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Storia: il dopoguerra;
Inglese: Samuel Beckett;
Francese: Eugene Ionesco;
Matematica: la ricerca operativa;
Spagnolo: Miguel De Unamuno.
Elona Mustafà Vb erica A.S 2011-2012
Italiano : Pirandello e la Crisi Dell’uomo
moderno
Storia : Dopoguerra in italia
Spagnolo : Unamuno y su teatro
Inglese : Beckett and theatre of the
Absurd
Francese : Le sens de la vie dans le
“Rhinocéros” de E. Ionesco
Matematica : La ricerca operativa
Introduzione
Il tema che verrà affrontato in questa trattazione, potrà
sembrare ad alcuni banale, ma nell’approfondire questo
argomento mi sono resa conto di come il teatro, più che la
letteratura e le altre arti, sia riuscito a mettere in scena la
condizione tragica e assurda dell’uomo novecentesco. Si
potrebbe affermare che il teatro sia “lo specchio
dell’animo umano”, e nei drammaturghi di questo periodo
si delinea, infatti, un conflitto interiore dato dalla crisi che
già era nata nel XIX secolo e che è andata degenerando nel
secolo successivo. Le cause possono essere ricercate nella
modernità e in primo luogo negli sconvolgimenti mondiali
che travolsero le civiltà di tutto il mondo.
Il teatro del Novecento scardina la tradizionale divisione di
genere fra tragedia e commedia: il dramma presenta
personaggi comuni, vicende quotidiane, finale aperto. Non
ci sono più eroi, come nella tragedia classica, e la risata
della commedia è sempre amara. Ciò che voglio mettere in
evidenza non è tanto l’evoluzione del teatro dal punto di
vista strutturale bensì da quello sociale inquadrandolo in
una serie di malesseri, disagi e paure che covavano
all’interno della società.
Nella trattazione, questo argomento verrà esaminato,
dopo un breve contesto storico, analizzando le opere di
alcuni autori emergenti di diverse nazionalità.
L’ASSURDO.
L’assurdo riesce ad esasperare la realtà mostrandola agli occhi umani come qualcosa di deformato, irreale o
surreale, finto, buffo, in cui continuamente gli individui cercano il senso della stessa realtà in cui non riescono
a ritrovare dei punti di riferimento. Le commedie “assurde” non si basano su un susseguirsi di eventi, ma sono
incentrate su una situazione di totale immobilità e apatia. Non hanno una storia chiara e ben definita; non c'è
un inizio e una fine. Non si racconta un episodio preciso che ha segnato la vita dei personaggi, ma sembra si
voglia narrare l'eterna attesa di un evento che cambi il monotono scorrere della vita umana.
La vita, volenti o nolenti, è una continua propensione verso il futuro.
Tutti aspettano qualcosa: tanto quelli che credono nella salvezza, quanto quelli che credono nella punizione e,
non cogliendo l'essenza dell'attimo che vivono, si ritrovano alienati e soli. La realtà quotidiana è una costante
attesa di un esame, di un posto di lavoro, del compagno o della compagna giusta per la vita.
Proprio questo aspetto viene messo a nudo dall'assurdo, come inutile ricerca di una felicità pressoché
irraggiungibile.
Non bisogna erroneamente inserire Pirandello nella tematica dell'assurdo, ma egli può essere definito come
un autore che ha notato l'importanza e l'inefficacia del linguaggio verbale. Egli vede la parola come qualcosa
di falso, impreciso, di cui diffidare, smascherando l'incapacità dell'uomo contemporaneo di comunicare.
La crisi dell'uomo contemporaneo trova nell'arte di Luigi Pirandello un testimone e un'interprete d'eccezione.
Pirandello compì una spietata esplorazione della condizione dell'uomo del suo tempo, del suo smarrimento,
della sua dissipazione morale, della sua disperata solitudine. L'attività più intensa del Pirandello si svolse tra il
1900-1930. Sono gli anni in cui si prepara la prima guerra mondiale nei quali l'uomo si ritrova solo e deluso,
senza fede e senza fiducia.
Nella sua prima produzione, e particolarmente nelle novelle, ritroviamo lo stesso ambiente piccolo-borghese,
che richiama situazioni e modi del Verga.
Come in quest’ultimo, anche i personaggi di Pirandello sono dei “vinti” , al contrario però non sono rassegnati
al loro destino, ma bensì anime inquiete e tormentate, pronte alla ribellione, perché essi sentono “la pena del
vivere così”. “Le parole non mi interessano, bensì le cose”. E' proprio dalla osservazione delle “cose” egli
sviluppa una più attenta meditazione, che sposta l’attenzione del Pirandello e il suo studio dall'ambiente
all'individuo, allontanandosi sempre più dal naturalismo e dal verismo, per accogliere le istanze del
decadentismo. La realtà gli appare come qualcosa di mutevole, di vario; nulla è certo, tutto è illusione. L'uomo
crede di essere uno, ma in realtà non è nessuno; per chi lo osserva è centomila, in quanto assume personalità
diverse secondo il concetto degli altri. “Il nostro volto rimane soffocato sul nascere da una maschera che gli
altri ci impongono dall'esterno” e in base alla quale noi viviamo; la società ci sommerge con i suoi pregiudizi e
le sue consuetudini, che finiscono per fare di noi personalità schematizzate.
L'uomo non ha neppure la possibilità di conoscere se stesso: spesso infatti si sente mosso nell'agire da forze
misteriose, incontrollate, che provengono dal suo subcosciente: è la vita che pulsa e ribolle sotto la maschera
nel tentativo di erompere. Da questa situazione tragica e dolorosa dell'individuo che inutilmente tenta di
infrangere la “maschera” per scoprire il “volto” nascono le situazioni strane, assurde paradossali che si
incontrano nell'opera del Pirandello e in particolare nel teatro.
In Pirandello è sempre viva l'amarezza di dover constatare l'incomunicabilità degli uomini , dando vita così a
un’incomprensione tra noi e coloro che ci stanno attorno, quindi poiché ognuno parla un linguaggio diverso,
diventa impossibile stabilire un colloquio. L’incomunicabilità, la solitudine, l’incomprensione, l’aridità sono i
caratteri comuni a quasi tutti i personaggi dei drammi pirandelliani. In questa posizione, se l'uomo non
tentasse in qualche modo di reagire, giungerebbe irrimediabilmente alla follia e al suicidio.
Proprio negli anni in cui si maturava la formazione culturale di Pirandello, si veniva svolgendo l'insegnamento
di Freud. Secondo Freud i casi umani sono regolati da una logica sicura e matematica, ma in essi c'è sempre
qualcosa che sfugge al dominio della volontà dell'uomo, ed è ciò che finisce quasi sempre col determinare gli
avvenimenti. L'uomo pirandelliano si ribella e lotta con tutte le sue forze contro di essi, (istinti incontrollabili)
anche se per un destino avverso è costretto a soggiacervi. Il fatto è che l'opera pirandelliana si incontra con le
teorie freudiane per il senso di indagine inquietante dei moti interiori e per l'acuto desiderio di spiegarseli,
senza che Pirandello si fosse proprio dedicato ad uno studio sistematico ed approfondito dei problemi
psicologici determinati da Freud: lo studioso viennese e il commediografo italiano operavano sullo stesso
terreno, il primo da scienziato, il secondo da artista. Ad influenzare l'opera pirandelliana contribuì, infine, la
diffusione del teatro del grottesco,che assunse a materia delle sue migliori produzioni il dramma umano. Il
teatro del grottesco vuole cogliere una situazione burlesca, quella che nasce dall'incoerenza tra quel che si è
dentro e quel che si appare e si vuole apparire di fuori.
LA VITA
Luigi Pirandello nacque a Girgenti (Agrigento) nel 1867, in una campagna che si trovava presso il bosco
Càvusu, corruzione dialettale del termine greco Xaos, in cui la famiglia si era rifugiata dal terribile colera del
1867. Ecco spiegato il motivo per il quale egli si definì “Figlio del Caos”. Importanti furono gli anni dell'infanzia
e della giovinezza: non solo per le prime esperienze culturali e per l'affiorare degli interessi per la letteratura e
la poesia, ma anche per le esperienze umane e sociali compiute in quei decenni di confusione politica e
morale che seguirono all'unità d'Italia. Del 1885 sono i primi versi “Mal giocondo”. Intraprese gli studi
universitari alla facoltà di lettere di Palermo per passare poi a quella di Roma. Per suggerimento del Monaci,
passò poi a studiare a Bonn, dove si laureò nel 1891, discutendo una tesi sulla parlata agrigentina “Voci e
suoni del dialetto di Girgenti”. A Bonn Pirandello ebbe modo di venire a contatto con le più stimolanti
esperienze della cultura contemporanea. In quel tempo egli non aveva ancora una chiara idea delle proprie
attitudini e del proprio futuro: oscillava tra le ambizioni della ricerca scientifica e quelle poetiche, e non era
insensibile alle tentazioni del giornalismo. Tornato a Roma tentò di inserirsi nella vivace società letteraria che
in quello scorcio di secolo illustrava la capitale. Dominava D'Annunzio; ma Pirandello non fu sedotto dalle
suggestioni del dannunzianesimo. Decisivo fu invece l'incontro con Luigi Capuana, il teorico e maestro del
verismo italiano. A contatto con Capuana, Pirandello scopre e definisce la propria vocazione di narratore;
avvicinandosi alla grande esperienza del verismo. Nel 1893 scrive il suo primo romanzo “L'esclusa” e nel
1894 pubblica il primo volume di racconti “Amori senza amore”. Nello stesso anno sposa la bella e ricca
Antonietta Portulano. Ma la vita avrebbe riservato prove molto dure e amare ai due coniugi: nel 1897 un
grave dissesto economico costringe la famiglia Pirandello a trasferirsi a Roma. Nell'ambiente romano,
Pirandello prende consapevolezza del suo pensiero, soprattutto nel corso di una polemica antidannunziana,
che si svolse nelle riviste il “Marzocco” e “La nuova antologia”. Intanto, nel 1903, cominciano ad apparire i
primi sintomi del male che avrebbe afflitto la povera consorte distruggendo la felicità della famiglia Pirandello.
Lo scoppio della grande guerra del 1914-18 e la prigionia del figlio Stefano ferito ed ammalato, avevano
contribuito ad affliggere maggiormente lo scrittore, che già attraverso l'amara esperienza del dolore aveva
consolidato la sua triste concezione del vivere nel mondo. Finita la guerra, Pirandello si immerse in un lavoro
frenetico e senza soste, spinto dall'urgenza di insegnare agli uomini le "verità" da lui scoperte. Nascono i
capolavori “Sei personaggi in cerca d'autore” ed “Enrico IV”,entrambi del 1921. Nel 1925 fonda la
“Compagnia del teatro d'arte” con i due grandissimi ed insuperati interpreti dell'arte pirandelliana: Marta Abba
e Ruggero Ruggeri, con i quali intraprende il giro d'Europa e delle due Americhe. La Compagnia viene
appoggiata e finanziata dal partito fascista e il suo legame con la cultura ufficiale fascista gli valgono la
nomina ad Accademico d’Italia. Nel 1934 la sua fama viene consacrata con il premio Nobel. Nel novembre del
1936 si ammala gravemente di polmonite e poco dopo muore.
Egli definì “teatro dello specchio” tutta la sua opera, perché in essa si rappresenta la vita senza maschera,
quale essa è nella sua sostanza e nella sua verità , lo spettatore, l'attore e il lettore vi si vedono come sono,
come chi si guarda ad uno specchio, con ansia e con curiosità, allo stesso modo in cui un cattivo specchio
deforma l'immagine fisica; allora si riconoscono diversi da come si erano sempre immaginati. È nella
maschera che ritroviamo un contrasto più profondo fra illusione e realtà, fra l’illusione che la propria realtà sia
uguale per tutti e la realtà che si vive in una forma, dalla quale il personaggio non potrà mai salvarsi.
La maschera è la rappresentazione più evidente della condanna dell’individuo a recitare sempre la stessa
parte ed è l’unico modo per evitare l’isolamento all’interno della società: quando un personaggio cerca di
rompere la forma viene allontanato, rifiutato e non può più trovare posto nella massa.
La maschera è il simbolo, in negativo del rifiuto delle false convenzioni sociali, dello sfruttamento dei pochi
sulle masse e della schiavitù dell’uomo sottomesso a norme che lo costringono a un’esistenza
disumanizzata; in positivo del tentativo di un ritorno alla verità
I temi di fondo sono:
il contrasto tra apparenza (o illusione) e realtà (o tra forma e vita), nel senso che l'uomo ha degli