angoscia di vivere e dà la possibilità di raggiungere un superiore equilibrio.
- il mito della poesia intesa come mezzo per tramandare alla generazioni successive i più grandi valori della civiltà umana. La poesia è quindi concepita come eternatrice e portatrice di valori più alti che oltre a sfidare la morte, sfida anche il tempo.

Analisi



Il sonetto inizia con una triplice negazione (che è una constatazione amara del poeta della perdita della sua patria) e termina con la sentenza definitiva del suo esilio e della sua illacrimata sepoltura in terra straniera. Tra questi due poli negativi è racchiusa, attraverso l'incatenamento di immagini la rappresentazione nostalgica e meravigliosa del mondo ideale dell'infanzia del poeta e la trasfigurazione mitica della propria esperienza dell'esilio che avviene attraverso all'analogia fra la sua figura è quella di Ulisse. Ulisse, "bello di fama e di sventura" rappresenta l'immagine del poeta, anch'egli esule magnanimo avversato dal destino e dagli uomini, ma rappresenta soprattutto il nuovo concetto dell'eroe romantico, grande per la forza e la dignità con cui sopporta le ingiurie della sventura (l'esito dell'esilio però, sarà diverso; Foscolo a differenza di Ulisse sarà sepolto in terra straniera e nessuno verserà delle lacrime sulla sua tomba). Altre immagini mitiche sono poi presente nei versi, quella di Omero che rappresenta la poesia eternatrice dell'eroismo e dei valori più alti e Venere, nata secondo il mito dalla spuma del mare, simbolo della natura fecondatrice, della bellezza e dell'armonia, che con il suo sorriso ha reso fertile e rigogliosa la patria del poeta.

Ritmo



Il ritmo del sonetto è reso dal sovrapporsi di più piani:
- le rime;
- la struttura metrica degli endecasillabi;
- la non coincidenza tra enunciati e versi (enjambement, punteggiatura a metà del verso etc.);
- la particolare struttura sintattica che vede sei proposizioni relative concatenate che collegano tra loro, come in un continuum inesauribile, le immagini scaturite dal ricordo infantile del poeta.
v. 3. che tu specchi...
v.4 da cui vergine...
v. 5 e fea quelle isole... (la cui vergine etc.)
v. 6 onde (per cui) non tacque...
v 8 colui che l'acqua...
v. 10 per cui bello...

Figure retoriche



parafrasi: greco mar (Jonio); di colui che l'acque cantò fatali (Omero)
litote - non tacque

Lessico e sintassi



Linguaggio e sintassi della tradizione aulica, complesso nella costruzione (inversioni etc.) e ricco di latinismi e termini letterari.
Esempi - latinismi: vergine (giovane), diverso (che vaga di qua e di là).
Letterari: onde, illacrimata inclito, ove etc.

Parafrasi



Io non potrò mai piu’ toccare le sacre sponde dove il mio corpo da piccolo giacque; o Zante mia, che ti rispecchi nelle onde del mare greco dal quale nacque la dea vergine Venere, e rese feconde quelle isole attraverso il suo primo sorriso, motivo per cui l’ alta poesia di Omero non potè non parlare del tuo limpido cielo, e delle avventure di Ulisse per il mare governato dal fato e l’ esilio di colui, bello per la fama e per la disgrazia, che è arrivato alla fine a baciare la sua Itaca piena di pietre. Tu Zacinto non avrai altro che la poesia del tuo figlio, a noi il destino ha ordinato una sepoltura senza lacrime.

Alessandro Manzoni: L'ADDIO AI MONTI



Alla fine dell'ottavo capitolo dei Promessi Sposi, Manzoni realizza una descrizione paesaggistica di grande effetto: l'addio ai monti. Il paesaggio chiude la sezione del Borgo, ed è forse per questo che Manzoni conclude senza lasciare suspense. La descrizione è molto poetica, capace di rendere un'elevata musicalità anche grazie all'utilizzo di parole onomatopeiche. La descrizione rappresenta il triste pensiero di Lucia, costretta da un giorno all'altro ad abbandonare la sua terra natia. Nel completo silenzio, quando l'occhio cade sul palazzotto di Don Rodrigo e sulle sue proprietà, l'immagine corrisponde a una minaccia. Nella descrizione del paesaggio, Manzoni ritrae tutti i minimi dettagli dell'ambiente circostante come si fa sempre quando si deve lasciare qualcosa di amato. Per Lucia la sua casa e quei luoghi sono gli unici posti mai conosciuti. Manzoni mette poi in parallelo due diverse situazioni: un emigrante che lascia la terra natia per andare a fare fortuna altrove e un individuo (Lucia), costretto ingiustamente a fuggire dal suo paese. L'emigrante, alla vista di quei monti vorrebbe restare e poi, trovandosi spaesato in una grande città, maledirà il giorno della sua partenza. Lucia, dando l'addio ai posti che l'hanno vista crescere, personifica il paesaggio, salutando ad uno ad uno i suoi ricordi.

GIOVANNI PASCOLI: ITALY



Italy, l'ultimo dei "Primi Poemetti", è una delle poesie più lunghe del poeta romagnolo (450 versi in due canti di terzine dantesche: canto primo, canto secondo) e ricalca moduli epico-narrativi. La dedica è singolare: Sacro all'Italia raminga. Tratta infatti uno degli argomenti più scottanti della storia sociale italiana tra Ottocento e Novecento, quello dell'emigrazione, femomeno che riguardò non meno di 20 milioni di nostri connazionali. Ciò che spesso oggi sfugge è come, nell'intenzione di chi allora partiva, si trattasse di una migrazione temporanea che aveva come fine principale quello di migliorare la propria condizione economica e quella della propria famiglia in patria con l'obiettivo di acquistare un campo e di costruirsi una casa.
La vicenda narra di un gruppo familiare di quattro persone che ritorna una sera di febbraio a Caprona, in Garfagnana, per portarvi la piccola Maria detta Molly, nella speranza che l'aria salubre di montagna la possa guarire dalla tisi. La accompagnano il vecchio nonno e gli zii Beppe e Ghita. Nella casa avita, nera per la fuliggine e buia, è rimasta la nonna i cui gesti quotidiani come mungere le vacche, pulire la greppia e filare si ripetono immutabili da sempre. La prima reazione della piccola è di rifiuto e nella sua lingua d'oltremare dice allo zio Beppe: Bad country, Ioe, your Italy! E lo zio la compiange: Poor Molly! Qui non trovi il pai con fleva di fronte al pane fatto in casa e al latte appena munto messo in tavola dalla nonna.
Il pai con fleva (pai with flavour), così come i molti bìsini (business), il fruttistendo (fruitstand) o vende checche, candi, scrima (cakes, candy, ice-cream) sono la lingua particolare dell'emigrante, un inglese italianizzato o addirittura dialettizzato che diventa la lingua franca in cui si esprime chi ha lasciato la propria terra e in qualche modo non appartiene del tutto nè ad una realtà nè all'altra.
E che dire dell'attualità del grido dell'emigrante, un vu' cumprà e costa poco che si ripete nel tempo:
Will you buy... per Chicago e Baltimora
buy images... per Troy, Memphis, Atlanta,
con una voce che te stesso accora:

cheap! ... nella notte, solo in mezzo a tanta
gente; cheap! cheap! tra un urlerio che opprime;
cheap! ... Finalmente un altro odi, che canta...
Molly però non è attratta come la zia Ghita dalla modernità de la mi' Mèrica dove per pochi cents si possono comprare stoffe lustre come sete. Anche se all'inizio la sua reazione è lapidaria

You like this country? ella negò severa
Oh, no! Bad Italy! Bad Italy!
A poco a poco la nonna la conquista, con i suoi gesti lenti, con il suo filare sempre uguale che ripercorrono lo stesso affetto da generazioni. Sono proprio quei gesti del tempo delle fate, che nessuno in America fa più, che rapiscono la fantasia di Molly che trascorre ore accanto al focolare e alla nonna. E Molly decide, decide di die in Italy. " oh yes, Molly morire in Italy!"
Italy allora si commuove e il maltempo lascia il posto al sole primaverile che guarisce la piccola. In quella casa che la bimba chiamava bad tornano le rondini, sweet, sweet. La situazione iniziale a un certo punto si ribalta: il bel tempo fa guarire la tosse di Molly, ma la tosse colpisce ora la nonna e se la porta via.
Il poemetto si chiude con la partenza della famiglia dopo il funerale. Hanno preso la ticchetta del barco e tra un buona cianza (chance) e un good bye se ne vanno, con la promessa di ritornare, anche quella della piccola Molly.
Al di là della vicenda, commovente nella sua semplicità, il poemetto è un capolavoro linguistico in cui si intrecciano la bellezza di quattro diversi idiomi: italiano, vernacolo, inglese e gergo dell'emigrante, un misto delle prime tre. Non c'è da stupirsi che il buon Benedetto Croce abbia cassato questa lirica che è invece un esempio dello sperimentalismo linguistico pascoliano e di quanto questo poeta sia stato capace di anticipare temi che verranno ripresi ed ampliati in tempi più vicini a noi.

Effetti della migrazione



Sebbene siano state fatte molte ipotesi sugli effetti delle migrazioni, purtroppo non è possibile dare una risposta univoca, poiché la realtà è molto complessa e quando si prova a distinguere le conseguenze positive da quelle negative si ottengono sempre risposte soggettive

Le conseguenze del Paese di partenza



La partenza dei lavoratori sottoccupati e non qualificati ha un'incidenza sull'occupazione, la produzione, i salari: in un primo tempo il mercato del lavoro e la spesa sociale vengono alleviati, e il reddito delle famiglie rimaste aumenta in seguito all'invio di parte dei guadagni degli emigranti. La somma complessiva delle rimesse può incidere positivamente sulla bilancia dei pagamenti dello Stato costituendo una entrata di capitale di notevoli dimensioni. Nei Paesi in cui le rimesse vengono utilizzate per attuare investimenti l’emigrazione può costituire un aiuto allo sviluppo. Se invece vengono utilizzate solo per consumi personali possono a lungo termine favorire l’inflazione. Se ad emigrare sono persone la cui crescita e grado di qualificazione è costata allo Stato in termini educativi, sociali e sanitari, si verifica paradossalmente che il frutto di questi investimenti sia goduto dai Paesi di arrivo. Se nelle migrazioni temporanee a partire sono i giovani, prevalente maschi, la popolazione subirà, per un periodo più o meno lungo di tempo, uno squilibrio sia per quanto riguarda le classi di età che per sesso: la popolazione sarà costituita prevalentemente da anziani, bambini e donne. Inoltre possono emergere carenze di manodopera difficili da sanare in quanto è maggiore l' attrazione dei salari dei Paesi industrializzati. Se a migrare sono prevalentemente donne (come avviene ad esempio per molti Paesi latino americani, le Isole di Capo Verde e le Filippine) a risentirne saranno importanti settori economici come l' agricoltura.

Le conseguenze nel Paese d’arrivo



L'arrivo di lavoratori stranieri può a breve termine abbassare il costo del lavoro e avere quindi un effetto positivo sulla produttività generale e permettere alle imprese marginali di sussistere. Infatti il costo della manodopera costituita dagli immigrati è tendenzialmente più basso di quello della manodopera locale sia perché questi lavoratori accettano salari inferiori, sia perché, nel caso di assunzione illegale, consentono al datore di lavoro di evadere le contribuzioni fiscali e previdenziali. Gli immigrati accettano spinti dalla necessità condizioni di lavoro più dure, come orari più lunghi, turni notturni e festivi, mansioni nocive e pericolose, lavori temporanei. Inoltre sono difficilmente rappresentati dai sindacati e il loro licenziamento può avvenire più facilmente, specialmente se si tratta di lavoro nero. Tutto questo può avere effetti negativi per quanto riguarda l'azione sindacale tesa a salvaguardare salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Il basso costo della manodopera straniera e, più in generale, la compressione della dinamica salariale disincentivano molte imprese dall'effettuare investimenti in tecnologie atte a razionalizzare il ciclo produttivo. La disponibilità degli immigrati a compiere operazioni nocive alla salute o rischiose permette a certi imprenditori di mantenere antiquati e spesso illegali sistemi di sicurezza contro le malattie professionali.
Se il rallentamento dell'innovazione tecnologica può essere considerato nel breve periodo un risparmio di costi, esso può trasformarsi in un ritardo che nel lungo periodo toglie competitività alle produzioni in cui è richiesto alto livello di precisione, affidabilità e standardizzazione. La presenza di immigrati in condizione di disoccupazione o di lavoro nero comporta dei costi per l'erogazione di servizi socioassistenziali: abitazione, educazione scolastica, assistenza sanitaria, senza che vi sia un corrispettivo in termini di contributi versati. Inoltre secondo il contesto di inserimento, la difficoltà nel trovare lavoro facilita in zone disagiate e periferiche forme di emarginazione, oppure di reclutamento nelle organizzazioni criminali. Le migrazioni producono poi effetti sociali di rilievo a motivo dell'inserimento degli immigrati in un contesto culturale differente da quello d'origine. Il contatto tra i locali e i nuovi arrivati provoca una certa positiva compenetrazione nello scambio culturale per quanto riguarda i costumi, i comportamenti , i valori, le istituzioni. Ma dall'incontro possono anche scaturire ostacoli di varia natura quali la diffusione di atteggiamenti razzistici o il nascere di separatismi e ghetti.

DA PAESE DI EMIGRANTI ALL’ARRIVO DEI PRIMI IMMIGRATI IN ITALIA



Nei primi anni ‘70 in Europa si è concluso un ciclo economico definito “della ricostruzione post-bellica e dell’espansione strutturale” caratterizzato da una serie di dinamiche demografiche e del mercato del lavoro per cui si sono innescati dei massicci flussi migratori dall’Europa del sud, poco industrializzata, verso i Paesi del nord, dove la domanda di lavoro nel settore secondario non riusciva ad essere soddisfatta dall’offerta locale.
L’Italia stessa aveva assistito all’espatrio della propria popolazione verso le grandi industrie Taylor-fordiste di Germania e Svizzera le quali, da sole, accolsero ben l’80% dell’emigrazione nostrana.
Lo shock petrolifero del 1973 comportò un radicale cambiamento delle economie che avevano accolto gli immigrati nel periodo della ricostruzione. Lo sviluppo industriale – essenzialmente petrolcentrico – si arrestò. La conseguenza immediata fu la drastica riduzione della domanda di lavoro nel settore industriale e la revisione delle politiche migratorie che mutarono in senso restrittivo.Si entrò così in una nuova fase denominata “della crisi strutturale e della nuova divisione del lavoro” in cui l’Italia, sebbene contando sulla speculazione edilizia e su un disordinato e precario processo di industrializzazione, iniziò ad offrire opportunità lavorative sia ai suoi emigranti che rientravano in patria sia ai nuovi immigrati provenienti dal Sud del mondo.
L’Italia divenne dunque Paese di immigrazione, seppure di ripiego. Il passaggio di status - avvenuto peraltro in un momento in cui le migrazioni internazionali si moltiplicarono e si diversificarono - non è stato accompagnato da un’opportuna presa di coscienza del nuovo ruolo internazionale assunto dall’Italia né da un’adeguata politica migratoria che regolasse gli ingressi e la permanenza degli stranieri sul nostro territorio. L’impreparazione legislativa nel gestire il nuovo fenomeno, insieme ad altri fattori economici e sociali che si evidenziarono sul finire degli anni ’70, portarono alla definizione di un “Modello di immigrazione Mediterraneo” che tuttora accomuna i più recenti Paesi di immigrazione: Spagna, Portogallo, Grecia e Italia. L’originale assenza di una legislazione che gestisse i flussi, l’offerta interna di un “lavoro povero” che collocasse la manodopera immigrata nei gradini più bassi del mercato del lavoro, la totale mancanza di un modello di integrazione delle comunità straniere insieme alla significativa presenza di donne immigrate impiegate nel basso terziario a supplire a un sistema nazionale di welfare strutturalmente debole e carente, il ruolo complementare della manodopera immigrata in mercati del lavoro affetti da “disoccupazione volontaria”, furono tra i principali fattori distintivi delle migrazioni relative ai Paesi del Mediterraneo.
Nella seconda metà degli anni ottanta il quadro delle migrazioni internazionali cambiò radicalmente: i Paesi del Terzo Mondo vennero investiti da una serie di crisi senza precedenti. Iniziò la fase internazionale detta “della crisi globale dei Paesi sottosviluppati e della ripresa delle economie capitalistiche” per la quale a fronte dell’aggravarsi delle forze espulsive dei Paesi d’esodo si ridusse notevolmente il numero delle aree geografiche di inserimento. Un ulteriore cambiamento si ebbe negli anni ’90 dopo l’implosione della Repubblica Socialista Federale Jugoslava - determinata da una serie di conflitti che dal 1991 al 1995 sconvolsero gli assetti sociali e geopolitici del Paese – insieme alla caduta del regime stalinista di Enver Hoxha in Albania e alla questione del Kosovo che inseguendo la sua indipendenza giunse al conflitto armato con la Serbia.. Da quel momento le migrazioni che riguardavano l’Italia furono sempre più innescate da motivi che si possono definire “extraeconomici”, “umanitari”, e governate da una serie di leggi che,per le loro caratteristiche e scarsa efficacia, furono indicate con l’evocativa espressione di”politica d’emergenza”.In un siffatto panorama, a fronte di una presenza immigrata che stando ai dati Caritas/Migrantes ammonta a circa 650.000 presenze regolari nel 1991, prese avvio in Italia il“non governo” dell’immigrazione, fatto in gran parte di circolari e di decreti amministrativi,caratterizzato dal massiccio ricorso alle sanatorie e dal lento adeguamento alle direttive europee. Dalla Legge Foschi dell’86 al ddl Amato-Ferrero, attualmente in cantiere nel governo Prodi, la legislazione italiana sull’immigrazione ha accompagnato il consolidarsi di un fenomeno che in poco più di una generazione ha portato la nostra nazione al quarto posto tra i grandi Paesi di migrazione europea. Oggi vi sono circa 4 milioni di immigrati inseriti in modo specifico nel nostro mercato del lavoro, nei sistemi scolastico e sanitario, nella politica abitativa, nel rapporto con la criminalità e con l’informazione nazionale, in attesa di un modello di integrazione possibile che consenta loro di inserirsi adeguatamente nella nostra società.

“Ogni immigrato nelle nostre società è assieme un emigrato dalla sua società d'origine”.

SAYAD

(sociologo algerino)

ETIMOLOGIA DEL TERMINE IMMIGRAZIONE



L’immigrazione è il trasferimento permanente o temporaneo di gruppi di persone in un paese diverso da quello di origine; dal punto di vista del luogo di destinazione il fenomeno prende il nome di immigrazione.

L’IMMIGRAZIONE COME FENOMENO SOCIALE IN AUMENTO



L'immigrazione è uno dei fenomeni sociali mondiali più problematici e controversi soprattutto se si analizzano le sue cause e le sue conseguenze.
Per quanto riguarda i Paesi destinatari dei fenomeni migratori (principalmente le Nazioni cosiddette sviluppate o in via di sviluppo), i problemi che si creano riguardano la regolamentazione ed il controllo dei flussi migratori in ingresso e della permanenza degli immigrati.
In Italia i cittadini immigrati, che nel 1980 erano meno di 300.000, sono oggi secondo le stime più recenti circa due milioni e mezzo. Sono trascorsi più di trenta anni da quando sono cominciati i primi flussi migratori, anche se la prima normativa specifica risale a diciotto anni fa (L.943 del 1986), a dimostrazione che la consapevolezza del fenomeno si è manifestata in ritardo rispetto alla portata dell’evento.
La posizione geografica dell’Italia, centro di confluenza dei flussi provenienti dall’Oriente ha determinato in diversi momenti della nostra storia più recente il verificarsi nel nostro Paese di pressanti ondate migratorie. Spesso l’Italia è stata semplicemente uno scalo di passaggio per chi aveva scelto di raggiungere altri posti in funzione il più delle volte della richiesta di forza lavoro migrante offerta dai diversi Paesi meta delle migrazioni.
L’analisi delle motivazioni che determinano l’abbandono del proprio Paese di origine, così come l’indagine sui movimenti migratori in alcune aree geografiche di particolare interesse, sono il punto di partenza per comprendere un fenomeno che impatta in modo significativo sulla nostra società.
Negli anni più recenti il fenomeno migratorio, ha spesso assunto le caratteristiche di un esodo dovuto a squilibri politico-economici, a guerre civili, ad atti di terrorismo, che hanno obbligato molte persone a fuggire dalle terre d’origine per sopravvivere a conflitti, persecuzioni razziali, violazioni dei diritti umani o alla mancanza dei requisiti minimi di sicurezza o sanità.

LE CAUSE DELL’IMMIGRAZIONE IN ITALIA



Vari sono i motivi che spingono gli immigrati a stabilirsi nel nostro Stato: guerre che coinvolgono gli Stati di provenienza, mancanza di lavoro nel proprio Stato, trovare benessere nel Paese di destinazione. L’Italia, come sempre tutto il mondo occidentale, è vista come una meta da raggiungere per trovare il benessere, ma la realtà non è proprio questa. Una crisi di tipo economico che sta investendo gran parte dell’Europa e il numero sempre crescente di immigrati non rendono sempre disponibili posti di lavoro. Non avendo un impiego, si trovano a essere sottoposti a forme di lavoro nero, insicuro e sottopagato, oppure cadono preda di organizzazioni criminali.
Oltre a problemi di tipo economico, gli immigrati in Italia sono soggetti a forme di emarginazione sociale e ingiustizie. Un altro problema sorto negli ultimi anni è la difficoltà da parte dello Stato a stimare il numero degli immigrati, poiché si è sviluppato anche il fenomeno dell’immigrazione clandestina; in effetti, in mancanza di chiare leggi sull’argomento, le frontiere non sono sufficientemente controllate.
L’Italia, essendo la prima volta che si vede sottoposta a un così grande flusso migratorio, non ha ancora definito una propria linea di comportamento. Il governo sta affrontando l’argomento e ha approvato alcune leggi che possano aiutare gli immigrati a risolvere alcuni loro problemi di tipo economico; inoltre sta cercando di vararne delle nuove per rendere ancora meno difficile la vita degli extracomunitari in Italia.
Il motivo principale per cui molte persone emigrano sta nel fatto che nel loro Paese non si trova quel che loro vorrebbero; sapendo questo, e volendo frenare o almeno diminuire il flusso migratorio verso il nostro Paese si potrebbero stanziare fondi per migliorare l’economia degli stati di provenienza degli immigrati.

IMMIGRATI REGOLARI E IMMIGRATI CLANDESTINI



L'Immigrazione Legalmente riconosciuta è quel tipo di immigrazione che per la propria accettazione passa dalle autorità statali competenti e che sia certificata, nonchè ovviamente autorizzata, dallo stato stesso.
Questo tipo di immigrazione comporta una richiesta ufficiale tramite apposito modulo da parte dell' "aspirante" migrante, che con lo stilamento delle sue generalità, della sua provenienza, dei titoli di studio e delle possibili opportunità di lavoro già individuate nel nostro Paese, richiede un "Permesso di Soggiorno" rilasciato dalle autorità competenti e che permette al migrante di soggiornare liberamente in tutto il territorio.
Tale permesso deve essere verificato ogni 6 mesi in caso di Migrante senza lavoro ufficialmente riconosciuto, tuttavia tale verifica è solamente a scopo propedeutico e deve favorire la ricerca di un lavoro onesto ed equilibratamente retribuito nel nostro Stato, cercando di evitare, nel possibile, l'attrazione del Migrante da parte di lavori "in nero" e delle organizzazioni criminali, di stampo mafioso e non, spesso collegate ad esso, tramite un collegamento diretto fornito dallo Stato stesso tra il migrante e le possibili compagnie, aziende, industrie e attività commerciali che ricercano forza lavoro e che abbiano reso pubblico tale bisogno tramite i dovuti organi di stampa (Annunci) e i vari "Centri di Lavoro" gestiti dallo Stato per queste particolari esigenze (sotto l'esempio dei "Job Centers" Inglesi).
Gli immigrati ufficialmente riconosciuti con lavoro e residenza riconosciuti acquistano, dopo un periodo di 5 anni e la regolare certificazione dei contributi versati, la possibilità di richiedere la Cittadinanza e i vari diritti e riconoscimenti che essa comporta.
Gli immigrati, indipendentemente dal loro stato legale (che siano Riconosciuti o Clandestini) hanno sin dal primo momento dalla loro entrata nello Stato le stesse perseguibilità civili, penali e amministrative di un qualsiasi altro cittadino residente e natìo nello Stato, con una dovuta attenzione e supervisione da parte degli organi competenti nei processi penali, civili e amministrativi in atto nei confronti di un migrante al fine di evitare fenomeni di intolleranza razziale, religiosa, etc.

LA REGOLARIZZAZIONE



L'immigrato può tenere la regolarizzazione in due modi:
1) Tramite una dichiarazione scritta da parte del datore di lavoro (entro 120 gg. dall'entrata in vigore del decreto), che attesti la sua disponibilità e l'immediata assunzione. Inoltre il datore di lavoro dovrà anticipare 6 mesi di oneri sociali per il contratto a tempo indeterminato e 4 mesi.di oneri sociali per quello a tempo determinato.
2) Tramite una dichiarazione autonoma dell'immigrato, il rapporto di lavoro subordinato in atto al momento dell'entrata in vigore del decreto, di almeno quattro mesi ed il versamento (sempre autonomo) di quattro mesi di contributi. La regolarizzazione garantirà così un permesso di soggiorno biennale, successivamente rinnovabile.

FLUSSI DI INGRESSO E LAVORO STAGIONALE



Ogni anno viene determinata la cifra relativa al numero di immigrati che possono entrare in Italia. Sono inoltre previsti "Contratti a termine " per lavoratori stagionali di sei mesi di soggiorno all'anno. Si dovrà dare la precedenza agli immigrati già presenti sul territorio e a coloro che hanno già avuto in precedenza un simile tipo di contratto.

RICONGIUNGIMENTO AI FAMILIARI



L'immigrato regolare, se potrà dimostrare di avere un reddito pari a due volte la pensione sociale, e cioè 1.040.000 lire, potrà richiamare nel Paese dove abita la coniuge e due figli.

LE ESPULSIONI. LE ESPULSIONI GIUDIZIALI



La polizia segnalerà al Pubblico Ministero gli immigrati considerati socialmente pericolosi. Il PM, entro 48 ore, potrà proporne l'espulsione al pretore che dovrà decidere entro una settimana e notificare l'espulsione entro tre giorni. Il giudice deciderà l'espulsione per gli arrestati in flagranza di reato e per coloro che hanno già subito giudizio per reati che prevedano pene inferiori a tre anni di reclusione.

INGRESSO CLANDESTINO E SFRUTTAMENTO DI MANODOPERA



Nel caso di questi reati le pene previste sono state inasprite fino ad un massimo di 12 anni.

Per immigrazione clandestina si intende l'ingresso non autorizzato di cittadini di altri Stati nel territorio di un dato Paese.
Gli immigrati sono spinti dalla ricerca di condizioni di vita migliori perché spesso i Paesi di provenienza sono poveri oppure in quei Paesi non vengono rispettati i diritti civili. L'immigrazione clandestina, così come quella regolare, è un fenomeno di cui sono oggetto generalmente i Paesi più ricchi. Si tratta spesso di flussi misti nell’ambito dei quali si spostano sia migranti che rifugiati, seguendo rotte e modalità di trasporto simili. Tali spostamenti vengono definiti irregolari poiché spesso avvengono senza la necessaria documentazione e di frequente coinvolgono trafficanti di esseri umani. Le persone che si muovono in questa maniera spesso mettono a rischio la propria vita, sono obbligate a viaggiare in condizioni disumane e possono essere oggetto di sfruttamento ed abuso. Gli Stati considerano tali flussi come una minaccia alle proprie sovranità e sicurezza

PROBLEMATICHE LEGATE ALLA CLANDESTINITA’



Gli immigrati clandestini seguono vie illegali per raggiungere il Paese di destinazione e si affidano molto spesso a malavitosi che sono indicati come schiavisti che gestiscono vere e proprie tratte degli esseri umani. Un esempio sono i cosiddetti scafisti che ammassano enormi quantità di persone su navi di scarsissima qualità e sicurezza (le carrette del mare) partendo dalle coste settentrionali dell'Africa per arrivare nei Paesi mediterranei: l'Italia è una delle mete preferite perché il tratto dall'Africa alla Sicilia e in particolare a Lampedusa è molto corto rispetto agli altri percorsi possibili. Per molti di loro il viaggio continua verso altri Paesi europei.
Questi scafisti si fanno pagare somme molto ingenti in cambio della speranza di una nuova vita, e sono spesso alleati con varie organizzazioni criminali oltre che, spesso, con complicità di parte della polizia del Paese d'origine: attorno all'immigrazione clandestina c'è un forte indotto criminale fin dall'origine.
Essendo entrati illegalmente, i clandestini non possono entrare nel mercato del lavoro ufficiale. Pertanto, arrivati a destinazione, vengono spesso sfruttati da datori di lavoro senza scrupoli che li usano come manodopera a basso costo, approfittando del fatto che sono facilmente ricattabili a causa della loro posizione irregolare. In quanto manodopera a basso costo, i clandestini sono gli immigrati più soggetti alle accuse di abbassare i salari medi (un fenomeno che è conosciuto come svalutazione sociale) e di togliere il lavoro alla popolazione italiana peggiorandone la qualità della vita.
Molti clandestini finiscono anche nella rete della criminalità organizzata che li sfrutta per svolgere il cosiddetto lavoro sporco.



VITTIME DELL’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA



Secondo notizie raccolte sulla stampa internazionale tra il 1988 e il 2008 dall'osservatorio sulle vittime dell'immigrazione Fortress Europe, almeno 12.012 tra uomini, donne e bambini hanno perso la vita tentando di raggiungere l'Europa clandestinamente, non potendo viaggiare in modo regolare. Nel Mar Mediterraneo e nell'Oceano Atlantico verso le Canarie sono annegate 8.315 persone. Metà delle salme (4.255) non sono mai state recuperate. Nel Canale di Sicilia tra la Libia, l'Egitto, la Tunisia, Malta e l'Italia le vittime sono 2.511, tra cui 1.549 dispersi. Altre 70 persone sono morte navigando dall'Algeria verso la Sardegna. Lungo le rotte che vanno dal Marocco, dall'Algeria, dal Sahara occidentale, dalla Mauritania e dal Senegal alla Spagna, puntando verso le isole Canarie o attraversando lo stretto di Gibilterra, sono morte almeno 4.091 persone di cui 1.986 risultano disperse. Nell'Egeo invece, tra la Turchia e la Grecia, hanno perso la vita 895 migranti, tra i quali si contano 461 dispersi. Infine, nel Mare Adriatico, tra l'Albania, il Montenegro e l'Italia, negli anni scorsi sono morte 603 persone, delle quali 220 sono disperse. Inoltre, almeno 597 migranti sono annegati sulle rotte per l'isola francese di Mayotte, nell'oceano Indiano. Il mare non si attraversa soltanto su imbarcazioni di fortuna, ma anche su traghetti e mercantili, dove spesso viaggiano molti migranti, nascosti nella stiva o in qualche container. Ma anche qui le condizioni di sicurezza restano bassissime: 146 le morti accertate per soffocamento o annegamento. Per chi viaggia da sud il Sahara è un pericoloso passaggio obbligato per arrivare al mare. Il grande deserto separa l'Africa occidentale e il Corno d'Africa dal Mediterraneo. Si attraversa sui camion e sui fuoristrada che battono le piste tra Sudan, Chad, Niger e Mali da un lato e Libia e Algeria dall'altro. Qui dal 1996 sono morte almeno 1.587 persone. Ma stando alle testimonianze dei sopravvissuti, dopo ogni viaggio vi sono dei morti. Pertanto le vittime censite dalla stampa potrebbero essere solo una sottostima. Tra i morti si contano anche le vittime delle deportazioni collettive praticate dai governi di Tripoli, Algeri e Rabat, abituati da anni ad abbandonare a se stessi gruppi di centinaia di persone in zone frontaliere in pieno deserto. In Libia si registrano gravi episodi di violenze contro i migranti. Non esistono dati sulla cronaca nera. Nel 2006 Human rights watch e Afvic hanno accusato Tripoli di arresti arbitrari e torture nei centri di detenzione per stranieri, tre dei quali sarebbero stati finanziati dall'Italia.
Nel settembre 2000 a Zawiyah, nel nord-ovest del Paese, vennero uccisi almeno 560 migranti nel corso di sommosse razziste. Viaggiando nascosti nei tir hanno perso la vita in seguito ad incidenti stradali, per soffocamento o schiacciati dal peso delle merci 283 persone. E almeno 182 migranti sono annegati attraversando i fiumi frontalieri: la maggior parte nell'Oder-Neisse tra Polonia e Germania, nell'Evros tra Turchia e Grecia, nel Sava tra Bosnia e Croazia e nel Morava, tra Slovacchia e Repubblica Ceca. Altre 112 persone sono invece morte di freddo percorrendo a piedi i valichi della frontiera, soprattutto in Turchia e Grecia. In Grecia, al confine nord-orientale con la Turchia, nella provincia di Evros, esistono ancora i campi minati. Qui, tentando di attraversare a piedi il confine, sono rimaste uccise 88 persone. A causa degli spari della polizia di frontiera, sono morti 192 migranti, di cui 35 soltanto a Ceuta e Melilla, le due enclaves spagnole in Marocco, 50 in Gambia, 40 in Egitto e altri 32 lungo il confine turco con l'Iran e l'Iraq. Ma ad uccidere sono anche le procedure di espulsione in Francia, Belgio, Germania, Spagna, Svizzera e l'esternalizzazione dei controlli delle frontiere in Marocco e Libia. Infine 41 persone sono morte assiderate, viaggiando nascoste nel vano carrello di aerei diretti negli scali europei. E altre 23 hanno perso la vita viaggiando nascoste sotto i treni che attraversano il tunnel della Manica, per raggiungere l'Inghilterra, cadendo lungo i binari o rimanendo fulminati scavalcando la recinzione del terminal francese, oltre a 12 morti investiti dai treni in altre frontiere e 3 annegati nel Canale della Manica

Lettera di un Immigrato



20 Maggio, 2008

Cara madre, perdonami se dalla mia partenza non ho più avuto modo di contattarti, come sai io non so scrivere, per questo mi sto facendo aiutare da un amico che, non ci crederai, abitava proprio in un villaggio vicino al nostro ed è partito insieme a me, per qualche strano paradosso non l’ho mai incontrato, se non una volta giunto qui. Lui è uno nobile, ma se c’è una cosa che ho imparato subito dopo la mia partenza è proprio che le caste per noi emigranti non esistono, per gli abitanti di questo paese siamo tutti uguali. Il viaggio è stato lungo e difficile, posso assicurarti che dal nostro villaggio fino al mare il percorso è stato davvero lungo e faticoso, per fortuna l’abito buono e le scarpe le avevo messe in saccoccia, così non si sono rovinate.
Ti dicevo del viaggio, quello via terra è stato duro, ma ancora peggiore è stata la navigazione. L’imbarcazione era piena, eravamo tutti ammassati: uomini, donne, bambini. Per passare il tempo alcuni intonavano i canti della nostra assolata ed arida terra, ma la maggior parte temeva di finire i suoi ultimi giorni nel fondo degli abissi, qualcuno diceva che era già successo in passato. Abbiamo trovato burrasca, molti hanno iniziato a pregare, altri urlavano che gli spiriti maligni avevano maledetto quella nave e tutti quelli che c’erano dentro.
Una maga ha officiato dei riti purificatori, nonostante tutto alcuni di noi presi dal panico volevano scappare all’aperto, ma uomini armati ci hanno trattenuto nelle stive.Ho avuto paura, poi il tempo è migliorato e d’improvviso dentro di me ho sentito una gran malinconia; tu lo sai madre, se avessi potuto rimanere lo avrei fatto. Ma la guerra a volte ti colpisce anche quando fai di tutto per evitarla, in questo triste mondo ti ero rimasto solo io, ma tu hai preferito piangere la mia lontananza piuttosto che la mia perdita
Avrei tanto voluto portarti con me, nella terra dei sogni, dove c’è il lavoro, dove c’è ricchezza, dove non c’è la guerra, dove i campi si arano con potenti macchine e gli uomini non si ammazzano per un po’ d’acqua. Ma ora che sono qui sono contento che tu non sia venuta. Non voglio mentirti madre, temo di essere sbarcato nella terra sbagliata, qui le strade sono piene di insegne luccicanti e musica, ma in realtà tutto è duro, difficile, violento.
Appena siamo arrivati ci hanno fatto sedere a terra, poi ci hanno chiesto i documenti (molti di noi non li avevano e sono stati duramente interrogati), uomini armati si sono piazzati davanti a noi, ci controllavano per evitare che qualcuno di noi tentasse la fuga. Poi ci hanno fatto alzare e, uno ad uno, ci hanno sottoposto a delle visite mediche. Alcuni di noi sono rimasti nella stanza del dottore troppo a lungo, erano debilitati, ed è stato come se dentro di me sentissi che alcune di queste persone in realtà quell’infermeria non l’avrebbero mai più abbandonata. Nei miei incubi sento ancora le loro voci. Per giorni sono stato chiuso in questo centro di permanenza su un isolotto in mezzo all’acqua.
Poi insieme ad un amico siamo riusciti a fuggire. Forse ho sbagliato, da allora mi sento braccato. Ho trovato un impiego, ma il lavoro è difficile e pesante, di certo non meno pesante del lavoro con il quale mi spezzavo la schiena nell’amata terra mia, terra di cui mi manca ogni cosa: i colori, gli odori, i sapori, ma soprattutto tu, cara madre. Il suolo arido della mia cara terra, la fatica delle lunghe passeggiate verso il pozzo con i carichi d’acqua che servivano per dissetare tutta la comunità. Nella città in cui ora mi trovo faccio il muratore, carico “pezzi” sulle spalle dalla mattina alla sera, ma non tutti i giorni. La mattina aspetto assieme agli altri vicino al cantiere, se sono fortunato lavoro, altrimenti devo sperare nel giorno dopo. Non posso lamentarmi per come ci trattano, qui vivo nascosto, se ti lamenti quelli chiamano la polizia e ti fanno arrestare. La notte la passo in un dormitorio insieme ad altri connazionali e a cittadini di altre terre lontane.
La gente del posto è vestita bene, pulita, elegante, ma ci guarda con diffidenza e disprezzo. Non vive negli stessi posti dove abitiamo noi, anzi, quei posti li evita. L’amico a cui sto dettando questa lettera, uno colto, mi ha fatto vedere un giornale, mi ha detto che per i cittadini di questa nazione siamo tutti stranieri, ma alcuni di noi sono peggio degli altri. Noi siamo tra quelli peggio. Dicono che la mia gente insulta le donne, le tratta male, le picchia e le uccide, dicono che siamo negroidi con poco cervello, che se la nostra terra è così è perché ce lo meritiamo. Il mio datore di lavoro lancia epiteti contro quelli come noi, lo fa ridendo, crede di essere simpatico, ed infatti tra di loro ridono. Gli insulti sono le prime cose che ho appreso di questa lingua così strana e difficile. Eppure madre tu mi hai insegnato a rispettare le donne, ad amare colei che a mia volta sarà la madre dei miei bambini, allora perché questi uomini ci ritengono così brutali ed arretrati?
Perché ci giudicano con tanta superficialità? Si, c’è violenza nel nostro paese, molti dei nostri connazionali sono delinquenti ed hanno provocato molti morti, ma non siamo tutti uguali. Io vivo nella paura, temo il futuro, la mia terra mi ha rifiutato, la terra dei miei sogni anche, ed ora mi sento figlio di nessuno. A volte penso che sarebbe più semplice se facessi anch’io il delinquente, tu mi hai insegnato a vivere onestamente, eppure madre la fame, che pure conosco da quando sono nato, si fa sentire sempre più forte. Sono solo, e se non fosse per tutte le altre persone come me, con le quali mi consolo e trovo conforto, sarei già impazzito. Le cose non cambiano, nella nostra terra alcuni nostri connazionali dediti alla delinquenza ed al malaffare ci maltrattavano, ci sfruttavano, spesso ci uccidevano.
La crudeltà mi ha costretto alla fuga, la crudeltà mi costringe ora a vivere da reietto. Perché ora quegli stessi connazionali li ritrovo qui, dediti alla delinquenza, intenti a fare del male al prossimo, ma soprattutto a noi, ed anche qui, come nella mia terra, nessuno ci tutela e ci protegge. Siamo alla mercè della polizia, dei nostri connazionali delinquenti, del razzismo della gente. Mamma, il nostro popolo dev’essere maledetto, forse gli spiriti maligni ci hanno fatto il malocchio, ma non preoccuparti, la mia tempra è dura, ce la farò, anche se è davvero difficile essere un emigrato italiano in questo nuovo mondo. Una cosa ti prometto, se il signore vorrà concedermi questa grazia, a mio figlio insegnerò il rispetto e l’amore per il prossimo, chiunque esso sia, proprio come tu e nostro signore mi avete insegnato. Che Dio ti protegga.

Con amore,
Peppino Spadaro
Dal Corriere della SAera

I PAESI DI PROVENIENZA DEGLI IMMIGRATI



I cittadini stranieri, attualmente residenti in Italia provengono da 191 Stati diversi. Questa dimensione policentrica dell’immigrazione, caratteristica del nostro paese, rende l’Italia un caso particolare, soprattutto se paragonato al resto del mondo nel quale difficilmente si riscontra una tale diversificazione dei luoghi di provenienza.
Ciò è dovuto innanzitutto alla posizione centrale dell’Italia rispetto ai flussi provenienti dall’Africa settentrionale e dall’Europa balcanica, attraverso la quale arrivano anche molti persone provenienti dall’estremo Oriente.
Tra i fattori che rendono l’Italia un Paese meta dei flussi migratori sicuramente rientrano anche:
• L’esistenza delle cosiddette catene migratorie, che incrementano il flusso di alcuni ceppi facilitando l’inserimento degli immigrati, che trovano nel paese ospite microcomunità già formate (come quella dei filippini, quarta nazionalità per numero di stranieri soggiornanti in Italia);
• La domanda di lavoro che offre la possibilità ai cittadini stranieri d’inserirsi in quei settori dove è carente la manodopera italiana, come l’assistenza agli anziani e la collaborazione domestica.
I Paesi per i quali l’Italia costituisce un vero e proprio polo d’immigrazione sono l’Albania, il Maroccoi)): da soli costituiscono il 23 per cento del totale dei soggiornanti.
A seguire la Romania in costante crescita e la Cina. La stabilizzazione di queste comunità, a cui si è assistito negli ultimi anni, è dovuta anche al consolidamento dei flussi, ai ricongiungimenti familiari, e all’istituzionalizzazione di accordi intergovernativi con alcuni Paesi di provenienza.
Gli europei costituiscono il 43 per cento del totale degli immigrati, con albanesi e rumeni che rappresentano i due terzi del totale, seguono gli stranieri provenienti dall’Africa, dall’Asia e dall’America, con un rapporto che vede ogni dieci soggiornanti, 4 europei, 3 africani, 2 asiatici e 1 americano.
Negli ultimi anni il numero degli europei è cresciuto del 310 per cento, a scapito degli africani e degli asiatici, grazie all’aumento dei rumeni che si avviano a diventare il secondo gruppo per consistenza, accanto agli albanesi.
Questi dati danno un'immagine dell’immigrazione piuttosto diversa rispetto a quella solitamente fornita dai mezzi di comunicazione di massa che, divulgando in misura maggiore notizie su ingressi e soggiorni illegali, e su atti criminali, trascurano gli aspetti peculiari del fenomeno che ne permetterebbero una maggiore comprensione, nonché l’avvio di processi di accoglienza e integrazione più efficaci.

LE PRINCIPALI ATTIVITA’ DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA



Esistono tre grandi settori lavorativi in cui si ripartiscono le assunzioni dei lavoratori stranieri, che si differenziano a seconda delle regioni.
• Agricoltura: nelle regioni meridionali il 13 per cento delle assunzioni di lavoratori immigrati, con punte del 40 per cento in Puglia, e del 51,2 della Sicilia avviene nel settore agricolo. Al Nord il Trentino registra una percentuale del 50,7 per cento e in Valle D'Aosta, Umbria ed Emilia Romagna si riscontrano valori superiori alla media.
• Industria: è il settore in cui si riscontra un valore, nel numero delle assunzioni, al di sopra della media in diverse regioni del Nord (Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia con il 40,2 per cento) e anche alcune regioni del Sud, come Abruzzo, Basilicata, Molise e Campania, seppure con percentuali di assunzioni più basse rispetto al Nord.
• Servizi: le assunzioni in questo settore superano la media del 29,2 per cento in tutte le regioni del Nord, fatta eccezione per il Trentino, e in Toscana e Lazio. Quest'ultimo registra il valore più alto di tutta Italia, 59,3 per cento, seguito dalla Sardegna con il 54,4 per cento, l'unica regione meridionale che supera la media.
Questi valori offrono un panorama della realtà dell'inserimento dei lavoratori stranieri nei diversi settori della produzione, anche se da soli non fanno emergere realtà che a seconda dell'area geografica, nell'ambito di uno stesso settore possono essere molto differenziate tra loro.
Ad esempio a Roma c'è un buono sviluppo dei settori turismo, commercio e costruzioni, mentre i valori sono bassi per l'agricoltura e per l'industria. Nel Sud la situazione è ancor più diversificata, perchè mentre Bari e Ragusa sono fortemente agricole, a Napoli prevalgono i servizi, mentre le costruzioni, che sono il ramo più sviluppato dell'industria, non superano la media in nessuna regione.
Più omogenea la situazione al Nord, dove nelle regioni a Nord-Ovest si evidenzia una scarsa incidenza delle assunzioni in agricoltura, eccetto che per la Valle D'Aosta, mentre si registra la preminenza dei servizi nei capoluoghi, soprattutto a Milano e una forte incidenza dell'industria, in particolare a Genova e a Torino. Nel Nord-Est il dato comune è l'incidenza dei servizi, tra i quali il turismo, che si colloca al di sopra della media nazionale e dell'industria. L'agricoltura ha un valore eccezionale a Bolzano, uno medio a Bologna e uno bassissimo a Vicenza.

ISTRUZIONE DEGLI IMMIGRATI



Tra i più importanti canali d'integrazione per la popolazione immigrata, la scuola è il luogo in cui nasce e inizia a svilupparsi la società multiculturale di domani.
Se da una parte l'inserimento nel tessuto sociale dei cittadini stranieri offre l'opportunità di trasformare le città in centri multiculturali, dall'altra esso implica la necessità da parte delle istituzioni di trovare soluzioni adeguate affinchè si realizzi un'effettiva integrazione.
L'articolo 34 della Costituzione italiana dichiara che la scuola è aperta a tutti e l'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. Ciò significa che anche i minori stranieri hanno il diritto e il dovere di frequentare la scuola, con le stesse modalità degli studenti italiani.
Lo Stato, le Regioni e gli Enti locali devono garantire ai piccoli cittadini extra-comunitari il diritto ad accedere ai servizi educativi e a partecipare alla vita della comunità scolastica, indipendentemente dall'essere in possesso del permesso di soggiorno.

Entrare a scuola



Gli studenti stranieri possono iscriversi in qualunque periodo dell'anno scolastico presentando i seguenti documenti:
• documento d'identità
• certificato di nascita
• stato di famiglia
• permesso di soggiorno dell'alunno
• permesso di soggiorno o passaporto del genitore
• documenti scolastici relativi agli studi precedenti
In ogni caso, i bambini stranieri che non hanno la documentazione in regola e, in particolare, che non possiedono il permesso di soggiorno, vengono iscritti comunque, ma con riserva. Questo tipo d'iscrizione non impedisce il conseguimento dei titoli conclusivi dei corsi di studio, ma non costituisce un requisito per la regolarizzazione della presenza sul territorio, né del bambino, né del genitore.
Anche i minori che si trovano nella condizione di non essere riconosciuti come cittadini, separati dai genitori e senza la tutela di un adulto, godono del diritto fondamentale allo studio come un bambino italiano in stato di abbandono.

Quest’uomo – tristezza d’albero nudo
avanzo di vita aperta
ferita
/ occhi che perdono
pezzi di cielo
quest’uomo fatto
torcia –
per gioco
la sola colpa: essere di colore.

LE POLITICHE MIGRATORIE IN ITALIA DAL 1986



Sarà utile inizialmente distinguere gli stranieri presenti in Italia sulla base della loro posizione amministrativa in merito all'ingresso e alla permanenza: si definiscono regolari quando vi sia un ingresso e una successiva permanenza regolare nel nostro paese, irregolari quando ad un ingresso regolare segua una permanenza irregolare, clandestini qualora sia l'ingresso che la permanenza risultino irregolari. A questi si aggiungano i regolarizzati cioè coloro che, sia irregolari che clandestini, in seguito a provvedimento legislativo abbiano potuto sanare la propria condizione di irregolarità. In Italia non è possibile distinguere tra flussi migratori di manodopera regolari, destinati al mercato del lavoro, e flussi irregolari destinati alla marginalità sociale o a forza lavoro di riserva per il semplice fatto che nella pratica non esiste l'ingresso legale di manodopera. La legislazione che si è sviluppata in Italia nel corso degli anni non prevede in linea generale, a parte alcune eccezioni che analizzeremo in seguito (si pensi ad es. ai ricongiungimenti regolari), l'ingresso legale nel nostro paese.
Le politiche migratorie adottate dagli Stati comprendono tanto le politiche degli ingressi quanto le politiche di integrazione o stabilizzazione. Alla fine degli anni 60 l'Italia non richiede visti di ingresso, è sufficiente per entrare in Italia esibire documenti validi ai posti di frontiera. Ugualmente entrare legalmente come lavoratori è praticamente impossibile. Infatti la giurisdizione che regola i lavoratori stranieri è demandata a due diversi Ministeri : al Ministero degli Interni relativamente a controlli di ordine politico e di ordine pubblico e al Ministero del Lavoro con scopi protezionistici rispetto alla forza lavoro autoctona. Lo straniero in Italia doveva sottostare quindi a due diversi tipi di procedure facenti capo ai due Ministeri e non sempre la regolarità per una delle due significa regolarità per entrambe. La difficoltà e quasi impossibilità di ingresso regolare per lavoro o di regolarizzazione successiva fa si che nel tempo si accumulino numerose posizioni irregolari. Per ovviare a questa situazione una circolare del Ministero del Lavoro nei primi anni 60 autorizza al lavoro gli stranieri in Italia purché abbiano fatto ingresso in Italia prima di una certa data e questa data con successive circolari verrà spostata di volta in volta in una sorta di sanatoria permanente sino al 31.12.1981.
La situazione muta nel corso della prima metà degli anni 80 in parte per motivi legati alla crescita della popolazione straniera e in parte per motivi di carattere istituzionale. Nel 1975 infatti l'Italia ha firmato la convenzione n. 143 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro volta a contrastare le forme di immigrazione illegale e a tutelare i lavoratori stranieri, una convenzione voluta dall'Italia proprio per tutelare i propri emigranti all'estero; firmata la convenzione i singoli Stati devono però elaborare una legislazione che ne accolga i principi. Ma proprio perché non si sente l'esigenza di una legislazione sugli stranieri, si attendono oltre 10 anni dalla convenzione per elaborarne una. Inoltre dal primo gennaio 1982 proprio per l'impossibilità di ingressi legali dopo l'ultima circolare di "regolarizzazione" sono aumentate le posizioni irregolari, rendendo necessaria una sanatoria generalizzata. Nel 1986 viene così emanata la prima legge organica sull'immigrazione in Italia:
la legge 943/86 riconosce il pari trattamento dei lavoratori stranieri, il loro accesso ai servizi sanitari, introduce delle procedure per i ricongiungimenti familiari e per la chiamata nominativa dei lavoratori. In realtà le politiche degli ingressi sono condizionate da una visione profondamente protezionista. Non si riconosce la necessità di manodopera e si fa ricadere sui datori di lavoro la necessità di provare l'effettiva necessità di lavoratori; inoltre si instaurano una serie di complicate procedure per la chiamata tali dal renderle del tutto inapplicabili. Nonostante questo l'accesso nel nostro Paese rimane facile attraverso i visti turistici e le penalità per i datori di lavoro che assumono irregolarmente stranieri sono del tutto irrisorie. A testimonianza della scarsa rilevanza che si da alla questione migratoria in Italia ci sono i giornali dell'epoca che per l'approvazione di questa legge spendono pochi articoli nelle pagine interne. La legge in questione non riforma le leggi di PS in materia, quindi i permessi sono sempre di breve durata proprio perché non si mira alla stabilizzazione degli immigrati presenti nel territorio nazionale.
La legge Martelli (39/90) viene emanata parallelamente ad un forte contrasto nel sistema politico; dal'86, data dell'ultima sanatoria, sono nuovamente proliferate le condizioni irregolari e per questo il ministro del lavoro emana nel 1989 una nuova circolare per la sanatoria permanente; i socialisti al governo mirano invece a sottrarre al Ministero del Lavoro la questione migratoria. Il dibattito politico è acceso e per la prima volta la questione delle politiche migratorie diviene oggetto di dibattito pubblico e fortemente polarizzato. La nuova legge viene approvata con forti contrasti sia interni al governo (PRI) sia dell'opposizione (MSI e Leghe). La legge parallelamente ad una nuova sanatoria avvia una politica restrittiva degli ingressi con l'introduzione dei visti per tutti i paesi da dove provengono i flussi, riforma i controlli di frontiera, riforma i provvedimenti di espulsione proprio come strumento per il contrasto dell'immigrazione clandestina e non solo come punizione di singoli comportamenti. La data di emissione di questa legge segna di conseguenza l'avvio in Italia dell'immigrazione clandestina e quindi la nascita delle organizzazione dedite allo scopo. Cambia da questa data la percezione dell'immigrazione in Italia nell'opinione pubblica sia grazie al dibattito sviluppato intorno a questa legge sia per i concomitanti sbarchi degli albanesi sulle nostre coste (1991) , la deportazione dei quali fu garantita grazie all'utilizzo di questa legge.
Nel 1992 viene emanata la legge sulla cittadinanza che rimarca una volta di più la difficoltà o la non volontà di riconoscere l'immigrazione come fenomeno strutturale in Italia. Si rendono più difficili e discrezionali le procedure per l'ottenimento della cittadinanza, si allungano i tempi da 5 (legge del 1912) a 10 anni, si effettua una selezione "etnica" per l'ottenimento della cittadinanza, per cui diviene automatica per i discendenti di italiani e si accorciano i tempi per i cittadini della UE (4 anni). è la legge più restrittiva d'Europa approvata tra l'altro a larga maggioranza.
Negli anni successivi il dibattito sull'immigrazione si eclissa; il sistema politico è squassato da tangentopoli e per riparlarne si deve arrivare al 1995 quando un Governo tecnico guidato da Lamberto Dini emana un nuovo decreto legge che parallelamente ad un rafforzamento dei provvedimenti restrittivi in materia di controllo di frontiere ed ingressi emana una nuova sanatoria.
Nonostante la maggiore complessità delle procedure vengono sanati 248000 stranieri; più che nel 1990 (238.000). Il Decreto legge in seguito a scontri interni al governo, all'interno del quale figura la lega, non verrà mai tramutato in legge e si ritorna alla precedente normativa.
La Legge Turco-Napolitano (40/98) emanata con il primo governo Prodi è una legge che ristruttura completamente la legislazione migratoria in Italia sia sul piano degli ingressi sia sul versante della stabilizzazione. Dal punto di vista del contrasto dell'immigrazione si riformano le norme sui controlli di frontiera e sulle espulsioni con l'introduzione dell'allontanamento alla frontiera e l'istituzione dei CPT (centri di permanenza temporanei ovvero luoghi di reclusione per cittadini stranieri privi dei titoli di soggiorno in attesa di identificazione e di espulsione); allo stesso tempo affronta la questione di una politica degli ingressi legali con l'istituzione delle quote di ingresso attraverso i Decreti flussi: in pratica si stabilisce annualmente il fabbisogno di manodopera straniera necessaria e si stabilisce l'ingresso in Italia di questi lavoratori attraverso la chiamata nominale dall'estero che nella pratica si traduce in una sorta di finzione giuridica in base alla quale si regolarizza un certo numero di lavoratori già presenti sul suolo nazionale attraverso un loro ritorno in patria e reingresso autorizzato. Sul piano della stabilizzazione si introduce la carta di soggiorno, cioè un titolo di permanenza più stabile rispetto al permesso di soggiorno. Infine si emana una nuova sanatoria. Nonostante gli intenti dichiarati la politica di legalizzazione degli ingressi fallisce tanto per l'insufficienza delle quote rispetto ai bisogni del mercato del lavoro che per l'inapplicabilità delle procedure nella realtà. Anche sul piano dell'integrazione l'insufficienza si manifesta ad esempio nello scarso numero delle carte di soggiorno rilasciate.
La legge Bossi-Fini (189/2002), legge tuttora in vigore, rafforza i meccanismi di controllo e repressione: introduce l'obbligatorietà delle impronte digitali, l'aumento dei tempi di carcerazione nei CPT, l'arresto per gli irregolari che non abbiano ottemperato al decreto di espulsione. Allo stesso tempo precarizza la condizione dei migranti: si richiedono tempi maggiori di permanenza regolare in Italia per ottenere la carta di soggiorno (da 5 a 6 anni), si limitano i ricongiungimenti familiari, si introduce la figura del contratto di soggiorno accorciandone i tempi di validità (un permesso di soggiorno strettamente legato alla durata del contratto di lavoro in corso sino ad un massimo di due anni per un contratto a tempo indeterminato), si impongono norme fortemente discriminatorie per gli stranieri che vogliano accedere al mercato del lavoro (certificato di idoneità alloggiativa). La legge Bossi-Fini nei suoi intenti agisce in maniera esplicita ed evidente al fine di precarizzare la presenza dei migranti nel nostro Paese. Nonostante tutti questi elementi di carattere negativo la sanatoria connessa all'approvazione della Bossi-Fini regolarizzarà il più alto numero di immigrati (700.0000) di tutte le sanatorie precedenti. Un paradosso apparente legato al fatto che da una parte anche le crociate ideologiche portate avanti da settori del governo Berlusconi hanno dovuto tener conto delle esigenze dell'apparato produttivo del paese ma dall'altra e allo stesso tempo l'elemento ideologico è riuscito comunque a prevalere nel codificare ex lege una dimensione generale di ricatto, discriminazione e precarietà spinta per tutto il corpo migrante.

LE CONDIZIONI DI VITA DEGLI IMMIGRATI



L'immigrazione si caratterizza solitamente per il susseguirsi di più fasi:
- La fase pionieristica: coinvolge i primi immigrati che arrivano in un Paese senza conoscere nulla e senza catene familiari di appoggio, è una fase molto dura e difficile per gli individui.
- La fase di intensificazione: i singoli individui si riuniscono per cultura di provenienza, diventano comunità, iniziano ad organizzarsi i propri punti di incontro, ad attivarsi i rapporti con gli abitanti del paese di accoglienza, con le autorità ed i servizi sociali.
- La fase di stabilizzazione: il flusso migratorio si assesta, si ricongiungono i nuclei familiari, si acquisiscono i mezzi per accedere ai beni di consumo, ci si organizza per esprimere i valori della cultura di origine.
La prima fase si caratterizza per i notevoli disagi, anche gravi, che impongono una vita di stenti e sacrifici sopportati dall'immigrato per raggiungere ad ogni costo l'obiettivo di rimanere nel paese di arrivo, in questa fase gli immigrati sono meno "visibili" ai più, ma la gravità dei problemi non sfugge a chi si dedica all'impegno sociale, in particolare all'associazionismo.
Nella seconda fase iniziano le richieste di ampliamento della sfera dei diritti (casa, istruzione, sanità, previdenza etc.) tese ad una maggior uguaglianza.
Il problema della richiesta abitativa è particolarmente grave in Italia, ove esiste già per gli italiani. Agli immigrati con insicure risorse economiche, inizialmente non resta che adattarsi a situazioni di promiscuità: in città in piccoli alloggi, pagati a caro prezzo ai "civilissimi" ed italianissimi proprietari, ove si dorme a rotazione; o in campagna in vecchie case diroccate ed abbandonate. Le Amministrazioni locali ed il Governo si sono attivati per l'emergenza con l'accoglienza in vecchi edifici pubblici dismessi ed in seguito con limitatissime iniziative di edilizia economica popolare, comunque ampiamente insufficienti anche solo a contribuire alla soluzione del problema. L'Associazionismo si è invece impegnato a fondo e con pochi mezzi e l'impegno di molte persone ha cercato di contribuire alla soluzione del grosso disagio, la Chiesa cattolica analogamente ha contribuito, ma più per iniziative spontanee che per impegno istituzionale, per contro alcune istituzioni quali la Caritas si sono impegnate a fondo e con generosità, nella quotidianità come nell'emergenza, per ovviare alle notevoli carenze delle Istituzioni pubbliche.
Nella seconda fase molte famiglie immigrate sono riuscite a superare la diffidenza dei proprietari immobiliari ed inoltre in più città sono sorte cooperative edilizie, con la compartecipazione degli immigrati stessi, che costruiscono o acquistano alloggi, ma soprattutto li prendono in affitto assegnandoli poi ai soci stranieri a normali prezzi di mercato.
Dopo i ricongiungimenti familiari, molti lavoratori con un posto "sicuro" e dopo anni di sacrifici, hanno iniziato ad acquistare la propria casa con l'aiuto di mutui bancari.
Attualmente in Italia gli immigrati possono usufruire dell'assistenza del servizio sanitario nazionale solo se, in regola con il permesso di soggiorno, residenti in un territorio, facciano esplicita richiesta. Gli stranieri che non abbiano queste specifiche caratteristiche non hanno diritto all'assistenza medica, ma solo a cure ospedaliere urgenti a loro spese.

IL LAVORO COME ASSISTENZA: BALIE E BADANTI A CONFRONTO



Non solo badanti e non solo donne dell’est.
Le rumene, polacche e ucraine di oggi svolgono lo stesso lavoro che per anni è stato di migliaia di donne italiane, costrette a spostarsi dalla propria terra d’origine alla ricerca di un’occupazione.
Nella nostra storia recente queste migrazioni sono sempre esistite e in certi periodi del XIX e del XX secolo hanno assunto anche dimensioni “di massa”. I
In passato il processo di industrializzazione comportò, infatti, un fabbisogno di manodopera femminile per lo sviluppo di alcuni settori industriali, determinando il reclutamento di ragazze provenienti dalle zone rurali più povere. Negli anni Cinquanta e Sessanta numerosissime giovani partirono dall’Italia per le industrie tessili francesi e per altre fabbriche svizzere, belghe e tedesche.Oltre a operaie, le cosiddette migranti divennero presto cameriere e balie.
Il fenomeno dell’immigrazione femminile è stato nel tempo più volte analizzato, con il tentativo di coglierne le caratteristiche e le dinamiche più profonde. Oggi come ieri a spingere tante donne a spostarsi per trovare lavoro è la volontà di fuggire dalle condizioni di miseria originarie, svolgendo mansioni evitate dalla maggior parte di quelle del nostro Paese. Esaminando i principali studi, è stata riscontrata una componente importante del fenomeno migratorio, ossia l’aspirazione della donna immigrata all’emancipazione economica, sociale e politica.

IL COMMERCIO AMBULANTE DEGLI EMIGRANTI DEL MIO PAESE E DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA,DALLE CROMERE AI VU CUMPRA’



Le cromere



Il commercio ambulante fu una delle attività praticate in passato dagli emigranti lamonesi per consentire la sopravvivenza della loro famiglia, in una terra bellissima, ma avara di risorse.
L’inizio di tale attività risale ai primi anni dell’Ottocento con lo smercio di un prodotto artigianale, le penne d’oca fabbricate nella frazione di San Donato.
Il fenomeno del lavoro ambulante interessò un numero rilevante di paesani che si spostavano con il treno nei tragitti lunghi, a piedi e talvolta in bicicletta per i tragitti giornalieri.
Le mete preferite dei cromer erano la Svizzera, l’Austria, la Germania e la Francia
Gli ambulanti del mio Paese sono conosciuti con il nome di CROMER .
Tale nome sembra avere un origine tedesca; kram significa infatti merce, carabattola, ciarpame, straccio.
I cromer generalmente erano emigranti stagionali che avevano un forte legame con il paese natio, dove risiedeva la loro famiglia.
Le donne costituivano la maggioranza del lavoro ambulante; talvolta entravano illegalmente nei Paesi stanieri, poi cercavano di mettersi in regola e di ottenere un documento senza il quale non potevano esercitare il commercio.
Le cromere partivano sempre con un compagno fedele di viaggio, la cassela, una specie di armadietto di legno con numerosi cassettini su più piani, in cui veniva riposta ordinatamente la merce più piccola.
In alcune particolari versioni, la cassela poteva essere aperta a fisarmonica e diventare un comodo espositore per le piccole piazze del paese. Alla partenza la cassela era così pesante che per caricarsela sulle spalle la cromera doveva essere aiutata da un’altra persona.
Le cromere giravano di casa in casa per smerciare un’ampia gamma di chincaglieria.
Spesso trattavano articoli la cui vendita era proibita per cui per avvisare che c’era un controllo da parte delle Autorità comunicavano tra loro usando una lingua segreta, un gergo particolare per non farsi capire dagli utenti.
Es. ” Smicia, smicia i gian, spesa la maroca” che vuol dire” Guarda, guarda i carabinieri nascondi la merce”
L’età avanzata, l’abbigliamento caratteristico, l’enorme carico trasportato a piedi anche in condizioni climatiche avverse contribuivano a suscitare una certa commiserazione nei clienti e una certa propensione all’acquisto.
Come tutte le persone senza fissa dimora, anche le cromere venivano guardate con sospetto dalla gente e dalle forze dell’ordine e ciò accresceva il legame di solidarietà nel gruppo di coloro che esercitavano lo stesso mestiere.
Anche nel caso delle cromere lamonesi si può parlare di della cosiddetta catena migratoria, il particolare meccanismo che lega, attraverso una fitta rete di rapporti parentali o di conoscenze, i luoghi di partenza con quelli di arrivo.

Chi vive nelle grandi città ha imparato a conoscerli: quasi tutti bengalesi, tanto simpatici quanto insistenti, vivono vendendo rose, spesso con il pensiero alle famiglie rimaste in patria. Qualcuno però riesce a mettere radici

I VU CUMPRA’



Secondo una percezione sociale diffusa, il venditore itinerante è un marginale che trasporta a mano un peso (la mercanzia da vendere) e dunque un individuo costretto a mortificare il proprio corpo per un piccolo margine di guadagno. A questo cliché “miserabilista” si accompagna la tendenza ad associare gli ambulanti “etnici” alle figure del clandestino, dello spacciatore, del delinquente.
Questo genere di stereotipi, associati ad un persistente razzismo, riguardano evidentemente non solo i venditori marocchini, ma intere comunità che esercitano la compravendita (senegalesi, algerini,tunisini, africani in genere).
Il nome degli immigrati ambulanti, pronunciato spesso in modo canzonatorio o sprezzante, è ritenuto la frase tipica con cui il venditore ambulante si rivolge ai potenziali passanti e clienti. Esso si identifica nella figura di uno straniero (senegalese e marocchino)che vende ogni genere di mercanzia. Ma l'ambulante, il venditore ambulante è tutt'altro che un lavoro di "fortuna" o una scelta obbligata in mancanza d'altro, è una radicata tradizione senegalese, un'occupazione che, nel loro Paese, occupa una larga fetta della manodopera.
Il commercio ambulante abusivo degli immigrati, inizialmente avviato da nordafricani, è oggi governato da senegalesi. Altre comunità immigrate con strategie diverse si sono inserite nel settore: è il caso dei cingalesi e, ultimamente, dei cinesi, dei ghanesi e dei nigeriani. Il settore è ben strutturato e funziona in modo gerarchico, ma con profonde differenziazioni. L’attività si svolge tutto l’anno con periodi intensi di lavoro durante le
feste, le fiere e l’estate, particolarmente sulle spiagge affollate di bagnanti. Il commercio abusivo avviene anche per le strade e le piazze cittadine, nei luoghi di lavoro, determinando problemi d’ordine pubblico. Tutte le città italiane oggi hanno il loro piccolo dream team di venditori ambulanti abusivi che controlla ogni angolo di strada.
Il settore del commercio abusivo continua a crescere, ad ampliarsi non solo con la proliferazione di bancarelle, ma soprattutto con singoli venditori che offrono sempre più prodotti taroccati. Le novità nel settore sono l’ingresso di nuove figure professionali e di nuove comunità immigrate. Una delle comunità in crescita, che sta cercando di fare concorrenza ai venditori ambulanti senegalesi, è quella dei nigeriani e dei ghanesi.
Rispetto ai senegalesi, i venditori ambulanti nigeriani non hanno un look «da poveraccio» e per trasportare i loro prodotti sono muniti di adeguate borse da viaggio. Essi operano il meno possibile nei centri storici, ma più nei quartieri, nelle case, nei negozi, negli uffici. Rispetto ai senegalesi non vendono per ora libri, collanine, accendini: la loro mercanzia è fatta di fazzoletti, calzini e piccoli prodotti d’uso domestico. In crescita sono anche i cinesi e i cingalesi. Gli ambulanti abusivi cinesi stanno cercando di inserirsi nella vendita di borse e vestiari taroccati.
La costante presenza della vendita ambulante tra i cittadini immigrati dal loro arrivo in Italia può essere motivata da una serie di concause: modalità di inserimento per i nuovi arrivi senza permesso di soggiorno attraverso un'attività "facile" da svolgere, che permette di sostenersi economicamente in attesa della regolarizzazione, esistenza di reti migratorie già dedite a questa attività che quindi la riproducono, ricerca di una flessibilità che permette ritorni prolungati in patria, esercizio saltuario di questa attività come compensazione dei bassi salari.
Generalmente gli immigrati vendono borse e oggetti di pelletteria. Bisogna innanzitutto fare una distinzione sulla tipologia delle merci vendute dagli itineranti in Italia come altrove: esiste un mercato della contraffazione e un mercato dell'imitazione, il primo è illegale il secondo è legale. La contraffazione si caratterizza come riproduzione di merci identiche nella fattura e nel marchio a quelle prodotte dai produttori autorizzati e detentori del brevetto e copyright. A volte alla contraffazione si accompagna la truffa come nel caso dei finti vetri di murano o delle riproduzioni di altri beni di marca venduti come tali, con prezzo elevato, in negozi e boutiques.
A partire dal 2002 si modifica anche la tipologia dei venditori; da una maggioranza di abusivi dal punto di vista dei titoli per il commercio, ad una maggioranza di titolari di regolare licenza per esercitare il commercio itinerante.

STRANIERO”



A causa del grembo materno diverso,
o perchè i racconti della tua infanzia
ti hanno forgiato in un’altra lingua,
non chiamarmi straniero.
Il tuo grano è simile al mio grano,
la tua mano, simile alla mia,
il tuo fuoco, simile al mio fuoco,
e tu mi chiami straniero!
Perchè in un altro popolo sono nato,
perchè altri mari conosco,
perchè un altro porto, un giorno, ho lasciato,
non chiamarmi straniero
È lo stesso grido che noi portiamo
è la stessa fatica che trasciniamo,
quella che sfianca l’uomo dalla notte dei tempi,
quando non esisteva nessuna frontiera,
prima che arrivassero quelli
che dividono e uccidono,
quelli che rubano, quelli là, gli inventori
di questa parola: straniero.
Triste parola ghiacciata, tanfo d’oblio e d’esilio.
Non chiamarmi straniero.
Guardami bene negli occhi,
ben al di là dell’odio,
dell’egoismo e della paura
e vedrai che sono un uomo.
No, non posso essere straniero!
(Anonimo)

Migrazioni collegamenti tesina



Storia: Le migrazioni nella storia.
Italiano: Poesia "Straniero".
Sociologia: L'immigrazione.
Diritto: Il lavoro.

BIBLIOGRAFIA




Storia dell'emigrazione italiana / a cura di Piero Bevilacqua, Andreina De Clementi, Emilio Franzina.

L’orda. quando gli albanesi eravamo noi. G. Antonio Stella Rizzoli editore.

Con la valigia in mano. L’emigrazione nel feltrino dalla fine dell’ottocento al 1970.

Articoli di quotidiani relativi agli argomenti trattati.

Ricerca di informazioni su siti di emigrazione italiana.
Estratto del documento

CAUSE DELL’EMIGRAZIONE

Da una attenta analisi dei vari movimenti migratori,sia all’interno di uno stesso paese che

verso paesi stranieri,in primo luogo emergono una serie di fattori economici che,per

quanto diversificati specificamente,possono essere ricondotti ad un unico concetto

generale.

Le condizioni materiali di vita divenute insufficienti e talvolta non in grado di garantire

neppure la semplice sopravvivenza spingono gli individui all’emigrazione, definitiva o

temporanea che sia. Si pensi ad esempio,ai grandi movimenti di popolazione in seguito

alle siccità e carestie in Africa,oppure alle migrazioni interne,dalle campagne verso le

concentrazioni urbane e industriali,che hanno accompagnato la rivoluzione industriale in

Europa. Accanto alle cause di carattere economico,in alcuni casi,sono presenti altre

motivazioni di carattere socio-politico,ideologico e religioso. Si pensi ad esempio alla

lunga marcia dei Mormoni verso la “terra promessa”,che li portò nel secolo XIX, dall’Ohio

allo Utah attraverso due terzi dell’attuale territorio degli Stati Uniti;oppure dal drammatico

esodo degli Ebrei dalla Germania e dai paesi politicamente da essa controllati durante il

periodo nazista.

Altri fattori quali:le nuove scoperte geografiche,il progresso tecnologico etc. si sono

dimostrati storicamente determinanti nell’influenzare o addirittura nel rendere

possibile,l’emigrazione stessa.

LE ONDATE MIGRATORIE

L’emigrazione italiana nel mondo ha rappresentato uno dei caratteri più singolari e

caratteristici della storia contemporanea del nostro paese. L’interesse per il tema rimane

tuttora forte, a causa dei recenti, diffusi fenomeni di xenofobia verificatisi in una nazione a

lungo protagonista di flussi verso l’estero, e per l’ampio dibattito riguardante il voto degli

italiani all’estero. Appare utile quindi riandare con la memoria a quando l’Italia divenne

protagonista del fenomeno.

Trattandosi di un argomento prolungato e complesso, è auspicabile l’individuazione delle

varie fasi, diverse tra loro per caratteristiche demografiche e sociali; cronologicamente, la

classificazione più diffusa ne propone quattro:

-la prima, dal 1876 al 1900;

-la seconda, dal 1900 alla prima guerra mondiale;

-la terza, tra le due guerre;

-la quarta, dal dopoguerra agli anni ‘60/’70.

(la data del 1876 indica la prima rilevazione ufficiale dell’emigrazione italiana; della fase

precedente esistono solo stime, che aiutano a comprendere l’evoluzione di un fenomeno

non riconducibile alla sola età contemporanea)

Prima fase migratoria: 1876-1900

Nela storia dell'emigrazione italiana dei primi sessant'anni dopo l'Unità, si distinguono due

periodi. La prima fase, che giunge grosso modo fino alla fine dell'Ottocento, è

caratterizzata da un forte flusso migratorio dalle regioni settentrionali.

Tra i paesi di destinazione l'America settentrionale (in particolare gli Stati Uniti) occupa

una posizione di rilievo, ma non esclusiva. Altrettanti emigranti sono attirati dai grandi

paesi del sud, Brasile e Argentina.

La scelta tra le aree di destinazione è una scelta tra un lavoro e una collocazione sociale

simili a quelli lasciati in patria, e un radicale e brusco cambiamento. 4

1.1 Emigrazione italiana in Nordamerica

Gli emigranti italiani nell'America settentrionale si inserivano in un paese fortemente

urbanizzato, e si indirizzavano ad attività lavorative di tipo industriale (in genere

dequalificate) o alla costruzione di strade e ferrovie;raramente al lavoro agricolo.

Il flusso dall'Italia settentrionale, così come quello tedesco, scandinavo, britannico,

proviene da paesi dove è in corso una rivoluzione industriale e un' intensa trasformazione

sociale; si tratta di un'immigrazione relativamente colta e qualificata dal punto di vista

lavorativo, i cui costumi differivano poco da quelli "americani", cioè da quella cultura di

origine britannica che era stata faftta propria dalla maggioranza della popolazione

statunitense.

1.2 Emigrazione italiana in Sudamerica

L'emigrazione in Sudamerica, in particolare in Brasile, riusciva spesso ad inserirsi

nell'agricoltura, in molti casi arrivando a costituire aziende indipendenti.

L'emigrazione veneta in America latina arriva a produrre un fenomeno unico: le cosiddette

golondrinas, le rondinelle che, a partire dagli anni Novanta, sfruttando l'inversione delle

stagioni nei due emisferi, si muovevano da ottobre a marzo per i raccolti e soprattutto per

la mietitura. Ogni emigrante tendeva ad andare là dove sapeva di poter trovare parenti, o

amici, o conoscenti, da cui poteva attendersi aiuto.

Tra aree di partenza e aree di destinazione si stabilivano dei nessi privilegiati, così gli

emigranti dalla zona di Bassano, nel Veneto, tendevano a emigrare in Brasile, in

particolare nell'area nota appunto come "Nuova Bassano"; quelli di molti villaggi liguri, in

California; e così via.

2.Seconda fase migratoria:1900-1914

La seconda fase (1901-1915) coincide con l’ industrializzazione italiana; eppure, è detta

“grande emigrazione“, proprio per l’ incapacità del nostro sviluppo, non intenso né

uniforme, di assorbire la manodopera eccedente. L’ emigrazione del periodo è largamente

extraeuropea: il 45% degli emigranti (prevalentemente meridionali) espatriano in America;

e proprio le grandi variazioni visibili tra gli anni (1908: 487 000 partenze; 1913: 870 000).

Permane lo squilibrio tra i sessi, e specie per i settentrionali aumenta la tendenza

all’espatrio in Europa.

La media annuale, 600 000 partenze, porta il totale del periodo a 9 000 000 di persone.

Un vero esodo.

La creazione nel 1901 del Commissariato Generale dell’emigrazione rese l’espatrio

finalmente tutelato dall’azione speculatoria da intermediari e agenti delle compagnie di

navigazione, autori di giganteschi arricchimenti nel periodo, pur senza risolvere le enormi

problematiche igieniche e sociali causate dalla concentrazione di emigranti nei tradizionali

porti d’imbarco (Genova, Napoli, Palermo): l’ epidemia di colera a Napoli nel 1911, le

vessazioni cui furono sottoposti gli emigranti in genere (portatori a detta del questore di

Genova di “grave danno dell’igiene, della morale, del decoro”) e le donne in particolare,

contro le quali si scatenarono “antichi pregiudizi e nuove paure” (A.Molinari), oltre alle

tradizionali attitudini violente del “branco” maschile (abusi, violenze, furti).

2.1Migranti meridionali: le caratteristiche

Questa "nuova immigrazione" è composta in genere di analfabeti, contadini sradicati dalla

terra, poveri, la cui cultura differisce radicalmente da quella "americana".

E’ un'emigrazione in larghissima prevalenza maschile e adulta (donne e bambini, cioè,

restavano in Italia), con una percentuale di rimpatri straordinariamente elevata (quasi uno

su tre), dedita ai lavori di tipo operaio, poco o per nulla qualificato (mentre scarsissimi

sono gli emigranti che si dedicano ad attività rurali), e che destina gran parte dei suoi

magri guadagni, spesso oltre la metà, alla famiglia rimasta in Italia. 5

La loro intenzione non era (come era avvenuto ad esempio per gli irlandesi, o per

l'emigrazione settentrionale che li aveva preceduti, e come avveniva ancora per gli ebrei

dell'Europa orientale) il puro e semplice abbandono della propria terra incapace di

mantenerli, bensì il guadagno, con l'emigrazione, di denaro sufficiente a comprare terra in

paese, a mutare cioè la propria condizione nel paese d'origine.

Così si spiega l'incredibile flusso di "rimesse", di denaro cioè inviato in patria dagli

emigranti.Il flusso di una simile quantità di denaro dall'estero faceva dell'emigrazione di

massa una straordinaria risorsa per l'economia italiana permettendo al paese acquisti di

materie prime e pagamenti di debiti internazionali.

Solo molto tempo dopo la classe dirigente italiana ha cominciato a comprendere quanto

quei vantaggi immediati siano stati pagati con il decadimento economico di intere aree,

oltre che naturalmente con tragedie e sofferenze personali e collettive di poco inferiori a

quelle provocate da una guerra.

Gran parte delle forze politiche dominanti era nettamente favorevole all'emigrazione di

massa anche in quanto si trattava di una valvola di sfogo là dove le tensioni sociali

rischiavano di divenire insostenibili, in particolare nell'Italia meridionale.

2.2 Atteggiamenti razzisti negli Stati Uniti

Molti americani assumono i meridionali italiani come il simbolo della " nuova

immigrazione" meridionale ed orientale (russi, slavi del sud, greci).

Tanto che per poter dare una spiegazione "scientifica" - cioè biologico-razziale - alle

evidenti differenze culturali ed economiche tra le due aree di provenienza degli emigranti

italiani, tra il nord e il sud del nostro paese, sociologi e governo sentono il bisogno di

attribuire gli immigranti italiani a due ceppi diversi : "celtici" , affini cioè agli irlandesi e ai

francesi, i settentrionali; "iberici", affini cioè ai portoghesi e agli spagnoli, i meridionali.

Per spiegare le differenze di cultura e di comportamento tra gli italiani del nord e del sud

emigrati negli Stati Uniti, anzichè ricorrere a simili assurdità pseudo-scientifiche, sarebbe

bastato conoscere la diversa situazione economica delle diverse regioni italiane e il

diverso atteggiamento che, prima dell'unificazione (e anche dopo) il potere politico vi

aveva tenuto, in relazione all'istruzione come all'andamento sociale delle campagne.

3 La chiusura delle frontiere americane

Con due leggi, una del 1921 e l'altra, ancora più restrittiva, del 1924, gli USA chiudono le

frontiere all'immigrazione.

Alla base della campagna anti-immigrazionista c'è la convinzione che l'afflusso di

immigranti dall'Europa meridionale ed orientale stia avendo un'influenza negativa sul

paese, sia dal punto di vista razziale (in quanto sarebbe cresciuto il peso delle "razze

inferiori" rispetto a quelle superiori, in particolare a quella "anglosassone"), sia dal punto di

vista economico (in quanto i "nuovi immigranti" erano considerati meno produttivi e più

tendenti a farsi mantenere dalla collettività di quanto fossero stati i loro predecessori).

In questo modo spariva quella che era stata la massima valvola di sfogo, per oltre un

secolo, degli squilibri demografici europei.

La terza fase migratoria (tra le due guerre)

Coincide con un brusco calo delle partenze: vi contribuirono dapprima le restrizioni

legislative adottate da alcuni Stati (in particolare gli USA, con le “quote” (1921/1924) di

immigrati annuali che favorivano le comunità di antica immigrazione e quindi più

“integrate”, e con i “literacy tests” contro gli analfabeti); in secondo luogo, la tendenza

statalista e dirigista seguita a partire dal 1921 attraverso varie conferenze internazionali

(tenute a Roma) per disciplinare i flussi; inoltre, la politica fortemente restrittiva attuata dal

fascismo per motivi di prestigio (l’“immagine negativa” fornita dalle torme di partenti) e di

potenziamento bellico (trattenendo molte giovani leve da impiegare per scopi militari); per

ultimo, il peso delle crisi economiche degli anni ’20 (specie quella del ’29). 6

L’ emigrazione si diresse quindi soprattutto verso la Francia, alimentata anche dai

numerosi espatri oltralpe degli oppositori politici del fascismo (specialmente comunisti), e

verso la Germania negli anni ’30, specie dopo la firma del “Patto d’Acciaio”.

Aumentano nel periodo i richiami dei congiunti dall’estero (e cresce, quindi, la presenza

femminile, segno di stanziamento definitivo all’estero). Dal 1920 al 1940, emigrarono circa

3 200 000 persone, destinate a supplire alla deficienza francese e tedesca di manodopera

nazionale in agricoltura, edilizia, industria.

Dopo esser stato incorporato nel ministero degli Esteri, il “Commissariato” viene in seguito

sostituito con la “Direzione generale per gli italiani all’estero”.

La quarta fase migratoria, dal dopoguerra agli anni ‘60/’70.

Nella quarta e ultima fase (1945-1970 ca.) l’Italia è tornata a fornire consistenti flussi,

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