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Sintesi
Sintesi Distopia e manipolazione mentale - Tesina


Chi non ha mai sentito parlare di controllo e manipolazione delle menti umane? Credo quasi nessuno. In fondo è uno dei più grandi problemi che vengono affrontati quotidianamente dai grandi sociologi della nostra epoca e che ha ricevuto non poche voci critiche ed analisi comparate. Fatta tale premessa, passo a presentare alla commissione d'esame tale tesina che mira ad esaminare, a partire da un film rilasciato recentemente nelle sale cinematografiche, il famoso The Hunger Games, il forte potere di condizionamento che i mass media e alcuni regimi politici riescono ad esercitare sulla mente e sulla vita quotidiana. Un controllo che è stato portato alle estreme conseguenze dai regimi totalitari del 1900 e che, alla caduta di questi ultimi, è stato portato avanti da un nuovo potente strumento invasivo: la televisione.
È proprio grazie a quest’ultima che il “quarto” potere, la stampa, si è ulteriormente rafforzato fino ad infiltrarsi nelle vite di ciascuno di noi. Non tutti se ne rendono conto: c’è chi pensa che la televisione sia un mezzo per realizzare, seppure in modo molto limitato, l’ubiquità che nelle grandi religioni è tipica solamente di Dio, nel senso che essa si presenta come uno strumento capace di tenere l’individuo informato su tutto e su tutti. Dall’altro lato la televisione viene pensata dalla stragrande maggioranza della popolazione come un fine nella propria vita, un oggetto senza il quale non si può andare avanti, indispensabile e necessario.
Ma ci soffermiamo, all'interno della mia tesina di maturità veramente abbastanza a riflettere su quali siano, oltre agli indubbi vantaggi, gli svantaggi connessi a tale strumento mediatico? Cosa comporti in termini non solo economici, ma anche morali e spirituali l’utilizzo acritico del mezzo televisivo che -non a caso- il filosofo Karl Popper definiva, in un suo celebre ed agile libro, una “cattiva maestra”? Nessuno certo può negare che la televisione servi a rilassare dopo una giornata lavorativa impegnativa o che sia utile per capire cosa stia succedendo nelle altre parti del mondo. Ciò non toglie che occorra esercitare sempre su di essa uno “sguardo” critico, cercando di cogliernel’innegabile lato “oscuro”, che la televisione peraltro condivide con quasi tutti i beni di consumo più diffusi. Infatti la TV è uno dei pochi strumenti capace di introdurre in ciascuno di noi idee e modelli di pensare e di vivere, in grado di condizionare profondamente anche i nostri comportamenti abituali, confezionando e proponendo idee ed immagini sul mondo che tendono ad imprimersi con forza, con un nuovo sigillo di verità (“l’ha detto la TV!”),riorientando e mutando radicalmente le nostre credenze e abitudini di vita.
Basta ricordare ciò che diceva Pasolini: “niente di più feroce della banalissima televisione”. Niente di più vero: in apparenza la televisione sembrerebbe uno strumento innocuo e libero nell’utilizzo, che si limita a mostrarci quali sono i beni che maggiormente si vendono sul mercato, quali sono gli eventi che avvengono in politica, quali sono i film di maggior fama. In realtà occorrerebbe ricordarsi più frequentemente che le forze che stanno dietro ai media e che ne organizzano il messaggio, sono da noi del tutto incontrollabili. La manipolando è sempre dietro le porte, anche nei più innocui programmi d’intrattenimento: la stessa scelta delle notizie produce, per logica conseguenza escludente, la messa in sordina di fatti ed eventi che si ritengono non particolarmente significativi, secondo l’ottica dominante, o addirittura pericolosi se fatti circolare dal mezzo di comunicazione di massa nell’opinione pubblica. Il potere dei vecchi e dei nuovi media è tale, oggi, da poter fare “il buono e cattivo tempo” in politica ed in economia, orientando i consumi privati e le scelte collettive, dove investire i propri risparmi come anche – per esempio- dove andare in vacanza o come trascorrere il tempo libero e, soprattutto, come decidere del giusto e dell’ingiusto.
Intrappolato in un eterno presente, l’uomo contemporaneo subisce l’effetto di uniformizzazione e di conformismo tipico di questa fase di rapida modernizzazione che viene chiamata “globalizzazione”.In questa “modernità liquida”, come il sociologo Zygmunt Bauman l’ha acutamente definita, tutto tende a perdere consistenza e spessore: il passato, inteso come risorsa di esperienze significative essenziali per il futuro, viene ora dimenticato in un angolo tendendo a ridursi, come memoria individuale e collettiva, ad un tempo brevissimo dell’ordine di un paio di giorni, mentre il pensiero del futuro tende a limitarsi all’immediato tornaconto e alla disponibilità ad un modello di vita estremamente competitivo.

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Distopia e manipolazione mentale - Tesina


Cinema: Presentazione del film "The Hunger Games".
Storia: Distopia e Totalitarismo.
Inglese: George Orwell, "1984".
Estratto del documento

Chi non ha mai sentito parlare di controllo e manipolazione delle menti

umane? Credo quasi nessuno. In fondo è uno dei più grandi problemi che

vengono affrontati quotidianamente dai grandi sociologi della nostra epoca

e che ha ricevuto non poche voci critiche ed analisi comparate. Fatta tale

premessa, passo a presentare alla commissione d'esame tale elaborato che

mira ad esaminare, a partire da un film rilasciato recentemente nelle sale

cinematografiche, il famoso The Hunger Games,il forte potere di

condizionamento che i mass media e alcuni regimi politici riescono ad

esercitare sulla mente e sulla vita quotidiana. Un controllo che è stato

portato alle estreme conseguenze dai regimi totalitari del '900 e che, alla

caduta di questi ultimi, è stato portato avanti da un nuovo potente

strumento invasivo: la televisione.

È proprio grazie a quest’ultima che il “quarto” potere, la stampa, si è

ulteriormente rafforzato fino ad infiltrarsi nelle vite di ciascuno di noi. Non

tutti se ne rendono conto: c’è chi pensa che la televisione sia un mezzo per

realizzare, seppure in modo molto limitato, l’ubiquità che nelle grandi

religioni è tipica solamente di Dio, nel senso che essa si presenta come uno

strumento capace di tenere l’individuo informato su tutto e su tutti.

Dall’altro lato la televisione viene pensata dalla stragrande maggioranza

della popolazione come un fine nella propria vita, un oggetto senza il quale

non si può andare avanti, indispensabile e necessario.

Ma ci soffermiamo veramente abbastanza a riflettere su quali siano, oltre

agli indubbi vantaggi, gli svantaggi connessi a tale strumento mediatico?

Cosa comporti in termini non solo economici, ma anche morali e spirituali

l’utilizzo acritico del mezzo televisivo che -non a caso- il filosofo Karl

Popper definiva, in un suo celebre ed agile libro, una “cattiva maestra”?

Nessuno certo può negare che la televisione servi a rilassare dopo una

giornata lavorativa impegnativa o che sia utile per capire cosa stia

succedendo nelle altre parti del mondo. Ciò non toglie che occorra

esercitare sempre su di essa uno “sguardo” critico, cercando di

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cogliernel’innegabile lato “oscuro”, che la televisione peraltro condivide

con quasi tutti i beni di consumo più diffusi. Infatti la TV è uno dei pochi

strumenti capace di introdurre in ciascuno di noi idee e modelli di pensare

e di vivere, in grado di condizionare profondamente anche i nostri

comportamenti abituali, confezionando e proponendo idee ed immagini sul

mondo che tendono ad imprimersi con forza, con un nuovo sigillo di verità

(“l’ha detto la TV!”),riorientando e mutando radicalmente le nostre

credenze e abitudini di vita.

Basta ricordare ciò che diceva Pasolini: “niente di più feroce della

banalissima televisione”. Niente di più vero: in apparenza la televisione

sembrerebbe uno strumento innocuo e libero nell’utilizzo, che si limita a

mostrarci quali sono i beni che maggiormente si vendono sul mercato,

quali sono gli eventi che avvengono in politica, quali sono i film di

maggior fama ecc..In realtà occorrerebbe ricordarsi più frequentemente

che le forze che stanno dietro ai media e che ne organizzano il messaggio,

sono da noi del tutto incontrollabili. La manipolando è sempre dietro le

porte, anche nei più innocui programmi d’intrattenimento: la stessa scelta

delle notizie produce, per logica conseguenza escludente, la messa in

sordina di fatti ed eventi che si ritengono non particolarmente significativi,

secondo l’ottica dominante, o addirittura pericolosi se fatti circolare dal

mezzo di comunicazione di massa nell’opinione pubblica. Il potere dei

vecchi e dei nuovi media è tale, oggi, da poter fare “il buono e cattivo

tempo” in politica ed in economia, orientando i consumi privati e le scelte

collettive, dove investire i propri risparmi come anche – per esempio- dove

andare in vacanza o come trascorrere il tempo libero e, soprattutto, come

decidere del giusto e dell’ingiusto.

Intrappolato in un eterno presente, l’uomo contemporaneo subisce l’effetto

di uniformizzazione e di conformismo tipico di questa fase di rapida

modernizzazione che viene chiamata “globalizzazione”.In questa

“modernità liquida”, come il sociologo Zygmunt Bauman l’ha acutamente

definita, tutto tende a perdere consistenza e spessore: il passato, inteso

come risorsa di esperienze significative essenziali per il futuro, viene ora

dimenticato in un angolo tendendo a ridursi, come memoria individuale e

collettiva, ad un tempo brevissimo dell’ordine di un paio di giorni,

mentreil pensiero del futuro tende a limitarsi all’immediato tornaconto e

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alla disponibilità ad un modello di vita estremamente competitivo.

A questo scopo, per far vedere le conseguenze di un eccessivo e restrittivo

controllo sulle persone, è uscito l'anno scorso il film “The Hunger Games”,

trasposizione cinematografica del romanzo di Suzanne Collins ambientato

in un'epoca futura in cui il Nord America è stato distrutto e al suo posto è

stata creata una nuova Nazione, Panem. Quest'ultima comprende una

ricchissima capitale Capitol City e dodici distretti molto poveri,

minuziosamente controllati dal governo con sede nella capitale. A seguito

emo

di una rivolta da parte del 13 distretto, ormai tutto annientato, i controlli

della polizia vengono ulteriormente rafforzati e come se non bastasse, ogni

anno vengono scelti in ogni distretto due ragazzi, incaricati di partecipare

ai cosiddetti “Hunger

Games”, letteralmente

“i giochi della fame”, in

cui ciascun concorrente,

introdotto in un’arena,

deve, per poter

sopravvivere, uccidere

l’avversario. Quello

che, però, importa

maggiormente in questo

film è come viene

condotto il gioco, che già dall’inizio appare crudele ed estremamente

spietato. Infatti in tutto il campo sono disseminate telecamere che

permettono alla direzione di Capitol City di controllare tutti i singoli

movimenti dei ragazzi. In particolare, i cosiddetti “game makers”, i

costruttori del gioco, non lasciano nulla alla casualità; niente può, quindi,

sfuggire alla loro attenzione. Pertanto, se uno dei ragazzi comincia a

manifestare atteggiamenti di solidarietà nei confronti di alcuni avversari

(cosa che non farebbe parte dei piani dei “game controllers”), i tecnici

intervengono inserendo nell’arena tutti quegli ostacoli che possono far

evitare che affiorino emozioni, sensazioni ecc.. È il caso della scena in cui

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Katniss Everdeen per poter salvare una sua avversaria, va in cerca di erbe e

piante con poteri curativi, ma la direzione, non condividendo tale scelta,

tramite dei computer introduce nel gioco delle palle infuocate, con

l’obiettivo di colpire la ragazza e deviarla dai suoi iniziali propositi. Ecco,

quando si parla di controllo, si parla di qualcuno che fa di tutto per poter

cambiare le nostre scelte ed indirizzarci verso un obiettivo che, molto

spesso, non è quello che ci si era prefissi. Se poi pensiamo che in tali

giochi i diritti della persona insieme alla libertà sono totalmente annullati,

allora possiamo anche parlare di una vera e propria distopia, ovvero di una

non-utopia, o, se si preferisce, di un’utopia negativa, dai tratti fortemente

autoritari.

Il termine, che secondo l'Oxford English Dictionary, fu coniato per la

prima volta dal filosofo inglese John Stuart Mill, sta ad indicare una

società indesiderabile sotto tutti i punti di vista, una società fittizia, spesso

ambientata in un futuro prossimo, nella quale le tendenze sociali sono

portate ad estremi apocalittici. Le principali caratteristiche delle distopie

sono, generalmente, comuni a gran parte dei romanzi distopici

novecenteschi; o meglio, una parte di autori narrano le vicende di quelle

società future in cui il potere delle autorità pretende di controllare ogni

aspetto della vita umana, del cosiddetto "bíos", e ciò ben si ricollega al

caso del film sopra descritto; una parte di narratori, invece, rappresenta o

la fine del vivere civile o una sua massima degradazione dovuta a

catastrofi globali, spesso causate dall'uomo.

Mi concentrerò adesso, maggiormente, sulle caratteristiche del primo

filone narrativo, quello dei totalitarismi, che in fondo si è realmente

sperimentato nel corso della storia. Nella prima tipologia di distopia è

presente spesso una società gerarchica, in cui le divisioni fra le varie classe

sociali sono rigide ed insormontabili, la propaganda e la stampa del regime

costringono l'intero popolo al culto dello Stato o del regime politico che lo

rappresenta, insieme con i suoi simboli e il suo linguaggio. Nei sistemi

totalitari, infatti, un’orchestrata propaganda impone a tutti un unico stile di

vita, mentre ogni forma di dissenso, dal momento che si oppone per

definizione al conformismo dominante, viene immancabilmente associata

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al tradimento contro lo stato e contro l’élite al potere. Lo Stato è spesso

rappresentato da un leader carismatico adorato dalla gente ed oggetto di un

massiccio ed invasivo culto della personalità,agenzie governative o

paramilitari -come una polizia segreta o Tribunali speciali per la sicurezza

dello stato- sono impegnate nella sorveglianza continua di tutti i cittadini,

in realtà spossessati di ogni forma di cittadinanza attiva e libera. Nelle

moderne democrazie di massa la sorveglianza può essere invece sostituita,

come già nel film “The Hunger Games”, da potenti e avanzate reti

tecnologiche di comunicazione, un aspetto inquietante e che pone tanti

interrogativi sulla reale efficacia e funzionalità anche delle moderne

democrazie.

Come ho sopra accennato esiste anche una distopia reale, tuttavia tra essa e

quella letteraria sussiste una significativa ed evidente distinzione. Infatti le

distopie letterarie sono frutto dell’immaginazione di scrittori che hanno

saputo cogliere -direi abilmente- quegli elementi della realtà attorno a loro

che ritenevano potenzialmente pericolosi per l’equilibrio della società, e

sono riusciti a fonderli assieme alle proprie paure e suggestioni per

riportare la propria visione distopica sulle pagine di quei romanzi entrati a

far parte del patrimonio letterario mondiale, presentandoli come fonti di

una consapevolezza critica collettiva. Le distopie fittizie sono dunque il

prodotto diretto dell’esperienza delle distopie reali: le distopie storiche

nascono invece, concretamente, da deviazioni politiche, sociali ed

economiche generatrici di realtà sociali che hanno segnato profondamente

la storia dell’umanità. L’incarnazione di queste distopie è rappresentata dai

totalitarismi, una realtà politica che ha lasciato una traccia indelebile nella

storia del XX secolo.

La caratteristica fondamentale di qualsiasi forma di totalitarismo è

l’ideologia che diventa strumento indispensabile alla sopravvivenza del

regime stesso, in quanto permette di plagiare le menti degli individui

costringendo il libero pensiero ad immergersi all’interno di un rigido

schema ideologico fondato su alcuni “a-priori” indimostrabili e non

verificabili dall’esperienza dei singoli individui e, a partire da questi

assiomi, su di una rigida e meccanica deduzione di ogni conseguenza

necessaria. Il fascismo, il marxismo-leninismo e il nazismo sono le

maggiori ideologie che hanno determinato rispettivamente la nascita e lo

sviluppo dello Stato semitotalitario italiano, di quelli – considerati da

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Hannah Arendt- come modelli di totalitarismi perfetti, dell’Unione

Sovietica e della Germania nazista.

Proprio per la tipizzazione modellizzante che caratterizza sai la struttura

della società sovietica che quella nazista, mi fisserò in particolare su queste

due forme estreme di totalitarismo novecentesco.

This book is probably, along with Animal Farm, Orwell’s most famous

work: written in the year 1948, right after the world-wide totalitarian

experience of the first half of the 20th century, it is the result of the

author’s social and political commitment, as well as the outcome of

Orwell’s disillusionment with the reality of Soviet Communism. The story

develops around its main character, named

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