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Sintesi

Introduzione Caffè, tesina



La seguente tesina maturità per istituto professionale aziendale tratta delle origini del caffè. Ho scelto questo tema per la mia tesina perché al giorno d’oggi bere una tazza di caffè è diventato un gesto comune, ma pochissima gente conosce l’origine della bevanda, la sua storia e il significato sociale che aveva nel passato.Parlerò quindi brevemente dell’origine del caffè, mi soffermerò sull’arrivo di questa bevanda in Europa e del diffondersi delle prime botteghe del caffè come luoghi di aggregazione informale, pubblico, letterario e intellettuale. Molte delle abitudini che furono stabilite allora in quelle prime sale da caffè sono ancora caratteristiche dei nostri odierni caffè. Dato che il caffè, bevanda eccitante per eccellenza, veniva associato alle idee progressiste, parlerò del primo periodico italiano “Il Caffè”, fondato da un illustre gruppo di illuministi lombardi, come i fratelli Pietro e Alessandro Verri e Cesare Beccaria.In francese parlerò dei cafés littéraires e in inglese di STARBUCKS, una società di capitali, che attualmente ha punti vendita in tutto il mondo.Inoltre ho preparato un business plan di un bar in fase di avviamento.

Collegamenti
Caffè, tesina



Storia - la storia del caffè
Italiano - i caffè letterari e la rivista di Verri e Vicari
Francese - les cafés litteraires
Inglese - Starbucks
Economia aziendale - business plan
Estratto del documento

Il caffè in Europa

Il 1615 è considerata la data in cui il caffè fece la sua comparsa in Europa grazie ai

commercianti veneziani seguendo le rotte marittime che univano l'Oriente con Venezia e

Napoli ed il merito di averlo introdotto spetta al botanico Prospero Alpini che era stato medico

del console di Venezia in Egitto, e a molti altri italiani. Venezia fu la prima città italiana che

conobbe l'aroma del caffè, che si sarebbe poi diffuso in tutta la Penisola e divenire punto di

riferimento per mercanti non solo italiani, ma anche provenienti da altri Paesi specialmente

del centro-nord Europa.

Prima di essere consumato come semplice bevanda, il caffè veniva anche bevuto per sfruttare

alcune sue proprietà

medicamentose e digestive e

per questo motivo il suo prezzo

era piuttosto elevato. Nel

momento in cui si capì che la

diffusione del caffè era tale da

poter riempire le casse dello

Stato nacquero le prime

"Botteghe del Caffè", la più

antica d'Europa, il Caffè

Florian, si trova tutt'ora sotto i portici di Piazza San Marco a Venezia. Per battere la

concorrenza, un caffettiere fece pubblicare e distribuire un libretto che descriveva ed esaltava

le proprietà di questo elisir d'oriente.

L’importanza delle botteghe come luogo di vita culturale e politica crebbe enormemente e la

visita quotidiana al caffè preferito divenne un must, ma in questi locali pubblici, accanto ai

pettegolezzi quotidiani, trovarono origine anche molte idee politiche e rivoluzionarie. Sì,

perché il caffè, bevanda eccitante per eccellenza, veniva associato alle idee progressiste.

I caffè volevano distinguersi dalle chiassose locande e osterie ereditate dal Medioevo,

frequentate dalle classi popolari: si desiderava realizzare un ambiente sobrio, tranquillo dove

poter conversare e studiare con serenità. Non erano solo luoghi in cui era possibile assaggiare

i prodotti provenienti dai possedimenti coloniali dei Paesi europei (come il caffè, appunto, ma

anche il tè o la cioccolata), ma soprattutto uno dei simboli più forti della vivacità culturale del

Settecento. 5

Il Caffè: rivista letteraria

All’inizio del Settecento il caffè veniva bevuto in pubblico, in locali destinati a questo scopo.

I Caffè erano in realtà dei luoghi di incontro e di comunicazione; infatti, ci si incontrava lì per

discutere di affari, politica, arte, letteratura e giornalismo, quindi non stupisce che un gruppo

di illuministi milanesi, riunitosi intorno

ai fratelli Verri, scelse di chiamare “Il

Caffè” il foglio a cui diede vita per

diffondere le idee illuministe nel Regno.

Questa rivista fu pubblicata dal giugno

1764 al maggio 1766 per iniziativa di

Pietro Verri. Il giornale è il portavoce

della cosiddetta Società dei Pugni, il

circolo di intellettuali per lo più

appartenenti socialmente al ceto aristocratico, ma di idee fondamentalmente borghesi e tra i

membri più importanti troviamo Pietro Verri, suo fratello Alessandro Verri e Cesare Beccaria.

La rivista usciva ogni 10 giorni e già il titolo metteva in evidenza la sua pluralità di

argomenti, essa non era vincolata a settori ed ambiti privilegiati: nel “Caffè” si immagina

infatti di trascrivere o di sviluppare conversazioni che si tenevano in un caffè gestito da un

greco di nome Demetrio.

Il programma della rivista si fonda sulla pluralità di argomenti e sulla partecipazione di un

pubblico di lettori molto vario che riesce, nello spazio del caffè, a realizzare una nuova forma

di socialità che nasce dall’incontro di uomini di ceti diversi, che trattano questioni legate

all’utile sociale e intervengono su questioni dirette.

La redazione aveva di mira due cose:

• una politica di riforme illuminate, liberali, progressiste, in direzione dello sviluppo

capitalistico;

• un uso intelligente, a tale scopo, della scienza e della tecnica.

Nonostante la sua breve durata “Il Caffè” riesce ad affermarsi quale principale foglio del

riformismo illuministico.

All'attività di pensiero e di azione degli autori del Caffè e di altri studi innovativi in materia

soprattutto giuridico-economica, corrisposero le riforme di tipo capitalistico introdotte nel

Ducato di Milano dal governo illuminato di Maria Teresa e Giuseppe II, che investirono ogni

campo: 6

• si cercò di sottoporre la nobiltà fondiaria (laica ed ecclesiastica) agli stessi obblighi

retribuitivi cui erano soggetti gli altri possessori di terre,

• si ridusse la manomorta ecclesiastica, al fine di permettere al ceto borghese di acquistare

terre e allestire aziende agrarie capitalistiche,

• si abolirono le corporazioni di mestiere (specie nell'attività tessile e serica), onde

liberalizzare le attività produttive,

• vennero soppressi numerosi conventi e posti all'asta i loro beni, furono aboliti

l'Inquisizione, la censura preventiva sui

libri e il diritto di asilo a favore di chiese e

conventi,

• l'insegnamento cessò di essere monopolio

del clero e passò nelle mani dello Stato,

che cercò d'impartire una cultura meno

accademica e meno letteraria (poiché i

gesuiti si opposero a questi provvedimenti,

furono espulsi dal Ducato).

La rivista letteraria, fondata da Giambattista Vicari e da lui diretta fino al 1977 riprese il nome

della rivista di Pietro Verri.

All'inizio fu un periodico di attualità, costume e letteratura. Vicari si firmava con lo

pseudonimo R.G.Giardini e si rivelò solo nel 1955. Dal 1957 "il Caffè" scelse come campo

d'azione la letteratura satirica, eccentrica, grottesca, pubblicando i capisaldi storici (Rabelais,

Carrol, Swift) e i contemporanei d'ogni parte del mondo, coltivando però un rapporto

privilegiato con la letteratura francese (Cros, Michaux, Roussel, Perec, Queneau, Tardieu). Ai

testi erano accompagnate le illustrazioni dei più grandi disegnatori italiani e stranieri

(Maccari, Folon, Steinberg, Cardon, Topor, Zannino, Guelfo).

Tra i redattori della rivista vi furono, negli anni: Alberto Arbasino, Renato Barilli, Italo

Calvino, Gianni Celati, Guido Ceronetti, Piero Chiara, Franco Cordelli, Corrado Costa,

Augusto Frassineti, Gaio Fratini, Enzo Golino, Luigi Malerba, Cesare Milanese, Giorgio

Manganelli, Pier Francesco Paolini, Sergio Saviane, Giorgio Soavi, Saverio Vòllaro, Paolo

Volponi.

"Il Caffè" visse in perenne precarietà, Vicari non volle mai vendere la sua rivista agli editori:

"perché - disse - sarebbe la sua morte vera. C'è una necessità prioritaria nell'essere liberi: nel

dover contare su un appoggio autentico da parte dei lettori".

Vediamo ora la prima dichiarazione programmatica de "il Caffè" ad opera di Vicari: 7

“(...) Un giorno radioso del maggio 1953 scesi a via Veneto in cerca di amici. Il mio difetto è

grave: quando l'animo mi si mette in moto con un ritmo inconsueto, anziché raccogliermi nel

mio foro interiore, ordinare le idee, fissarle sulla carta, da cui attendo gloria e ricchezza, ma

che resta sempre bianca - qualcosa mi spinge a muovermi, a cercare interlocutori. È

un’orrenda dissipazione, ma l'istinto sempre vince la ragione.

Il grumo che avevo nel cuore poteva sciogliersi soltanto in cospetto di un determinato

individuo. Non cercavo un amico qualsiasi, ma quell’amico; per l'esattezza, Giorgio Prosperi,

che non da quel giorno sentivo affine, e che stimo molto da sempre.

Lo scorsi di lontano mi accennò di attenderlo. Mi sedetti a un tavolino di Rosati; accanto a me

c'era Sergio Zavoli, uno dei migliori radioreporter, anzi uno dei pochissimi veramente bravi.

Era anch'egli nutrito di fervore stagionale, animatissimo. Gli anticipai ciò che tenevo in serbo

per Prosperi: si dovrebbe fare - gli dissi - un giornale che dica la

verità su tutto e su tutti, senza paura. Dovremo pagarcelo noi, non

è possibile accettare niente da nessuno. Zavoli sussultò.

- E’ il mio sogno - disse.

Pochi minuti dopo, Prosperi era accanto a me. - Ti cercavo,

cominciò.

La comunicazione venne fatta subito. - Si dovrebbe fare, fece

Prosperi, un giornale che dica la verità su tutto e su tutti, senza

paura. Dovremmo pagarcelo noi, non è possibile accettare aiuti da

nessuno.

Così nacque Il Caffè. Per la verità Prosperi continuò a dire le sue verità nel modo che aveva

sempre usato, cioè esercitando la sua eccellente critica; Zavoli concretizzò i suoi umori

realizzando degli ottimi documentari radiofonici. Soltanto io mi levai l'uzzolo di mettere in

atto questo privato giornalismo sui pubblici temi generali.

Bene, è stato un esperimento.

Anzi, sono stati due esperimenti. Qualcuno ricorderà Il Caffè prima maniera (durante il 1953),

semiclandestino, stampato di sbieco, e forse anche scritto di sbieco. Non c'è tanto da

vantarsene. Ma c'erano delle scorie da digerire, e sono state smaltite. Erano le verità, dette

senza ritegni e senza calcoli; erano gli interventi di alcuni privati cittadini (due o tre in tutto)

sugli argomenti universali della vita pubblica. I nostri poisons, le amaritudini.

Poi venne il secondo tempo, un Caffè allargato assai nel giro dei collaboratori, e nello stesso

tempo ristretto ad interessi più specifici: la letteratura (soprattutto, in principio, la nuova

letteratura) e la cultura nei suoi rapporti con la vita sociale”. 8

Dopo la scomparsa di Vicari nel 1978, ci furono due serie (1980-1981 e 1985-1986) con il

nome Il Caffè. Periodico di letteratura satirica, grottesca ed eccentrica, dirette da Carlo

Contreras e Cesare Landrini (insieme con Gaetano Rizzo Nervo), ma non si riuscì a farla

decollare. Les cafés littéraires

Un café littéraire est un lieu de réunion où l'on parle de littérature, on échange des idées et on

écoute des extraits de livres lus

par des comédiens, on assiste à

des spectacles érudits tout en

dégustant un café, ou une autre

boisson.

Le café Procope fut

probablement le premier endroit

de ce genre. Créé en 1686 à Paris

par Francesco Procopio dei

Coltelli dit « Procope », ce lieu,

d'un genre nouveau, obtint ses lettres de noblesses de la fréquentation de Voltaire, Rousseau et

Diderot, pour ne citer que ceux-là. Pour d'autres, le premier café littéraire serait le café de la

Place du Palais-Royal, fondé en 1681, et qui deviendra après 1715 le café de la Régence.

Tout a commencé avec la venue en France de ce breuvage noir, chaud et parfumé: le café.

Cela eut lieu dans les années de la deuxième moitié du XVIIe siècle. Le grain de café vint

d’Orient bouleverser nos façons de vivre. La visite au roi Louis XIV que fit l’ambassadeur

extraordinaire de la Sublime Porte, Soliman-Aga au cours de laquelle il offrit à son hôte

prestigieux la précieuse boisson fut le point de départ de l’engouement de toute la cour pour

ce nouveau breuvage. On lui trouva toutes les qualités médicinales et son succès fut immédiat.

Le Procope devint ainsi le

premier café littéraire fondé à

Paris au 13, rue des Fossés-

Saint-Germain. Quelques

années plus tard, la Comédie-

Française s’installa en face.

Tout naturellement, Le

Procope devint le lieu

9

privilégié non seulement des comédiens mais aussi des écrivains, des auteurs dramatiques, des

philosophes. On y côtoyait Diderot, Voltaire, Rousseau, Fontenelle, Beaumarchais ; on y

parlait de politique, de religion, de philosophie, on causait, on riait, on médisait de son

prochain tout en refaisant le monde! La mode était lancée! Au XVIIIe siècle, Paris comptait

de 6 à 700 cafés. À la veille de la Révolution, Paris aura 900 cafés.

Le Procope restera jusqu’à nos jours la référence en matière de cafés littéraires: plus tard,

Balzac, Verlaine et Anatole France fréquenteront ses salons. Aujourd’hui, sa notoriété ne s’est

pas démentie.

Au moment de la Révolution, les cafés situés autour du Palais-Royal se feront remarquer par

leur animation patriotique. Parmi les habitués, Robespierre, Camille Desmoulin, jeunes

hommes qui se prendront à rêver aux rôles qu’ils pourraient jouer à l’approche de ce grand

mouvement qui va bouleverser leur pays.

À partir de la Révolution et pour longtemps, le café devient un lieu de débat politique. Sous

l’Empire comme sous la Restauration il est le lieu de violentes confrontations entre différentes

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