Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
costituzione di un partito cattolico e la presenza dei cattolici in Parlamento: meglio agire con le armi
che continuare a far vittime.
Nonostante queste opposizioni, Giacomo resterà fedele per tutta la vita alla linea del Non expedit,
che sarà incoraggiata anche dal successore di Pio IX, papa LEONE XIII. Quest’ultimo riceverà
Don Margotti in Vaticano proprio qualche anno prima della sua morte, avvenuta nel maggio del
1887 a causa di una broncopolmonite. Ecco come il giornalista termina uno dei suoi ultimi articoli:
“Oggi il comando del nostro capitano è di serrare le file ed aspettare; se più tardi suonerà la tromba
dell’attacco, noi siam certi che i disubbidienti di oggi sarebbero i vigliacchi di domani”.
Giacomo Margotti fu un polemista convincente, un giornalista europeo, una “penna d’oro”, come lo
definì Pio IX, e un “avversario temibile”, come lo definì Cavour. Ogni suo avversario gli riconobbe
di aver avuto, nei migliaia d’articoli che scrisse, sempre un fine onesto, anche se ovviamente
discutibile; la stampa del suo tempo gli tributò larghi e positivi consensi, dichiarando che il
giornalismo cattolico non ebbe mai in precedenza un osservatore più fine di lui.
Negli ultimi decenni dell’Ottocento lo Stato sovrano, come spesso aveva sottolineato lo stesso
Margotti, faceva sempre di più sentire il suo peso, la sua intransigenza in tutti i settori; la libertà che
dichiarava essere il suo fine principale, infatti, sotto l’etichetta di “neutralità” nei riguardi della
religione, veniva negata proprio ai credenti.
“In Italia ed altrove, e sempre, la libertà fu uccisa non dai reazionari, ma dai liberali, perché
ritenendo questo nome in fatto mostravansi demagoghi furiosi; vollero troppa libertà, e resero un
benefizio al dispotismo. A Roma non fu Pio IX che uccise la libertà. Egli la generò, i mazziniani la
uccisero. (…) La riforma delle “cose” non può cominciare che dalla riforma delle “persone”… Via
chi ha spinto l’impudenza fino alla menzogna! Via chi ha scambiato la libertà con la persecuzione!”
(Giacomo Margotti, Armonia, 26 ottobre 1852) 5
FILOSOFIA Gioberti e il Risorgimento italiano
:
Margotti osteggiò il Risorgimento combattendo l’idea di un’unità statale, poiché il progetto politico
liberale mirava a disfarsi del Pontefice Romano, considerato il nemico d’Italia. Tuttavia molti
cattolici erano convinti che bisognasse persuadere il clero a mettersi egli stesso alla testa del
movimento liberale, andando così contro alla parola d’ordine papale Non expedit. Ci voleva però un
uomo adatto al grande tradimento; questo fu presto trovato: Vincenzo Gioberti.
Vincenzo GIOBERTI nasce a Torino il 5 aprile del 1801 e si dedica fin da giovane agli studi e alla
vita religiosa. Laureatosi in Teologia nel 1823, sarà ordinato prete due anni dopo.
A partire dal 1830 ha intensi rapporti con la società segreta di stampo liberal-moderato dei Cavalieri
La Giovine Italia
della Libertà, e collabora alla rivista mazziniana . Nonostante l’entusiasmo col
quale aderisce alle idee di Mazzini, egli non si iscriverà mai al partito, in quanto rifiuta la violenza e
i vani tentativi insurrezionali della setta mazziniana.
Caduto in sospetto dell’autorità di polizia per la sua condotta politica, sarà arrestato nel 1833 e
costretto a prendere la via dell’esilio, che trascorre a Parigi e poi a Bruxelles dedicandosi agli studi
filosofici e politici. Tornerà in Italia solamente quindici anni dopo.
Il fallimento dei moti mazziniani lo induce a maturare un diverso programma politico, il
neoguelfismo , mirante alla costituzione di una confederazione di Stati italiani con a capo il papa. I
Del primato morale e
presupposti di tale linea politica sono delineati nel suo scritto più celebre,
civile degli Italiani , pubblicato nel 1843: Gioberti è convinto, in accordo con le idee della
Giovine Italia, che il Paese abbia una missione da portare a termine, ma a differenza di Mazzini è
certo che questa missione debba essere di stampo religioso. E’ proprio in questo progetto politico
neoguelfo che trovano pienamente applicazione i precetti della sua filosofia.
Gioberti considera la filosofia nient’altro che “la religione nuda, spogliata del suo velo poetico, e
ridotta alle sole idee razionali”. La filosofia è quindi l’esplicazione razionale dei contenuti rivelati
dalla religione. Il pensiero umano poggia su una rivelazione primitiva data nel linguaggio, il quale
ha origine divina e infonde nella mente umana i principi che le permettono di conoscere la realtà.
Gioberti ritiene quindi che l’uomo abbia un rapporto originario ed immediato con la verità: esiste un
vero primitivo e assoluto che non è il prodotto della ragione umana, ma si manifesta con evidenza
Idea
immediata all’intuito dell’uomo. Egli chiama l’oggetto di questa rivelazione, nel significato di
idea come ciò che realmente è; l’Idea, infatti, non è un essere possibile o ideale, ma è l’essere reale
6
Ente
ed assoluto, ossia Dio stesso che prende il nome di . Proprio in quanto assume come punto di
partenza l’essere reale, questa posizione filosofica viene definita ontologismo.
Per l’uomo pensare equivale a formulare giudizi, ossia proposizioni formate da soggetto, copula e
predicato; Gioberti chiama formula ideale il giudizio che esprime l’Idea in modo chiaro e preciso. A
questo punto il primo termine contenuto nella formula non può che essere l’Ente, ossia l’essere
stesso, cioè Dio.
Gioberti può così affermare che Dio è il “primo filosofo”, al punto che la filosofia umana appare
soltanto ripetizione e continuazione di quella divina. Dio è pertanto il principio primo della formula
ideale, che però, essendo un giudizio, deve obbligatoriamente contemplare un secondo termine:
Esistente
l’ , che indica il “venir fuori da” e può essere prodotto esclusivamente dall’Ente.
In questo modo risulta articolata nella sua completezza la formula ideale: “l’Ente crea l’Esistente”,
la quale mette in evidenza come il nodo di tutte le cose sia la creazione, unico mezzo per arrivare
alla piena conoscenza della realtà. Tale creazione, però, non si conclude con la nascita
dell’Esistente, ma con il ritorno di tutte le cose alla perfezione dell’Ente, ossia a Dio. La formula
ideale può quindi essere completata con una seconda parte: “l’Esistente ritorna all’Ente”.
Tali considerazioni filosofiche, come già detto in precedenza, trovano piena applicazione nel
progetto politico neoguelfo espresso nello scritto giobertiano Del primato morale e civile degli
Italiani, nel quale Gioberti considera il cristianesimo l’unica religione che è stata in grado di
conservare integro il contenuto dell’Idea espresso nella formula ideale, grazie alla sua
organizzazione in forma di Chiesa.
In Gioberti l’elaborazione filosofica va a saldarsi strettamente con un progetto di rigenerazione
politica. Infatti se alla base della sua filosofia vi è l’Ente che crea l’Esistente, alla base della sua
politica vi è il papa rigeneratore d’Italia, nel quale ha riscontro lo stesso Dio. Il papa ha avuto da
Dio la missione di conservare in terra l’idea divina, e poi la missione di restituire all’Italia il suo
Primato.
Ma in che modo egli dovrà rigenerare l’Italia?
Prima di tutto mediante un moto intellettuale, cercando di allontanare gli Italiani dalle dottrine
straniere ed unendoli tutti sotto la formula dell’Ente creatore. Solamente in seguito potrà avvenire
un moto politico: il papa si metterà alla testa di un’Italia che crederà in lui, raccogliendo tutti i
principi in una lega di cui egli sarà il capo.
Quello di Gioberti si presenta come un programma apparentemente attuabile in quanto esso si ispira
ad idee molte diffuse all’epoca sia in Francia che in Italia, miranti a conciliare religione e patria,
cattolicesimo e liberismo, ma con il merito di associare il papa alla causa del Risorgimento. In
fondo Gioberti, che ha tendenza prettamente democratica, si vuol servire del papa per raggiungere
7
proprio quell’unità nazionale che in seguito Margotti osteggerà con tanta foga. E’ sicuramente in
questo desiderio d’unità italiana che le aspirazioni giobertiane vanno completamente ad identificarsi
con quelle di Cavour.
Le tesi del neoguelfismo appaiono convincenti: Gioberti ha azione sulla parte liberale del popolo,
giunge a convertire molti mazziniani, e lo stesso papa Pio IX pare scosso da questo suo sistema. La
stessa rivoluzione del 1848, che pure è contraria alle idee di Gioberti, sembra l’attuazione delle
profezie di un ingegno superiore e sembra gridare: “Viva Gioberti!”
Dopo un’intensa attività politica, nel 1849 Gioberti decide di ritirarsi a vita privata a Parigi, in un
volontario esilio; è proprio in Francia che morirà, nel 1852, a causa di un attacco cardiaco. Ecco
come Margotti parla di lui in Vittorie della Chiesa:
“L’esecuzione del progetto venne commessa all’abate Gioberti sia per la destrezza del suo ingegno,
sia per il carattere di sacerdote che rivestiva”.
La rivoluzione sognata da Gioberti appare oggi molto utopistica: tutto doveva svolgersi senza
difficoltà, senza un contributo d’azione, con la benedizione papale e con la condiscendenza
benevola dell’Austria. In realtà molti problemi si prospettavano: il papato non voleva combattere la
cattolica Austria, la Chiesa non era disposta ad accettare il liberismo e gli stessi liberisti non
avrebbero mai approvato uno Stato a guida religiosa.
Inoltre il neoguelfismo non fu esente da critiche: esso venne fortemente osteggiato dai Gesuiti e da
alcuni scrittori cattolici. I primi lo accusavano di volersi servire della Chiesa per un fine politico ad
essa estraneo; i secondi, come Capponi o Lambruschini, avvertivano i pericoli di confusione fra
l’ordine politico e l’ordine religioso.
Per tutti questi motivi il neoguelfismo fallì; non ce ne rimangono che delle aspirazioni indefinite di
un cattolicesimo liberale.
“Pellegrino avventuriere della libertà, egli si pose in cammino per piantare la bandiera tricolore sul
duomo di San Pietro!”
(Montanelli) 8
ITALIANO Carducci e l’anticlericalismo
:
Giosué CARDUCCI (1835-1907) è un personaggio nazionale di straordinario carisma, che ascende
ai massimi gradi dell’Ordine nel periodo della fortuna politica di Francesco Crispi.
anticlericalismo,
Libertà, fratellanza, uguaglianza, indipendenza, progresso, principi e temi guida
del pensiero massonico, sono presenti in diverse opere carducciane, anche se le idee libertarie e
repubblicane vengono via via offuscate dal faticoso cammino dello Stato unitario. Gli ideali laici e
progressisti del Carducci finiscono per coesistere con l’accettazione dello Stato monarchico
costituzionale e la speranza in un progresso moderato ed ordinato.
Juvenilia, raccolta delle opere giovanili di Carducci, che contiene componimenti del decennio 1850-
1860, ben testimonia il tirocinio artistico del poeta e documenta una produzione in diretto rapporto
con l’esperienza storica.
Nel terzo libro, che include ventuno sonetti ispirati dall’amore dell’Italia e dal culto dei grandi
Italiani, i freddi componimenti dedicati a Parini, Metastasio, Goldoni si rivelano occasioni per
incitare il popolo del “secoletto vil, che cristianeggia” e recuperare la magnanima dignità degli
antichi.
Le ventuno poesie del sesto libro sono poi tutte di argomento patriottico. Trattano avvenimenti
contemporanei, vittorie belliche e problemi politici, ma si risolvono spesso in celebrazioni dove la
retorica lascia poco spazio alla poesia. In particolare la canzone A Vittorio Emanuele, diffusa tra i
patrioti italiani, è considerata manifestazione della scelta monarchica di Carducci. L’autore,
insoddisfatto dall’azione rinunciataria dei vari governi, esorta il re ad aiutare il popolo in difficoltà e
ad accelerare il cammino verso l’unità.
Tra le rime politiche rientrano anche i sonetti celebrativi delle vittorie nella Seconda Guerra
Voce di Dio