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Greco: Sofocle, Antigone
Storia: Aung San Suu Kyi
Finito il college, Steve Jobs non sapeva che cosa avrebbe fatto della sua vita e
non aveva idea di come l’università potesse aiutarlo a scoprirlo. Decise allora di
abbandonarla, smettendo di assistere alle lezioni obbligatorie e cominciando a seguire
solo quelle che lo interessavano, in particolare un corso di calligrafia. Di certo in quel
momento non poteva immaginare che dieci anni dopo avrebbe progettato il
font
Macintosh, con multipli caratteri e spazialmente proporzionati, proprio grazie a
quel corso frequentato per caso. Allo stesso modo non poteva pensare che il
licenziamento dalla Apple, l’azienda da lui fondata, lo avrebbe portato a costituire due
nuove società, la NeXT, poi acquistata dalla stessa Apple, e la Pixar, oggi lo studio di
animazione di maggior successo al mondo.
Queste due storie raccontano di uomini che hanno realizzato i propri sogni ed è
affascinante pensare che non abbiano mai smesso di coltivare le proprie passioni,
nonostante le difficoltà. Non è possibile capire quanto siano stati terribili gli anni
passati dal dottor Masera accanto a quei bambini che morivano; un eroico coraggio,
un’ illimitata passione per la medicina e il porsi al servizio degli altri che la pratica di
questa disciplina comporta sono serviti per superare il senso di impotenza di fronte a
una malattia tanto spietata. Difficile è anche ridisegnare la propria vita dopo aver visto
il fallimento di quanto era stato faticosamente costruito e coraggioso è credere di
poter inventare qualcosa di ancora più grande.
Le parole di questi due uomini hanno riempito il mio futuro di speranza e continuano a
farlo ogni volta che mi accosto a rileggerle. Mi hanno insegnato che chi crede
profondamente in quello che fa non può mai rimanere deluso e mi hanno indotto a
cercare le mie passioni da far emergere in un avvenire ancora tutto da disegnare.
Cosa terrà accesa la mia stella?
Nell’attesa che la risposta incerta che io ora mi posso dare acquisti contorni
sempre più precisi, ho voluto individuare tre motivazioni che possono spiegare perché
tre figure, della storia e della letteratura, abbiano brillato e ancora brillino della propria
luce. È ancora Steve Jobs a suggerirle, quando, nel suo discorso ai neolaureati
speranza,
dell’Università di Stanford, parla della necessità di coltivare una credere
nell’amore ideale.
e non lasciare mai morire il proprio
speranza
Rappresentante della (che in questo caso finisce per identificarsi con la fede
cristiana) è per me Ungaretti. Credo che uno dei versi più commoventi della sua
“t’amo, t’amo ed è continuo schianto” “Giorno per
poesia sia , parole d’amore che in
giorno” dedica al figlio morto. Nel poeta questa tragedia personale si unisce al dolore
universale della guerra che tuttavia non gli impedisce di bramare Dio, approdo sicuro
di un viaggio pieno di difficoltà.
Antigone è, invece, colei che sceglie di andare oltre una legge umana per fare ciò che
l’amore le suggerisce.
Di questo personaggio mi appassionano la giovane età e la determinazione; sa
difendere con coraggio i propri ideali di fronte a chi è più potente, lei che è donna di
“Siamo donne”,
fronte a chi è uomo e re. ripete la sorella Ismene, come se questo già
precludesse molte vie: eppure ella combatte con quell’orgoglio che le donne hanno
quando vengono ferite negli affetti più cari. Metterò tuttavia anche in luce
filia
l’interpretazione del professor Susanetti che suggerisce come la che muove
Antigone non sia altro se non amore per sé che la porta a ripetere la strage dei
Labdacidi.
Come Antigone rinuncia al ruolo di sposa per essere sorella, Aung San Suu Kyi rinuncia
a quello di moglie e madre, prima per essere figlia e tornare nel paese d’origine ad
accudire la madre morente, poi per essere guida del suo popolo oppresso dalla
dittatura militare in Birmania. Sopporta anni di arresti domiciliari e viene liberata dal
governo solo ad elezioni avvenute per impedirle di iniziare prima quel percorso che
dall’aprile scorso, quando ha ottenuto un seggio in Parlamento, sembra delinearsi con
maggiore chiarezza.
Il fiore che questa donna porta sempre tra i capelli è il segno di un ideale che non
muore, alimentato dalla speranza, nutrito dall’amore. Il fiore che la giovane della foto
4
che ho posto in copertina oppone ai fucili è quella stella che si è accesa per guidare il
cammino di Ungaretti, Antigone e Aung San Suu Kyi e per insegnare a noi a non
1
“tenere la testa bassa, nemmeno quando è buio” .
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Cosa tiene accese le stelle,
1. Mario Calabresi, Milano, Mondadori, 2011, p. 130.
La Speranza e la Fede
La speranza e la fede di Ungaretti
L’esperienza poetica di Ungaretti, fortemente condizionata dalla sua biografia, procede
da un’iniziale constatazione della solitudine e del dolore dell’uomo, relitto di un
naufragio, alla riconquista drammatica delle certezze offerte dalla fede tradizionale e
alla coscienza di ripercorrere, nell’esperienza dolorosa della propria esistenza, una
strada comune a tutti gli uomini.
Nel suo itinerario poetico-biografico la guerra lascia un segno indelebile, conducendo il
poeta alla consapevolezza della precarietà della condizione umana in tale situazione
(si sta / come d’autunno / sugli alberi / le foglie 1
) e della fraternità che
5
di che reggimento siete / fratelli? 2
quell’esperienza riporta alla luce ( ) . Dopo il
superamento delle lacerazioni e dello strazio provocato dalla guerra, sia fuori, nelle
(di queste cose / non è rimasto / che qualche / brandello di muro 3
cose e nella natura ) ,
(ma nel cuore / nessuna croce manca) 3
sia dentro, nell’animo del poeta , la vita,
mescolata a questa enorme sofferenza, porta a una spontanea e inquieta
immedesimazione nell’essenza cosmica delle cose. Il poeta avverte un riconquistato
(l’Isonzo scorrendo / mi levigava / come un suo sasso 4
senso di armonia con il creato ) e
scopre la volontà e la capacità di ricominciare daccapo dopo la constatazione di un
fallimento e di persistere, istintivamente e volontariamente, nel viaggio.
L’ossimoro del titolo “Allegria di naufragi” comunica che proprio dalla constatazione di
un naufragio scaturisce l’attaccamento alla vita. Al naufragio, che è da intendere non
solo come la consapevolezza che tutta la civiltà viene meno, ma anche come ogni
delusione e mancato approdo della nostra vita, si oppone dialetticamente l’allegria. Il
poeta, o genericamente un uomo che assume valore emblematico, soggetto
subito
sottointeso della poesia, riprende il suo viaggio nella vita come il superstite
dopo il naufragio si rimette in mare. È sufficiente un’illusione perché l’uomo di pena
Ungaretti si rifaccia coraggio e, attraverso la sua ricerca di certezze, di approdi e di
risposte a drammatici interrogativi, cerchi di dare voce al cammino per superare la
pura “terrestrità”.
Non è comunque escluso il dolore di fronte all’esperienza della sofferenza e del male
Tu non mi guardi più, Signore...) 5
nella storia del singolo e della collettività ( . Le due
liriche intitolate “Dannazione” sono la testimonianza del travaglio intimo del poeta che
non ha ancora trovato soluzione nell’adesione alla fede tradizionale. La coscienza dei
limiti e della precarietà dell’uomo e del creato fa nascere l’ansia di superarli, la brama
di assoluto e di fede. In queste poesie le parole cariche di pregnanza semantica sono:
“chiuso”, che sottolinea il senso del limite, di carcere nel quale si dibatte l’uomo;
“mortali” “finirà”,
e che indicano la consapevolezza che le cose, anche quelle nelle
bramo”,
quali alita un senso di infinito, sono destinate a morire; “ che esprime
un’esigenza drammatica di superare questo limite. La prima lirica è del 1916, la
seconda del 1932 ed è la trascrizione della precedente con la caduta dell’aggettivo
“grande”, della parentesi nel verso centrale e del punto interrogativo conclusivo.
L’analisi di queste varianti permette di cogliere l’evoluzione del sentimento religioso
ungarettiano, per cui la prima stesura è il risultato di uno stato d’animo soggettivo e
problematico, mentre la seconda, priva della parentesi e dell’aggettivo, evidenzia con
forza la limitatezza delle cose e dell’uomo in quanto materia che può riscattarsi solo
nella certezza della fede (di qui la caduta dell’interrogativo).
La poesia “Mio fiume anche tu” fa parte della raccolta “Il dolore” e in particolare della
sezione “Roma occupata” le cui liriche esprimono un dolore che trae motivazione dalla
situazione di tutto un popolo oppresso e martoriato, quello dell’Italia durante
l’occupazione nazista. Leone Piccioni, uno dei più attenti critici della poesia
ungarettiana, l’ha definita “il più spiegato canto religioso del poeta”. In questi versi
un gemito
l’esperienza di dolore per le sorti di un popolo, per l’innocenza calpestata (
di agnelli si propaga / smarrito per le strade esterrefatte) e le angosciose domande
(Cristo ….: /perché la tua bontà / s’è tanto allontanata?
che essa pone ) si risolvono
nella fede che supera ogni precedente contraddizione. Il dolore cerca una
consolazione, una soluzione positiva e ottimistica, il naufragio vuole ancora allegria (F.
Portinari). L’unica allegria possibile proviene da una fede con strutture ordinate, sicure
pensoso palpito”
e certificate. In questa poesia Cristo è definito “ (v. 26), dove Cristo è
(palpito)
amore preoccupato, pensoso delle sorti dell’uomo, ma nello stesso tempo
“palpito” è l’anelito dell’uomo a Dio, anelito non solo istintivo ma voluto e sorretto
dall’intelligenza, necessità sentita a livello cosciente e consapevole e perciò
“pensoso”. E quanto più l’uomo nel suo dissennato orgoglio si allontana da Cristo,
dalla legge d’amore che Egli ha trasmesso agli uomini con il suo sacrificio, tanto più
trasforma la convivenza umana in un inferno di dolore e di cattiveria. La condotta
dell’uomo in questi tempi bui, di sterminio e di abiezione è una piaga nel cuore di Dio,
6
proprio perché Dio non cessa di amare l’uomo: l’uomo che è fango, peccato, tenebre
può essere riscattato da questa condizione da Dio che è amore e luce.
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1. Dalla poesia “Soldati” anno 1918.
2. Dalla poesia “Fratelli” anno 1916.
3. Dalla poesia “San Martino del Carso” anno 1916.
4. Dalla poesia “I fiumi” anno 1916.
5. Dalla poesia “Dannazione” anno 1931.
Le Poesie
“Dannazione” “Dannazione”
(I) da “L’ALLEGRIA” , 1916 (II) 1932
METRICA Versi liberi METRICA Versi liberi
Chiuso fra cose mortali Chiuso fra cose mortali
(anche il gran cielo stellato finirà) anche il cielo stellato finirà
perché bramo Dio? perché bramo Dio.
“Allegria di naufragi” da “L’ALLEGRIA”, 1917
METRICA Versi liberi
E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare.
Versa il 14 febbraio 1917
“Mio fiume anche tu” da “IL DOLORE”, 1947
METRICA Tre strofe irregolari di endecasillabi e settenari liberamente alternati. Da notare la particolare
ora che… ora che
struttura delle due prime strofe nelle quali la clausola si ripete tante volte e serve a
introdurre ogni volta un nuovo elemento, un particolare della tristezza dei tempi. Deriva da ciò alla lirica
un tono che è da requisitoria e da compianto sulla stolta iniquità degli uomini. Anche se non mancano
moduli espressivi precedentemente conquistati da Ungaretti (le analogie, per esempio) c’è da parte del
poeta in questi versi l’impegno di realizzare un canto alto e solenne, una dimensione da inno civile e
religioso, una corposità che va ben aldilà della rarefazione ed astrazione della parola che è una costante
della sua poesia. 1 1
Mio fiume anche tu, Tevere fatale, (fatale)
il Tevere è un fiume carico di storia che in
questo tragico
ora che notte già turbata scorre; (ora che… ora che)
momento il poeta sente suo;
esso scandisce un’altra