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Latino: "Ab Urbe Condita" di Tito Livio e le "Histriae" e gli "Annales" di Publio Cornelio Tacito
Italiano: "le tecniche d'impersonalità, regressione ed eclissi dell'autore" nei "i Malavoglia" e in "Rosso Malpelo" di Giovanni Verga e "idea romantica della storiografia" in "i promessi sposi" di Alessandro Manzoni.
INDICE
1) DEFINIZIONE DI STORIOGRAFIA Pag. 4
2) I TRE DILEMMI DELLA STORIOGRAFIA Pag. 5
3) SULL'UTILITA': Nietzsche e Gadamer Pag. 8
4) SULLE FONTI: Livio e Tacito Pag. 12
5) SUL METODO: Verismo e Romanticismo Pag. 15
6) FONTI BIBLIOGRAFICHE Pag. 23
7) FONTI SITOGRAFICHE Pag. 24
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DEFINIZIONE DI “STORIOGRAFIA”
“Storiografia” è letteralmente composto da due termini, il primo è “storia”, il
secondo “grafia”;
la parola greca γραϕία (graphìa), declinata dal sostantivo γραφή (graphè),
significa “descrizione”, o più semplicemente “scritto”. Questa parola viene usata
ancora oggi per indicare la <<maniera di rappresentare le parole nella scrittura>>
(Enciclopedia italiana “Treccani”), viene affiancata in particolare a determinate
particelle che definiscono l'ambito in cui questo termine viene impiegato, come
per esempio “ortografia”, cioè l'uso corretto dei segni grafici e d’interpunzione in
una lingua e l’insieme delle norme che lo regolano; oppure il comune termine
“fotografia” con cui si definiscono quelle immagini ottenute tramite un processo di
impressione statica della luce prodotta o riflessa da oggetti fisici.
L'altra parola che compone il sostantivo “storiografia” è “storia”. Termine molto
comune e noto, dal significato molto spesso scontato, proviene dal greco ἱστορία
(istoría), cioè “ricerca”. Tale concetto mutò nel tempo estendendosi al risultato
stesso della ricerca. Ultimo fu Aristotele ad occuparsi del problema, definendo la
storia come “conoscenza acquisita tramite indagine”.
La storiografia è una pratica che consiste nella stesura di un testo che racconti
eventi accaduti nel passato basto su fonti, che possono essere primarie o dirette,
cioè prelevate personalmente da parte dello storico da persone o oggetti che hanno
vissuto l'evento in questione (quale potrebbe essere lo studioso stesso), oppure
secondarie o indirette, quando lo storico è costretto a prendere le proprie
informazioni da testi scritti da terzi o da documentazioni che si basano su altre
fonti.
Da Erodoto, considerato padre fondatore della storiografia, ai più contemporanei
storici questo procedimento ha messo alla prova chi intendeva adempiere a tale
missione, presentando una serie di problemi.
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I TRE DILEMMI DELLA STORIOGRAFIA
Il primo dilemma riscontrato è quello della utilità: ci si è chiesto per quale motivo
si senta il bisogno di conservare la propria memoria nella storiografia, ma
soprattutto quanto sia utile avvalersi di tale metodo.
Il secondo dilemma è quello che riguarda le fonti: quali e quante tra le fonti
disponibili possono essere considerate adatte a presentare in modo “oggettivo” i
fatti storici analizzati e quanto devono ritenersi attendibili e veritiere.
Il terzo dilemma è quello legato al metodo: quali siano le possibili modalità di
stesura del testo storiografico, se sia più conveniente descrivere gli eventi in modo
soggettivo o in modo oggettivo e in particolare se sia possibile avere una visione
completamente oggettiva e disinteressata della storia.
Non è possibile dare una risposta certa a tali dilemmi, poiché non ne esiste una
sola ed unica. Infatti, a lungo si è tentato di dare spiegazioni o opinioni in merito a
queste problematiche, come, per esempio, fece il filosofo tedesco Friedrich
Nietzsche, il quale analizzò, nel suo famoso saggio “Sull'utilità e il danno della
storia per la nostra vita” (Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben),
contenuto nella raccolta “Considerazioni inattuali” (Unzeitgemässe
Betrachtungen), i danni che poteva procurare la storia sulle persone e l'utilità
concreta con cui essa potesse essere impiegata. Anche il filosofo ermeneutico
Hans-Georg Gadamer analizzò, nella sua più celebre opera “Verità e Metodo”
(Wahrheit und Methode), come la storia possa essere utile all'uomo, nella
creazione di preconcetti, fondamentali per conoscere ermeneuticamente un testo.
I due più illustri storici latini, Tito Livio e Publio Cornelio Tacito, avevano due
concezioni della storia opposte, in particolare riguardo alla questione delle fonti.
Livio, nella sua celeberrima opera “Ab Urbe Condita”, successivamente
denominata “Historiae”, analizza la storia di Roma dalla sua fondazione (753
5
a.C.) fino alla morte di Nerone Claudio Druso, console durante il periodo dell'alto
impero (9 d.C.), avvalendosi spesso di fonti secondarie inattendibili e incerte,
come miti o racconti; Tacito, al contrario, utilizzò fonti primarie a cui egli stesso
aveva accesso personalmente, poiché appartenente alla classe senatoria romana,
tanto che ciò gli permise di descrivere in modo più chiaro, dettagliato e soprattutto
veritiero i fatti e gli eventi raccontati nelle sue due opere più famose le “Historiae”
e gli “Annales”, che illustrano la storia di Roma dalla morte di Cesare Ottaviano
Augusto (12 d.C.) alla morte di Domiziano.
La questione della storiografia non fu affatto discussione ristretta ad una piccola
cerchia di filosofi e storici, come i sopra citati Nietzsche, Gadamer, Livio e Tacito,
ma, con il passare del tempo, il discorso si ampliò in modo diffuso, in tutti gli
ambiti, artistici e letterari. Molti artisti e scrittori si dedicarono ai “problemi” della
storiografia, vista, più che come disciplina letteraria, come trasmissione di fatti e
racconti di vite vissute. Con l'avvento delle correnti illuministe, si cominciò già a
vedere la storia da un punto di vista più soggettivo delle persone comuni, tanto da
fondere e confondere il semplice racconto di vita quotidiana con gli eventi storici.
Questa tendenza tipica della società Occidentale, profondamente individualista ed
umanista, si giustifica poiché prende in considerazione anche i piccoli aspetti della
vita di chi ha subito la storia, senza partecipare attivamente al processo storico.
Molti si sono chiesi quanto si possa essere oggettivi nella trascrizione degli eventi
storici; una in particolare fu la corrente letteraria che affrontò scenario storico
europeo dell'ottocento, epoca di progresso scientifico ed intellettuale, analizzando
la questione del “metodo”, il “Verismo” fondato dallo scrittore catanese della
seconda metà del '800, Giovanni Verga, il quale si occupò in modo incisivo della
problematica del metodo oggettivo, basandosi sulle teorie del Positivismo e del
Naturalismo. Il Verismo di Verga raggiunse la sua massima oggettività nelle
novelle e nei primi due libri dell'incompiuto “Ciclo dei Vinti”, “i Malavoglia” e
“Mastro Don Gesualdo”. La corrente verista fu in netta contrapposizione con il
“Romanticismo”, l'altro movimento (artistico, musicale, culturale e letterario) che
si occupò della problematica metodologica della storiografia. Il Romanticismo,
6
sviluppatosi al termine del '700 in Germania, si impegnò a descrivere gli eventi
con gli occhi e le emozioni del narratore, inserendo commenti e pensieri
dell'autore all'interno del testo. In Italia il massimo esponente della corrente
romantica fu sicuramente lo scrittore milanese Alessandro Manzoni, autore del
celebre romanzo “I promessi sposi”. 7
SULL'UTILITA': confronto tra F. Nietzsche e H.G.Gadamer
Friedrich Nietzsche, nato nel 1844
e morto nel 1900, è stato uno dei
filosofi ottocenteschi che
rivoluzionò la mentalità e le idee
occidentali, creando una svolta e
un'alternativa alla visione
positivista e razionalista di
derivazione hegeliana, tipici di
quell'epoca. Infatti, insieme
all'inventore della psicoanalisi,
Sigmund Freud e al filosofo Karl
Marx, Nietzsche viene definito
come “maestro del sospetto” dal filosofo ermeneutico Paul Recoeur (1913-2005),
poiché egli ha contribuito a sgretolare la rigida e scientifica maschera
dell'ottocento, svelando l'illusione e le apparenti certezze dell'uomo moderno.
Nell'opera “Unzeitgemässe Betrachtungen” (Considerazioni Inattuali), egli dedica
la seconda delle quattro considerazioni alla storiografia e al primo dei tre dilemmi:
l'utilità.
Nietzsche, in “Vom Nutzen und Nachteil der Historie für das Leben” (Sull'utilità e
il danno della storia per la vita), pubblicata nel
O greggia mia che posi, oh te 1874, è convinto che l'uomo moderno si stia
beata,
Che la miseria tua, credo, non riducendo da un'eccesso di storicismo ad un
sai!
Quanta invidia ti porto! passivo spettatore degli eventi. L'uomo
Non sol perché d'affanno
Quasi libera vai; s'immagina già come sarà scritta la storia ancora
Ch'ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito prima che gli eventi accadano e la sua bramosia di
scordi; conoscere il passato lo rende cieco agli
Ma più perché giammai tedio
non provi. avvenimenti del presente. Infatti, egli, incosciente
di ciò che accade, non è più in grado di guardare al
(“il canto notturno del pastore
errante dell'Asia” di G. Leopardi) futuro. 8
Citando il “Canto notturno del pastore errante dell'Asia” di Giacomo Leopardi, il
filosofo tedesco lamenta il dolore dell'uomo, incapace di dimenticare il passato e
di essere talmente attaccato ad esso da non riuscire a controllare il bisogno di
ricordare e di imprimere sulla carta la storia. La storiografia secondo Nietzsche
rende l'uomo debole nella suo eccesso di consapevolezza, proprio lui, il quale è
dotato di una mente superiore e che è in grado di produrre i pensieri più astratti,
invidia l'animale che cede continuamente al “fattore oblio”, quindi dimentica ogni
dolore e ogni felicità del passato. L'uomo quindi dovrebbe saper vivere in modo
“non storico”, perciò deve imparare “l'arte dell'oblio” cosicché possa raggiungere
la felicità nascosta dietro al velo dell'ignoranza
Chi non sa sedersi sulla soglia dell'attimo, dimenticando tutto il passato, chi non
sa stare ritto su un punto senza vertigini e paura come una dea della vittoria non
saprà mai cos'è la felicità, e peggio ancora non farà mai qualcosa che rende
felici gli altri.
Dunque è questo il danno che la storia provoca sul genere umano.
Nella seconda parte della seconda considerazione, Nietzsche analizza tre tipologie
di storiografia che sono fonte di utilità per la vita dell'uomo: la storiografia
monumentale, quella antiquaria e quella critica. Infatti, per il filosofo tedesco, la
storiografia non dev'essere fine a se stessa, ma deve, in qualche modo, essere utile
all'uomo nella ricerca del passato, nella comprensione del presente e nella
costruzione del futuro.
La storiografia monumentale corrisponde all'atteggiamento di chi è attivo, ha
aspirazioni e di proietta al futuro. Di essa si serve l'individuo che combatte grandi
battaglie, che ha bisogno di modelli e di maestri di riferimento che non riesce a
trovare nel presente. A quest'uomo la storia serve come mezzo contro la
rassegnazione, deducendo dal passato una spinta motivazionale verso il futuro.
La storiografia antiquaria appartiene a una specie umana conservatrice, che ha
cura delle proprie origini e assume la tutela della tradizione come compito, tanto
che la vita viene considerata come memoria e fedeltà. Secondo il filosofo questo
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tipo di storiografia può degenerare dal momento di cui inaridisce il presente e si
mostra incapace di generare il nuovo.
La storiografia critica è tipica dell'uomo che sente il peso della storia sulla propria
attualità e tende a rigettarlo, criticando il passato con gli occhi del presente e
assumendolo come unità di misura per giudicare il passato. Nietzsche ammette,
comunque, che un tipo di storiografia come questa può essere pericolosa e che, in
ogni caso, l'uomo rimane sempre figlio del proprio passato
E' sempre un processo pericoloso, pericoloso, cioè, per la vita stessa: uomini o
tempi che servono la vita a questo modo, giudicando e annientando un passato,
sono uomini o tempi pericolosi e in pericolo. Infatti, dato che noi siamo i
risultati di generazioni precedenti, delle loro passioni e dei loro errori, anzi dei
loro delitti, non è possibile staccarsi del tutto da queste catene. Se noi
condanniamo quei traviamenti e ce ne riteniamo affiancati, non è eliminato il
fatto che deriviamo da essi.
Il filosofo ermeneutico Hans-Georg