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Sintesi
Filosofia: Immanuel Kant, Arthur Schopenhauer;

Fisica: Albert Einstein (Teoria della relatività);

Italiano: Giovanni Verga (I Malavoglia).
Estratto del documento

Liceo Scientifico G. Marconi

Tesina interdisciplinare

a cura di

Carlotta Cecchini

Classe 5° F Anno scolastico 2011/2012

SPAZIO E TEMPO

COORDINATE DELLA

REALTA’

FILOSOFIA ITALIANO

Kant: Critica della Ragion Pura Verga: I Malavoglia

Schopenhauer: Mondo come

volontà e FISICA

Einstein: Teoria della Relatività

Ristretta

Introduzione:

Partendo da Kant e analizzando le forme a priori di spazio e tempo da lui introdotte

nella sua opera, ho messo brevemente a confronto le diverse concezioni della realtà in

quest’ultimo e in Schopenhauer.

Riallacciandomi poi all’indissolubile rapporto che c’è tra soggetto conoscente (uomo) e

oggetto conosciuto (realtà), ho introdotto alcuni degli aspetti che stanno alla base

della fisica moderna, mettendo in luce la nuova concezione di spazio/tempo.

Per concludere, ho scelto di fare riferimento all’interpretazione novecentesca fornita

dal critico Romano Luperini del romanzo “I Malavoglia” di Giovanni Verga, nel quale

egli distingue una dimensione lineare e una circolare dello spazio e del tempo.

FILOSOFIA:

La parte dell’opera di Kant su cui intendo soffermarmi è l’Estetica Trascendentale, in

cui Kant definisce lo spazio la forma del senso esterno e il tempo la forma del senso

interno.

Spazio e tempo, come già accennato, sono le forme a priori della sensibilità, facoltà

che è da recettiva diventa attiva nel momento in cui permette all’uomo l’intuizione

empirica, ovvero una conoscenza immediata della realtà fenomenica. Lo spazio è la

forma del senso esterno, cioè la condizione che rende possibile intuire a priori i dati

che provengono dalla realtà esterna, e lo fa dandogli una forma geometrica,

spazializzandoli. Il tempo è la forma a priori del senso interno, cioè la condizione che

rende possibile intuire a priori i dati provenienti dalla realtà interna, dotandoli di un

ordine, mettendoli in successione uno dopo l’altro. Poiché i nostri stati d’animo e

sentimenti (dati della realtà interna) non possono essere spazializzati, ma al contrario

qualsiasi fenomeno della realtà esterna può essere “temporalizzato”, la forma pura del

tempo è considerata superiore rispetto a quella dello spazio, facendo sì che ogni dato

sensibile sia intuito nel tempo. Nell’Esposizione metafisica di spazio/tempo Kant vuole

dimostrare come essi siano forme a priori della sensibilità, indipendenti e non

provenienti dalla realtà: essi sono infatti quadri mentali a priori, modi di filtrare la

realtà fenomenica; hanno dunque idealità trascendentale, cioè appartengono a priori

al soggetto (l’uomo) ma hanno anche realtà empirica, in quanto sono coordinate della

realtà fenomenica, si applicano al fenomeno che può essere intuito solo attraverso di

essi. La matematica è possibile come scienza sintetica a priori in quanto si fonda sulle

forme a priori di spazio/tempo: infatti i giudizi sintetici a priori della geometria sono

possibili grazie alla forma a priori dello spazio, mentre quelli dell’aritmetica sono

possibili grazie alle forme a priori del tempo. Grazie alla matematica come sapere

universale e necessario posso conoscere la realtà fenomenica, che ha già in sé il

linguaggio matematico-geometrico in quanto è intuita dalle stesse forme pure

attraverso cui è intuita la matematica, lo spazio ed il tempo.

In conclusione dunque è l’uomo ad essere il vero garante della conoscenza (mentre la

cosa in sé rimane un’incognita).

Questa prospettiva della realtà è ripresa in parte da Schopenhauer nella sua opera “Il

mondo come volontà e rappresentazione” (1819): anche secondo tale filosofo, infatti,

il mondo è una rappresentazione prodotta dall’uomo e dunque esso è il risultato del

rapporto tra uomo come soggetto conoscente e il mondo come oggetto di conoscenza.

Per Schopenhauer il mondo come rappresentazione è fenomeno, a cui si contrappone

la cosa in sé.

Se per Kant, però, il fenomeno è l’unica realtà di cui si può avere conoscenza

scientifica e la cosa in sé costituisce una realtà inaccessibile, per Schopenhauer la

conoscenza fenomenica è apparente e ingannevole, mentre la cosa in sé è la realtà

autentica. Egli ritiene che il fenomeno produca una conoscenza illusoria proprio in

virtù del fatto che le forme a priori (che secondo lui sono 3: spazio, tempo e categoria

di casualità) appartengono all’uomo e di conseguenza ciò che si conosce tramite esse

ha senso solo per l’uomo. In altre parole l’uomo deforma inevitabilmente la realtà con

le sue forme a priori, le dà un ordine che è proprio dell’uomo e non della realtà stessa.

Il motivo che spinge Schopenhauer a trarre conclusioni diverse rispetto a quelle del

filosofo precedente è dato dal fatto che Kant intende valorizzare prima di tutto il valore

ed il potere della ragione umana, mentre Schopenhauer, appartenente al filone dei

pensatori negativi (insieme a Kierkeegard e Nietzsche), intende sminuirlo in quanto

convinto che la realtà di per sé non è razionale. (E’ importante aggiungere che Kant

aveva alle spalle la rivoluzione scientifica ed era nato in pieno periodo illuminista,

mentre Schopenhauer scrisse le sue opere in piena epoca del Romanticismo).

FISICA:

Tratto da “Schopenhauer e Leopardi” (dialogo tra due amici che discutono di filosofia)

di Francesco de Sanctis (1858).

De Sanctis: “Senti un po’: Kant aveva detto che tutto è ideale, un fenomeno del

cervello. Il mondo è la mia immagine: io non conosco il Sole, né la Terra, ma solo un

occhio che vede il Sole, una mano che sente la Terra; tutto quello che io conosco,

l’intero mondo, non è per sé, ma per un altro; è l’oggetto per il soggetto, la visione di

colui che vede; in una parola, immagine, fenomeno. […] Togliete il soggetto, colui che

vede, e il mondo non esisterebbe più”.

Nelle parole sopra citate è spiegato uno dei concetti cardine della relatività di Einstein,

e cioè il fatto che non esiste una realtà intrinseca alle cose oltre la misura che l’uomo

ne fa di esse. Ne consegue che non può esistere una realtà oggettiva assoluta ma

piuttosto esiste ”un’oggettività relativa” della realtà. Nella relatività di Einstein infatti

non tutti gli osservatori misurano allo stesso modo uno stesso oggetto, in quanto

bisogna sempre tener presenti le condizioni (di quiete o di moto) in cui si trovano gli

uni rispetto agli altri.

Questa concezione della realtà sta alla base delle lezioni rivoluzionarie di Einstein, che

si possono brevemente riassumere in più punti:

1) Nelle leggi di natura sono presenti solo moti relativi

2) Non esiste uno spazio assoluto né un tempo assoluto. Essi sono concetti diversi

per ogni osservatore in moto relativo rispetto all’altro.

3) Esiste una velocità massima per la trasmissione dell’informazione.

4) Massa ed energia sono equivalenti

5) La presenza di massa ed energia nello spazio e nel tempo determina la

geometria dello spazio e la velocità con cui scorre il tempo

6) Nella gravitazione non è presente nessuna azione a distanza.

Io mi propongo di analizzare alcuni aspetti della Relatività Ristretta, in particolare

quelli che riguardano lo spazio ed il tempo. Prima però è necessario definire alcuni

termini della fisica:

-Un sistema di riferimento è un qualsiasi sistema di coordinate (x,y,z) rispetto al quale

siano fatte le misure.

-Un sistema di riferimento inerziale è un sistema di coordinate in cui vale il principio di

inerzia, dunque è privo di accelerazione.

-Un sistema di riferimento non inerziale è invece un sistema accelerato, in cui i corpi

sono sottoposti a forze fisiche (un esempio è la Terra).

Secondo Newton il 1° principio della dinamica valeva solamente in sistemi inerziali,

ritenuti equivalenti in quanto non esiste un sistema inerziale privilegiato, ma tutti si

muovono tra loro secondo un moto uniforme relativo (Principio di Relatività Galileiano).

Nella seconda metà del ‘800 il fisico Maxwell unificò l’elettricità al magnetismo,

formulando una nuova teoria del campo elettromagnetico e determinando la nascita di

un altro importante settore della fisica classica: l’elettromagnetismo. Ben presto però

sorsero delle incongruenze tra le leggi della meccanica e quelle

dell’elettromagnetismo: era noto sin dai tempi di Galileo che le leggi che descrivono il

moto dei corpi sono indipendenti dal “punto di osservazione”, a patto di utilizzare

certe equazioni di trasformazione delle coordinate (le cosiddette “trasformazioni di

Galileo”) quando ci si sposta da un sistema di riferimento ad un altro in moto rispetto

al primo. Le leggi dell’elettromagnetismo, invece, sembravano non godere della stessa

proprietà: cambiando sistema di riferimento e applicando le trasformazioni di Galileo,

le equazioni di Maxwell cambiavano completamente forma, implicando che

esperimenti compiuti su cariche elettriche o magneti posti, ad esempio, in luoghi

diversi della superficie terrestre avrebbero dovuto dare risultati diversi.

La causa di questo conflitto sta nel fatto che nelle equazioni fondamentali

dell’elettromagnetismo compare come costante universale la velocità della luce nel

vuoto (circa 300.000 km/s) e ciò significa che la velocità della luce è sempre la stessa

in tutti i sistemi di coordinate, sia che la sorgente emittente si muova o meno, e

comunque essa si muova. Bisognava allora trovare una nuova teoria capace di

conciliare le due supposizioni fondamentali, in contraddizione tra loro: “le leggi fisiche

sono le stesse per tutti i sistemi inerziali i cui moti relativi sono uniformi; la velocità

della luce conserva sempre lo stesso valore.”

Da ciò si può comprendere in che modo i due postulati espressi rispettivamente dalla

meccanica e dall’elettrodinamica entrino in contraddizione: il primo presuppone un

concetto di spazio e tempo assoluto, il secondo invece presuppone che gli intervalli di

“c”

spazio e tempo tra i due osservatori variano (perché è sempre la stessa).

(Il principio galileiano di relatività non presenta problemi finché rimaniamo nell’ambito

dei fenomeni meccanici, in cui le velocità sono ridotte e dunque si sommano

linearmente – non esiste quindi una “velocità limite”- e il tempo è lo stesso per tutti i

sistemi – tempo assoluto - . Il problema si crea quando entriamo nell’ambito dei

fenomeni elettromagnetici, e quindi abbiamo a che fare con velocità prossime a quella

della luce.)

Ulteriori difficoltà sorsero per la teoria dell’elettromagnetismo, che sembrava essere

valida così come era stata formulata da Maxwell solo in un particolare sistema di

riferimento privilegiato, ossia l’etere, presunto mezzo di propagazione delle onde

elettromagnetiche. L’impossibilità di dimostrare la presenza di esso portò a

domandarsi: la velocità c delle onde elettromagnetiche rispetto a cosa si definisce? In

altre parole, come fanno a propagarsi le onde elettromagnetiche nello spazio? Gli

scienziati, seppur scettici, rimanevano legati al concetto di etere poiché costituiva una

tranquilla impalcatura che avrebbe fatto da supporto alle onde elettromagnetiche e in

cui sarebbe stato possibile misurare il moto assoluto, visto che l’etere era considerato

immobile nell’universo. L’esperimento di Michelson e Morley, eseguito proprio per

misurare la velocità della Terra nell’etere, mostrò inconfutabilmente che tale velocità è

nulla. Da ciò consegue che non esiste nessun sistema di riferimento assoluto e dunque

la velocità dell’onda è identica rispetto a qualsiasi sistema di riferimento, e non

rispetto ad un sistema di riferimento privilegiato immobile, l’etere.

Arrivato a queste conclusioni Einstein formulò i due postulati della relatività, in cui

spazio e tempo non sono più considerati assoluti, ma relativi (concezione che stava già

alla base dell’elettromagnetismo).

PRIMO POSTULATO: in tutti i riferimenti inerziali valgono le stessi leggi fisiche.

SECONDO POSTULATO: in tutti i riferimenti inerziali la velocità della luce assume lo

stesso valore.

Gli effetti più rilevanti di questa teoria sono la dilatazione dei tempi (verificata

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