Sintesi
SOMMARIO


INTRODUZIONE 2
I. IL CINEMA DELLE ORIGINI 3
1.1 PRESUPPOSTI TECNICI PER LA NASCITA DEL CINEMA 3
1.2 I FRATELLI LUMIÈRE 4
1.3 MÉLIÈS, IL MAGO DEL CINEMA 5
II. CINEMA E DITTATURA: URSS, GERMANIA E ITALIA 6
2.1 L’UNIONE SOVIETICA E IL REALISMO SOCIALISTA 6
2.2 IL CINEMA TEDESCO DURANTE LA DITTATURA NAZISTA 7
2.3 IL CINEMA FASCISTA FRA PROPAGANDA ED EVASIONE 9
III. IL CINEMA DEL DOPOGUERRA: IL NEOREALISMO ITALIANO 11
3.1 LE INNOVAZIONI DEL CINEMA NEOREALISTA 11
CONCLUSIONI 14

INTRODUZIONE


«La cinematografia racchiude in sé molte altre arti; così come ha caratteristiche proprie della letteratura, ugualmente ha connotati propri del teatro, un aspetto filosofico e attributi improntati alla pittura, alla scultura, alla musica».
(Akira Kurosawa)


Fin dalle sue origini a cavallo fra XIX e XX secolo, il cinema venne presto riconosciuto come specchio perfetto della realtà e dei mutamenti in essa in atto, nonché come strumento in grado di tracciare una serie di linee guida per quanto riguardava le modalità secondo cui l’uomo poteva, e in alcuni casi doveva, approcciarsi al contesto sociale e culturale degli anni che stava vivendo.
In poche parole, non solo il cinema si affermò come strumento capace di registrare i più importanti avvenimenti dell’epoca, ma si rivelò determinante nel definire il modo in cui il mondo andava percepito in un momento di forte cambiamento politico, economico e sociale, tanto che non è per nulla un’esagerazione affermare che mettendo a punto un certo modo di osservare le cose, i film ci hanno aiutato a vederle, e a vederle nello spirito del tempo.
Queste caratteristiche sono particolarmente evidenti soprattutto in determinati momenti della storia del cinema in cui, più che in altri periodi, la capacità della macchina da presa di indirizzare le coscienze e i pensieri degli spettatori è stata particolarmente esplicita: due di questi sono senza dubbio quelli relativi al cinema di propaganda dei regimi totalitari europei negli anni Trenta e il cinema neorealista italiano del secondo dopoguerra, senza ovviamente tralasciare l’impatto che il cinema ebbe sulla società di fine Ottocento nei suoi primi anni di vita.
Attraverso la capacità di assorbire gli stimoli provenienti dall’esterno, di rielaborarli attivamente secondo le proprie esigenze, e quindi di riproporli, filtrati e decodificati attraverso un linguaggio che mirasse alla maggiore efficacia possibile, il mezzo cinematografico ha saputo dunque offrire al suo pubblico una chiave di lettura dell’esistente, nella quale lo spettatore poteva ritrovare se stesso e le linee guida per vivere il proprio tempo.

I. IL CINEMA DELLE ORIGINI


La nascita del cinema viene convenzionalmente fatta risalire al 28 dicembre 1895, in seguito ad una proiezione di una decina di brevissimi film da parte dei fratelli Lumière al Grand Café des Capucines di Parigi.
Così come il telefono, il fonografo e l’automobile, il cinema rientra dunque nel novero di quelle grandi invenzioni riconducibili alla seconda rivoluzione industriale: dapprima semplice meccanismo tecnologico dall’incerto futuro, il cinema divenne prestissimo base di una nuova grande industria, nonché fortunatissima forma di intrattenimento ed apprezzata espressione artistica.


1.1 Presupposti tecnici per la nascita del cinema

Come gli scienziati ebbero presto modo di scoprire già molto prima del 1895, l’occhio umano è in grado di percepire il movimento di una serie di immagini leggermente diverse fra loro poste davanti ad esso in rapida successione e ad una velocità di almeno sedici fotogrammi al secondo. Partendo da questo presupposto, già dagli anni Trenta dell’Ottocento vennero messi in commercio numerosi strumenti ottici, quali il fenachistosopio e lo zootropio, che davano l’illusione del movimento grazie ad un numero limitato di disegni rappresentanti scene molto semplici, come quelle di un ballo o di una corsa a cavallo.
Un secondo presupposto fondamentale riguardò la possibilità di proiettare queste immagini in movimento. A partire dal diciassettesimo secolo erano già state usate le cosiddette “lanterne magiche”, progenitrici delle odierne diapositive, che però erano ben poco efficienti per quanto riguardava la possibilità di proiettare immagini in movimento.
Una spinta fondamentale arrivò con la nascita della fotografia, che permise la riproduzione delle immagini una in seguito all’altra, su di una superficie chiara.
Un interessante esperimento a riguardo fu senza dubbio quello del fotografo inglese Eadweard Muybridge, al quale nel 1878 l’ex governatore della California L. Stanford chiese di fotografare dei cavalli in corsa per permettere lo studio del loro passo. Muybridge sistemò in fila dodici macchine fotografiche, ognuna con un tempo di esposizione di un millesimo di secondo, e costruì poi una lanterna magica per proiettare i ricalchi delle immagini dei cavalli in movimento.
Il suo lavoro ispirò il fisiologo francese Etienne-Jules Marey, il quale si dedicò allo studio del volo degli uccelli grazie all’invenzione del fucile fotografico, uno strumento che funzionava come un normale fucile da caccia, ma dotato di lastre fotografiche circolari od ottagonali poste in una piccola camera oscura, mentre la canna fungeva da mirino e all'interno di essa era collocato l'obiettivo.
Gli ultimi e decisivi passaggi furono però quelli che permisero alle fotografie di venire impressionate su una base flessibile, così da poter scorrere rapidamente attraverso una macchina da presa. Nel 1888 George Eastman ideò un apparecchio che impressionava rulli di carta flessibile, il Kodak. L’anno successivo introdusse il rullo di celluloide trasparente. Infine, gli sperimentatori dovettero escogitare un meccanismo a intermittenza adatto alle macchine da presa e ai proiettori, in modo che le immagini impresse su pellicola potessero essere proiettate e riconosciute dagli spettatori come dei veri e propri film coerentemente animati e non come un’accozzaglia di immagini confuse.
Durante gli anni Novanta, tutte le condizioni tecniche necessarie per la nascita del cinema erano state messe a punto. La questione era: chi avrebbe messo insieme tutti gli elementi in modo da poterli sfruttare su larga scala?


1.2 I fratelli Lumière

Auguste Marie Louis Nicholas e Louis Jean Lumière nacquero a Besançon rispettivamente il 19 Ottobre del 1862 e il 5 Ottobre del 1864. La loro famiglia possedeva la più grande azienda europea di prodotti fotografici. Il 13 febbraio 1894 i due fratelli brevettarono uno strumento funzionante sia come camera che come proiettore, il cinematografo: esso utilizzava la pellicola 35 mm e un meccanismo a intermittenza ispirato a quello della macchina da cucire. Il primo film realizzato con questo sistema fu “La sortie des usines Lumière” (1895), che riprendeva l’uscita di alcuni operai dalla fabbrica Lumière. Il 28 dicembre 1895, in una delle sale del Grand Café di Parigi, ebbe luogo una delle più famose proiezioni della storia: uno spettacolo di venticinque minuti in cui furono proiettati dieci film, ognuno dei quali lungo un minuto circa. Fra questi, uno riprendeva in primo piano Auguste Lumière e sua moglie mentre davano da mangiare al loro bambino, un altro consisteva in una scena comica, un altro ancora era costituito da una ripresa del mare.
La leggenda vuole che assistendo alla rappresentazione di L'Arrivée d'un train en gare de La Ciotat” gli spettatori siano fuggiti terrorizzati dal cinema pensando di essere davvero in procinto di essere investiti dal treno. Pur non trovando riscontri attendibili, tale racconto lascia intuire l'emozione e la meraviglia che gli spettatori provarono il 6 gennaio 1896, data in cui il film venne proiettato per la prima volta. Paradossalmente però, i Lumière ritenevano il cinema "un'invenzione senza futuro", poiché pensavano che presto il pubblico si sarebbe stufato dello spettacolo del movimento; per questo motivo decisero presto di occuparsi d'altro, spostando la loro attenzione sulla fotografia a colori e terminano in maniera piuttosto brusca la loro carriera nel cinema. Inoltre nel 1897 la loro ditta dovette registrare una battuta d’arresto: il 4 maggio,durante una proiezione al Bazar de la Charité di Parigi, una tenda prese fuoco a causa dell’etere utilizzato per alimentare la lampada del proiettore. L’incendio che ne scaturì fu una delle peggiori tragedie della storia del cinema: morirono 125 persone, il maggior numero delle quali appartenente alla classe abbiente. Di conseguenza il cinema perse in parte la sua attrattiva sui cittadini appartenenti alla classi più altolocate.
1.3 Méliès, il mago del cinema

George Méliès era un illusionista francese che, ispirato dai Lumière, decise di arricchire il suo programma di giochi di prestigio con la proiezione di alcuni film, grazie ai quali passò alla storia come inventore del cinema fantastico e fantascientifico, nonché come padre degli effetti speciali. Il primo film in cui fece uso di trucchi fu Escamotage d’un dame chez Robert-Houdin (1896), in cui una donna nascosta sotto un telo viene fatta sparire e riapparire sotto forma di scheletro: si tratta ovviamente di un trucco basato sul montaggio, impossibile da realizzare senza l’ausilio della macchina da presa. Il film più famoso di Méliès è però senza dubbio Le voyage dans la lune (1902), film comico di fantascienza, basato su precedenti opere di Jules Verne e H.G. Wells, che raccontava le imprese di un gruppo di scienziati a bordo di una navetta spaziale in orbita per la luna e che fu un vero e proprio successo mondiale.
La carriera dell’artista francese proseguì sulla cresta dell’onda per alcuni anni, ma subì una battuta d’arresto già nel 1909 a causa delle pretese sempre più esigenti del pubblico in fatto di narratività e coerenza, mentre la prima guerra mondiale fece definitivamente calare il sipario su George Méliès, consegnando comunque ai posteri una filmografia di più di cinquecento titoli diretti fra il 1896 e il 1914, che fanno di Méliès uno dei padri del cinema insieme ai fratelli Lumière.

II. CINEMA E DITTATURA: URSS, GERMANIA E ITALIA


Durante gli anni Trenta alcune cinematografie si trovarono sotto il controllo di dittature di destra e di sinistra, in particolar modo nell’URSS, in Germania e in Italia: a quel tempo il cinema aveva già più di trent’anni di vita alle spalle ormai, e tutti gli establishment politici del tempo erano perfettamente consapevoli delle sue potenzialità quale mezzo di propaganda oltre che di intrattenimento.
Ciascun regime politico si mosse in maniera leggermente differente, allo scopo di ottenere però un obiettivo simile: le cinematografie dei Paesi componenti l’Unione Sovietica furono nazionalizzate a partire dal 1919, mentre in Germania il regime nazista non volle confiscare direttamente le case di produzione private, ma ne ottenne tuttavia ugualmente il controllo tramite l’acquisto pacifico. In Italia invece lo Stato sostenne economicamente l’industria cinematografica, ma non volle mai mettere in media sotto un controllo troppo pesante, preferendo non influenzare eccessivamente gli interessi privati della popolazione e concentrandosi più che altro nel disciplinare la vita pubblica. L’unico grande sforzo per centralizzare la propaganda fu quello riguardante la creazione dell’Unione Cinematografica Educativa (LUCE), allo scopo di controllare documentari e cinegiornali.


2.1 L’Unione sovietica e il realismo socialista

Nel 1930 il primo piano quinquennale centralizzò il cinema sovietico in una società unica, la Sojuzkino, al fine di rendere l’industria più efficiente e liberare l’URSS dall’obbligo di importare tecnologia e film. Il periodo fra il 1930 e il 1945 vide irrigidirsi il controllo sulla cinematografia. Boris Šumjatskij fu dal principio capo della Sojuzkino e fu proprio lui nel 1935 a supervisionare l’introduzione nel cinema sovietico della dottrina del realismo socialista, un principio estetico introdotto dal congresso degli scrittori sovietici del 1934:

«Il compagno Stalin ha chiamato i nostri scrittori ingegneri di anime umane. Che cosa significa? Che doveri vi sono conferiti da questo titolo? Prima di tutto significa conoscere la vita così da poterla descrivere veridicamente nelle opere d’arte: non in un modo morto e scolastico, non semplicemente come realtà oggettiva, ma descrivere la realtà nel suo sviluppo rivoluzionario». (A.A. Zhdanov)

Il dogma centrale del realismo socialista era la partiinost (disposizione per il partito): gli artisti erano tenuti a far propaganda in favore delle politiche e delle ideologie del Partito Comunista. A differenza del realismo critico dei romanzieri dell’Ottocento europeo che andava ad attaccare la società borghese, il realismo sovietico si basava su un secondo dogma: narodnost (centralità del popolo).
Le opere del realismo socialista dovevano distaccarsi da sperimentazioni stilistiche o complessità che le rendessero di difficile comprensione, escludendo pertanto a priori lo stile della scuola del montaggio di cui Sergej Ejzensteijn era stato il principale esponente . Per servire il partito e il popolo l’arte doveva educare e offrire un modello da seguire, un eroe positivo. Molte opere pertanto davano un’immagine della società sovietica ottimistica e idealizzata e dunque ben lontana dalla realtà.
Prima di essere approvate, le sceneggiature dovevano passare attraverso un complesso apparato di censura, ma anche a riprese iniziate un film poteva essere sottoposto a revisione o interrotto in qualsiasi momento.

Ciapaiev (1934, Sergej e Georgij Vasil’ev)
Ciapaiev fu il primo film a incarnare il modello promosso dal realismo socialista. Si trattava di un resoconto romanzato della vita di un ufficiale realmente esistito durante la guerra civile, eroe ammirabile dal pubblico, e del suo assistente di bell’aspetto Petya, rappresentante in modo idealizzato la classe operaia con cui il popolo doveva identificarsi. Corteggiando la soldatessa Anna, Petya fornisce anche al film il pretesto per una sottotrama romantica, gradita al pubblico femminile e in grado di alleggerire e rendere più appetibile la materia del lungometraggio.
Ciapaiev ebbe un enorme successo in Unione Sovietica: il suo linguaggio era accessibile a tutti, la sua attenzione per l’individuo rappresentava una novità rispetto agli eroismi di massa dei film della scuola di montaggio degli anni Venti e del protagonista venivano messi in luce sia pregi che difetti. Il film seguiva uno degli schemi più comuni della narrativa del realismo socialista, quello del protagonista che decide di subordinare i suoi desiderai al bene del popolo, e portò anche in primo piano il genere biografico: i protagonisti erano spesso infatti celebri figure della Rivoluzione e della guerra civile, ma anche grandi personaggi dell’epoca prerivoluzionaria, zar inclusi.


2.2 Il cinema tedesco durante la dittatura nazista

Uscita dalla prima guerra mondiale con un governo moderato, negli anni Venti la Germania vide il proprio clima politico spostarsi sempre più verso destra, fino all’ascesa nel 1933 del partito nazionalsocialista di Adolf Hitler al governo, che impose fin da subito un regime fortemente totalitario.
L’ideologia nazista, formulata da Hitler nel saggio Mein Kampf (1925), si basava sull’estremo nazionalismo, sulla lotta al marxismo e sull’antisemitismo: mentre ebrei e comunisti venivano etichettati come primi responsabili della crisi economica del paese, Hitler prometteva di rimettere in sesto l’economia e di far risorgere l’orgoglio nazionale.
Nel 1934 Joseph Goebbels, ministro della Propaganda e dell’Informazione, ottenne il controllo dell’ufficio di censura: il suo fine era porre le basi per un’industria cinematografica che esprimesse e propagandasse con forza gli ideali del nazismo.
La nazionalizzazione del cinema tedesco avvenne in maniera graduale e si concluse nel 1942, quando tutte le case di produzione tedesche furono unificate sotto una gigantesca holding, la UFA-Film.
I primi film vigorosamente propagandistici apparvero nel 1933; l’intento era quello di stimolare l’adesione al Partito glorificando eroi del nazismo, con trame ambientate in un’epoca precedente alla nascita del regime, descritta come teatro di lotta tra i perfidi comunisti e i prodi sostenitori di Hitler.

Hans Westmar (1933, Franz Wenzler )
Il film, basato alla lontana sulla vita di Horst Wessel (uno dei primi a morire per la causa nazista nonché autore dell’inno di battaglia del Partito), è ambientato nella Berlino degli anni Venti: la città affonda sotto l’influenza di ebrei, comunisti e stranieri. Il giovane Westmar è disgustato da un caffè che serve solo birra inglese e in cui suona un gruppo jazz di neri e dalla rappresentazione di una commedia ebraica in un noto cinema di sinistra. Nel film i comunisti, dipinti come uomini malvagi, tramano per impadronirsi della Germania sfruttando la povertà delle classi operaie. Mostratosi troppo abile nel promuovere adepti per la causa nazista Westmar viene assassinato.

Il trionfo della volontà (1935, Leni Riefenstahl)
Celeberrimo documentario realizzato in occasione del congresso del Partito Nazista a Norimberga nel 1934. Il film contiene estratti dei vari discorsi tenuti al congresso dai diversi leader politici del partito nazista, principalmente brani di Adolf Hitler, intervallati da riprese del raduno dei membri del partito. Il tema principale è il ritorno della Germania al ruolo di grande potenza, con Hitler indiscusso leader tedesco idolatrato dall’intera nazione.
Il film della Riefenstahl è molto importante non solo per quanto concerne l’ambito della propaganda politica, ma anche per il peso e l’influenza che ebbe nella storia del cinema in generale, vista la grande quantità di mezzi messi a disposizione della regista dal regime, per l’utilizzo di tecniche di ripresa innovative e per l’indubbio valore artistico, anche se messo al servizio di un’ideologia deplorevole.

Olympia (1938, Leni Riefenstahl)
Il film documenta i Giochi olimpici tenutisi a Berlino nel 1936. Diviso in due parti (Olympia - Festa di popoli e Olympia - Festa di bellezza), esso segue passo dopo passo ognuna delle gare svolte a partire dalla cerimonia della torica. I Giochi olimpici del 1936 sono stati definiti le "Olimpiadi di Hitler" e certamente il regime nazista sfruttò la manifestazione per magnificare il Terzo Reich. D’altro canto va detto che tutti i vincitori non-ariani vengono ugualmente ripresi ed un primo piano è dedicato all’espressione di disappunto mostrata da Hitler dopo la vittoria dell'afroamericano Jesse Owens nella disciplina del salto in lungo, che gli permise di conquistare una delle sue quattro medaglie d'oro ottenute durante la manifestazione.

Süss l’ebreo (1940, Veit Harlan)
Fu uno dei più velenosi film antisemiti, completamente basato sullo stereotipo degli avidi strozzini ebrei: Süss presta del denaro a un duca impoverito e conquista abbastanza potere da voler trasformare l’intero ducato in uno stato ebraico. Oltre a ciò commette crimini orrendi, quali stuprare la protagonista e torturarne il fidanzato.


2.3 Il cinema fascista fra propaganda ed evasione

Per tutti gli anni Venti il regime fascista non si diede troppo da fare per porre i media sotto controllo: l’unico sforzo importante del governo per centralizzare la propaganda fu la costituzione dell’Unione Cinematografica Educativa ( LUCE) allo scopo di controllare documentari e cinegiornali. Diverse furono le ragioni di questa politica di disinteresse: l’ideologia fascista era più vaga di quella comunista e nazista, e anche il regime era meno stabile. Pertanto il governo fascista ritenne più saggio non calcare troppo la mano nell’indirizzo della cinematografia nazionale, temendo che un’invasività troppo esplicita avrebbe rischiato di far storcere il naso alla popolazione.
Quando l’economia italiana fu colpita dalla Depressione, il cinema fu oggetto di una serie di leggi protezionistiche tra il 1931 e il 1933 (fra le altre, proiezione solo di un dato numero di film italiani e tassazione dei film stranieri), mentre nel 1932 il regime inaugurò la Mostra del Cinema di Venezia.
Nel complesso tuttavia i film prodotti non incontravano il successo commerciale desiderato: quando il governo si rese conto che l’industria cinematografica poteva essere un fondamentale veicolo ideologico che non doveva deteriorarsi, creò la Direzione Generale per la Cinematografia (1934), diretta da Luigi Freddi, che si distinse per il proprio atteggiamento liberista rispetto alle modalità standard dell’intervento governativo: lo Stato avrebbe certo dovuto incoraggiare l’industria, ma non pretendere di guidarla d’autorità. Inoltre, convinto che gli spettatori non avrebbero apprezzato film pesantemente propagandistici, si schierò dalla parte di un cinema di “distrazione” su modello hollywoodiano: i nazisti, sosteneva, avevano danneggiato il cinema tedesco con la loro coercizione cieca e autoritaria.
Nel 1935 nacque l’ENIC (Ente Nazionale Industrie Cinematografiche), cui fu data autorità di intervenire in ogni settore del cinema, tuttavia il cinema italiano non divenne mai un cinema politico statalizzato come quello della Germania o dell’URSS: l’ENIC controllava solo una piccola frazione del mercato e produceva pochi film.
Certo la relativa autonomia dell’industria non rendeva ovviamente il cinema italiano immune dalla propaganda: i documentari e i cinegiornali LUCE magnificavano il regime di Mussolini, e non mancavano film esplicitamente fascisti.

Camicia nera (1934, Giovacchino Forzano)
Film corale, girato in occasione del decennale del Fascismo, rappresenta le vicende italiane dal 1914 al 1932 secondo l'interpretazione che di queste fu data dal regime, con protagonisti uomini e donne di tutte le regioni d'Italia. Un fabbro italiano emigrato in Francia (Mussolini era figlio di un fabbro) combattendo durante la prima guerra mondiale perde la memoria. La recupera anni dopo e torna in Italia, trovando un paese più moderno (bonifica delle paludi pontina, l'inaugurazione della città di Littoria) grazie al fascismo.

Scipione l’Africano (1937, Carmine Gallone)
Il film di Gallone rientra nella schiera dei film ambientati in contesti storici cronologicamente lontani da quelli del fascismo, ma riconducibili ad esso per motivi ideologici e per i messaggi esplicitamente patriottici in essi contenuti (un altro film appartenente a questo filone è 1860 di Alessandro Blasetti, ambientato durante il periodo di unificazione dell’Italia).

Il cinema dei telefoni bianchi
Il periodo vide anche fiorire diversi generi popolari, quali commedie o melodrammi romantici, che vedevano come protagonisti gente ricca e ambienti moderni e scintillanti, da cui la loro definizione di film dei telefoni bianchi, appunto per la continua esposizione fra le altre cose di apparecchi telefonici di tale colore, sinonimo di benessere e ricchezza. Alcuni fra i titoli più importanti di questo genere sono La canzone dell’amore (1930, Gennaro Righelli), La segretaria privata (1931, Goffredo Alessandrini) e T’amerò sempre (1933, Mario Camerini).

III. IL CINEMA DEL DOPOGUERRA: IL NEOREALISMO ITALIANO


«Siamo convinti che un giorno creeremo il nostro film più bello seguendo il passo lento e stanco dell’operaio che torna a casa».
(Giuseppe De Santis, 1941)

Il Neorealismo italiano fu la più importante tendenza cinematografica sviluppatasi negli anni del dopoguerra e che, seppur destinata a chiudere il proprio ciclo in poco più di una manciata d’anni e a marcare un esiguo numero di film, cambiò in maniera radicale l’approccio al cinema di finzione ed influenzò in maniera incredibile la produzione di un grandissimo numero di registi che avrebbero popolato il panorama cinematografico nazionale e mondiale negli anni a venire.
Con la caduta di Mussolini l’industria cinematografica italiana perse il suo centro organizzativo e il cinema neorealista si impose allora come forza di rinnovamento culturale e sociale, in un momento storico in cui l’Italia cercava a fatica di rialzare la testa dopo il durissimo periodo bellico che aveva lasciato dietro di sé povertà e macerie, elementi peraltro destinati ad essere pregnanti nella poetica neorealista.
Il realismo di questi film nasceva senza dubbio dal contrasto con quelli che li avevano preceduti: i cineasti si spostarono dai grandi studi alle strade e alle campagne, proponevano storie contemporanee con una prospettiva da “fronte popolare”, si occupavano dei problemi sociali contemporanei ( inflazione, disoccupazione…), della vita rurale, ecc.
Gran parte dei film neorealisti suscitò nei funzionari del dopoguerra una reazione ostile: il ritratto di un paese afflitto dalla povertà rendeva furiosi i politici ansiosi di dimostrare che l’Italia era sulla via della democrazia e della prosperità. La Chiesa cattolica attaccò molti film per il loro anticlericalismo, mentre la sinistra per il loro pessimismo. Non fu perciò un caso che il cinema neorealista fu tanto amato e lodato dalla critica, soprattutto internazionale, quanto ignorato dal grande pubblico nostrano.


3.1 Le innovazioni del cinema neorealista

Gran parte degli storici del cinema ritiene il Neorealismo un momento importante non solo per le sue posizioni politiche e per la sua visione del mondo, ma anche per le innovazioni nella forma cinematografica: le riprese vengono spostate in ambienti aperti (la campagna o le strade di città ancora piene di polvere e macerie), i dialoghi sono quasi sempre ridoppiati in studio e ad attori affermanti impegnati nei ruoli principali, vengono spesso affiancati attori non professionisti o addirittura uomini e donne presi dalla strada per ricoprire i ruoli subalterni o da caratteristi.
Le maggiori innovazioni risiedono però nell’articolazione del racconto: un motivo ricorrente è quello della coincidenza, che riflette la casualità degli incontri nella vita quotidiana. A questa si aggiunge l’uso frequente dell’ellissi: momenti apparentemente inutili ai fini della narrazione vengono spesso prolungati quasi fino allo stremo, e spesso vengono trascurate le cause e le conclusioni degli avvenimenti cui assistiamo, per un cinema focalizzato più sui momenti interlocutori e di “stasi” piuttosto che sull’azione drammatica, condensata spesso in poche ma incisive scene (come la celeberrima rincorsa di Anna Magnani al camion di tedeschi su cui è stato appena caricato come prigioniero l’amato Francesco, in una delle scene più famose di Roma città aperta).

Roma città aperta (1945, Roberto Rossellini)
Il film, ambientato a Roma, ha come tema principale quello della Resistenza, vista come alleanza fra comunisti e cattolici a fianco della popolazione contro nazisti e fascisti. Protagonisti sono il militante comunista Giorgio Manfredi, il tipografo antifascista Francesco, la futura moglie di questi, Pina, suo figlio Marcello e Don Pietro, parroco locale interpretato da Aldo Fabrizi che non nega mai aiuto ai perseguitati politici e fa da portavoce dei partigiani.

Ladri di biciclette (1948, Vittorio De Sica)
E’ la storia di un operaio, Antonio Ricci (interpretato dall’allora operaio della Breda, Lamberto Maggiorani), la cui sussistenza dipende dalla sua bicicletta (egli è un attacchino comunale), che gli viene rubata: Ricci si rivolge ad ogni istituzione - polizia, Chiesa, sindacati – ma nessuno è in grado di recuperarla. Il momento cruciale si ha quando il protagonista, in preda alla disperazione, cerca di rubare a sua volta una bicicletta, provocando il pianto di suo figlio, che per tutto il giorno lo aveva accompagnato nell’estenuante ricerca. Quello che il film vuole mettere in evidenza è la denuncia alla brutale rapacità della vita nel dopoguerra.


La terra trema (1948, Luchino Visconti)
Quella di Visconti è un’opera di ambientazione regionale, perfettamente in linea con la poetica teatrale dell’autore e liberamente tratta dal romanzo verista I Malavoglia di Giovanni Verga. La famiglia Valastro, abitante di Aci Trezza, vive poveramente di pesca, attività controllata da grossisti senza scrupoli. Il figlio maggiore dei Valastro, 'Ntoni, protesta contro i loro abusi, ma la sua voce rimane inascoltata. In seguito ad una rissa iniziata con Lorenzo, grossista profittatore e spaccone, 'Ntoni è rinchiuso in prigione, e quando ne esce decide di mettersi in proprio con la sua famiglia. All'inizio gli affari vanno bene, ma una tempesta distrugge la loro barca, i debiti aumentano, le riserve di acciughe devono essere vendute a basso costo e la famiglia si disgrega. La sorella Lucia diviene l'amante del maresciallo del corpo di finanza di Aci Trezza, il fratello Cola diventa un contrabbandiere e la sorella Mara non può sposare il muratore che ama. 'Ntoni rimane solo e, con grande amarezza, non gli rimane che chiedere l'imbarco proprio agli sfruttatori che aveva cercato inutilmente di sfidare.

CONCLUSIONI


In più di cento anni di storia il cinema di strada ne ha fatta veramente tanta.
Al di là del progresso tecnologico e della nascita di nuove e sempre più moderne tecniche di ripresa, esso si è confermato nel corso del tempo come un perfetto occhio capace di riprendere il mondo e riconvertire sullo schermo le ansie, i desideri, le paure e la mentalità della società ad esso contemporanea.
Sia che si trattasse del cinema delle origini, di un cinema asservito ai bisogni di un regime politico dominante o ripiegato nel rappresentare in maniera umile e anti retorica la vita del popolo attraverso un punto di vista volutamente più dimesso, la macchina da presa si è guadagnata una sempre maggiore autorevolezza artistica, che le ha permesso di essere affiancato alla letteratura, alla pittura, alla scultura e a tutte le maggiori espressioni creative capaci di rappresentare attraverso il loro linguaggio e il loro punto di vista particolare la realtà in cui viviamo.
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