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Filosofia: Ludwig Feuerbach (tedesco); Auguste Comte (francese);K
Fisica: moderna teoria sui fulmini (elettrostatica).
Abstract
Quando ero piccola, durante i temporali, mia nonna mi diceva di non uscire di casa
perché c'era “il diavolo in carrozza”. Questo “diavolo” da una parte mi terrorizzava, ma
dall'altra mi affascinava, perciò mi è sempre piaciuto restare in casa al riparo
osservando dalla finestra i fulmini scaricare in un istante tutta la loro energia sul
terreno.
Ho deciso di approfondire questo argomento per conoscere le interpretazioni
mitiche del fenomeno e confrontarle con le teorie moderne, con l'obiettivo di
descrivere il passaggio dalla superstizione al pensiero scientifico, reso possibile grazie
al progresso e alla divulgazione della scienza.
Nella prima parte della tesina ho affrontato l'argomento dello studio del fulmine nel
passato. In seguito mi sono soffermata sul rapporto tra il fulmine e la divinità,
partendo da una citazione di Cicerone, per poi parlare delle teorie di Feuerbach e
Comte a proposito dell'origine di Dio dalla natura. Questi due autori sono stati
affrontati rispettivamente in lingua tedesca e francese. A questo punto ho descritto
l'esperienza di Franklin, che ha permesso la scoperta della natura elettrica dei fulmini.
Poi ho ritenuto necessario fare un'introduzione sulle nuvole, prima di spiegare la
formazione delle cariche. Infine ho elencato e descritto i tipi di scariche e i vari effetti
dei fulmini. 2
Indice
Studio del fulmine......................................................................................................4
Il legame tra fulmini e divinità....................................................................................6
La scoperta della natura elettrica del fulmine............................................................8
La moderna teoria sui fulmini.....................................................................................9
Le nuvole..................................................................................................................10
Formazione delle cariche..........................................................................................12
Tipi di scariche..........................................................................................................14
Effetti termici del fulmine.........................................................................................15
Effetti chimici ed elettromagnetici del fulmine.........................................................16
Effetti acustici del fulmine: il tuono..........................................................................16
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Studio del fulmine
Un fenomeno così repentino, intenso e potente come il fulmine ha da sempre
suscitato nell’uomo l’istinto di mettersi al riparo. Infatti, a differenza di ciò che accade
per i terremoti o le inondazioni, il fulmine interessa uno spazio e un tempo molto
ristretti ma, nonostante ciò, rilascia una notevole quantità di energia. Probabilmente è
proprio per questo motivo che i popoli antichi consideravano i fulmini una
manifestazione divina. I fulmini sono sicuramente tra i più impressionanti fenomeni
naturali che l'uomo possa osservare e mostrano la potenza e l'imprevedibilità della
natura, caratteristiche che allo stesso tempo attraggono e spaventano l'uomo.
Per gli Etruschi e i Babilonesi i fulmini rappresentavano, in base alla lunghezza,
all'intensità e alla direzione, il responso degli dei ad una domanda a proposito di
avvenimenti futuri.
Per i Greci erano frecce scagliate da Zeus per punire i mortali. Anche per i Romani
erano frecce (“sagittae”) scagliate, però, da Giove (da ciò deriva il termine “saetta”).
Infatti, nel museo archeologico di Aquileia (UD) è conservato un curioso bassorilievo
raffigurante Giove nell'atto di colpire un malcapitato fermatosi a fare "pipì" in un luogo
proibito. Sempre ad Aquileia, vicino all'incrocio tra la via Giulia Augusta e via Roma, è
stato rinvenuto un monumento detto bidental, ovvero una sepoltura a forma di vera di
pozzo oppure di cassa, costruito per impedire che un luogo colpito da un fulmine fosse
calpestato o adibito a uso profano.
Per i Vichinghi erano scintille prodotte dal martello del dio Thor. Curiosamente, con
questa similitudine, i popoli del nord si avvicinarono di più a quella che è la reale
natura del fulmine, cioè quella di una grande scintilla atmosferica.
Le idee che si erano sviluppate nelle varie culture, però, non sembravano sufficienti
ai “filosofi naturali”, che indagarono per trovare una causa materiale e un meccanismo
generatore.
Empedocle (490-430 a.C) sosteneva che il fulmine era una parte della luce del sole
catturata dalle nubi più dense che, con fragore, riusciva a liberarsi dalla sua trappola.
Anassagora (500 -426 a.C.), al contrario, sosteneva che il fulmine era una parte
dell'etere e che era attirato verso il basso e fatto cadere nel mondo materiale.
Aristotele (384 -322 a.C.), contestando entrambi, affermava che il lampo fosse
prodotto dall'esplosione tra le nubi di vapori infiammabili saturi di olio e di zolfo.
Inoltre, l'urto produceva il tuono.
Lucrezio (98-55 a.C.) nel De rerum natura scrisse che il fulmine era dovuto al
movimento di particelle molto piccole e leggere che riuscivano a passare anche
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attraverso agli oggetti materiali. Per questo i fulmini erano in grado di provocare
incendi.
Si occupò dei fulmini anche Lucio Anneo Seneca (4 a. C. - 65 d. C.), che dedicò a
tale argomento l'intero secondo libro delle Naturales Quaestiones.
Illud est mirum, quod vinum fulmine gelatum, cum ad priorem habitum redit, potum
aut exanimat aut dementes facit. Quare id accidat quaerenti mihi illud occurrit: inest
vis fulmini pestifera; ex hoc aliquem remanere spiritum in eo umore quem coegit
gelavitque simile veri est; nec enim alligari potuisset nisi aliquod illi esset additum
vinculum.
“La cosa sorprendente è che il vino gelato dal fulmine, quando torna al primitivo stato,
se bevuto, o uccide, o rende folli. Se cerco di spiegarmi perché ciò accada, trovo
questa spiegazione: nel fulmine risiede una forza maligna; ne consegue
verosimilmente che in quel liquido che condensa e congela permane qualche essenza;
né infatti avrebbe potuto rapprendersi se a esso non fosse incorporata qualche
sostanza aggregante”.
In questo brano è evidente che, all'epoca di Seneca, era ancora presente
l'associazione del fulmine ad una “vis pestifera”. Egli sosteneva, infatti, che esso fosse
persino in grado di avvelenare il vino. Ciò sembrava a Seneca la dimostrazione del
legame tra il fulmine e l'azione di una divinità.
Seneca, inoltre, distinse tra “fulmen” (in greco “keraunos”), lampo tra nubi e terra, e
“fulguratio” (in greco “astrapê”), lampo tra nubi e aria.
Fulguratio enim est non perlatum usque in terras fulmen, et rursus fulmen dicas licet
fulgurationem esse in terras usque perductam. Non ad exercendum uerba diutius hoc
idem tracto, sed ut cognata esse ista et eiusdem notae ac naturae probem. Fulguratio
est paene fulmen. uertamus istud: fulmen est plus quiddam quam fulguratio.
“Il lampo (fulguratio) è infatti un fulmine che non giunge fino a terra e inversamente si
potrebbe dire che un fulmine (fulmen) è un lampo che arriva fino a terra. Non per far
sfoggio di parole mi occupo così a lungo dello stesso argomento, ma per mostrare che
questi fenomeni sono affini e della stessa specie e natura. Il lampo è quasi un fulmine;
invertiamo i termini: il fulmine è qualcosa di più di un lampo”.
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Il legame tra fulmini e divinità
Nel suo De divinatione, Marco Tullio Cicerone (106-43 a. C.) scrisse:
Quid est igitur quod observatum sit in fulgure? Caelum in sedecim partes diviserunt
Etrusci [...] ut ex eo dicerent fulmen qua ex parte venisset. [...] Nonne perspicuum est
ex prima admiratione hominum, quod tonitrua iactusque fulminum extimuissent,
credidisse ea efficere rerum omnium praepotentem Iovem? Itaque in nostris
commentariis scriptum habemus: "Iove tonante Augurante comitia populi habere
nefas." […] Placet enim Stoicis eos anhelitus terrae qui frigidi sint cum fluere coeperint
ventos esse; cum autem se in nubem induerint eiusque tenuissimam quamque partem
coeperint dividere atque disrumpere idque crebrius facere et vehementius, tum et
fulgores et tonitrua exsistere; si autem nubium conflictu ardor expressus se emiserit,
id esse fulmen. Quod igitur vi naturae, nulla constantia, nullo raro tempore videmus
effici, ex eo significationem rerum consequentium quaerimus? Scilicet, si ista Iuppiter
significaret, tam multa frustra fulmina emitteret! Quid enim proficit cum in medium
mare fulmen iecit? Quid cum in altissimos montis, quod plerumque fit? Quid cum in
desertas solitudines? Quid cum in earum gentium oras, in quibus haec ne observantur
quidem?
“Che osservazioni, dunque, si sono fatte riguardo ai fulmini e ai lampi? Gli etruschi
divisero il cielo in sedici parti [...] in modo da poter dire da quale parte venisse il
fulmine [...] Non è evidente che in seguito alla meraviglia degli uomini primitivi, poiché
temevano i tuoni e il precipitare dei fulmini, sorse in loro la credenza che ne fosse
autore Giove, assoluto dominatore di tutto l'universo? Perciò nei nostri libri si trova
scritto: “Quando Giove tuona e fulmina, è contrario alle leggi divine tenere i comizi”
[...] Gli stoici affermano che quelle esalazioni della terra che sono fredde, quando
incominciano a fluire, costituiscono i venti; quando poi penetrano in una nube e
incominciano a scindere e a squarciare le sue parti meno dense, e fanno ciò con
particolare frequenza e violenza, allora ecco che sorgono i lampi e i tuoni; se, poi, un
fuoco prodotto dal cozzo delle nubi si sprigiona, ecco il fulmine. Dunque da ciò che
vediamo prodursi per forza di natura, senza alcuna regolarità, in nessun tempo
determinato, ricaveremo un presagio di necessari avvenimenti futuri? Sta a vedere
che, se Giove volesse dare simili preannunci, scaglierebbe inutilmente tanti fulmini!
Che cosa ottiene quando scaglia un fulmine in alto mare? O su monti altissimi, ciò che
avviene molto spesso? O in sterminati deserti? O nelle terre abitate da quei popoli che
non osservano nemmeno questi presagi?” 6
Cicerone comprese l'errore degli studiosi della natura nel considerare i fulmini una
manifestazione divina. Inoltre, egli individuò il motivo dell'errore nella meraviglia
dell'uomo primitivo di fronte ad un fenomeno naturale così spaventoso, che poteva
anche provocare un incendio in un istante. Infatti, probabilmente, è proprio grazie gli
incendi dovuti ai fulmini che gli uomini primitivi scoprirono il fuoco.
Molti secoli dopo, il filosofo Ludwig Feuerbach (1804-1872), cercando le origini della
religione, le trovò nel rapporto dell'uomo con la natura. Egli riteneva che Dio non fosse
che una creazione dell'uomo, che, di fronte ad una natura ostile e a fenomeni a quel
tempo inspiegabili, aveva attribuito alla natura caratteri divini. Inoltre, Feuerbach
sosteneva che proprio la mutevolezza della natura avesse portato l'uomo a pregare la
divinità, ad offrirle dei sacrifici, ad organizzare riti religiosi, infatti:
Wenn die Sonne immer am Himmel stände, so würde sie nie das Feuer des
religiösen Affekts im Menschen entzündet haben [...] Wenn die Erde immerfort
Früchte trüge, wo wäre ein Grund zu religiösen Saat- und Erntefesten? Nur dadurch,
daß sie bald ihren Schoß öffnet, bald wieder verschließt, erscheinen ihre Früchte als
freiwillige, zu Dank verpflichtende Gaben. Nur der Wechsel der Natur macht den
Menschen unsicher, demütig, religiös.
“Se il sole fosse sempre immobile nel cielo, non avrebbe mai acceso nell'uomo la
fiamma dell'emozione religiosa [...] Se la terra portasse sempre frutti, che motivo ci
sarebbe per celebrare le feste religiose della semina e del raccolto? Solo perché essa
ora apre il suo grembo, ora invece lo chiude, i suoi frutti appaiono come doni
'volontari' per cui bisogna renderle grazie. Solo il ritmo alterno della natura rende
l'uomo malsicuro, umile, religioso”.
Nach Feuerbach wird die Idee von Gott nicht nur durch die Beziehung zwischen dem
Menschen und der Natur geboren. Die Idee von Gott entspringt nämlich: