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Sintesi
Greco: Plutarco;

Latino: Gaio Svetonio Tranquillo;

Italiano: Gabriele D'Annunzio;

Inglese: Oscar Wilde;

Storia: Adolf Hitler.
Estratto del documento

Tuttavia alcuni vedono in Plutarco un punto di vista più patriottico: l'intera

opera avrebbe quindi l'intento di dimostrare ai Romani, ormai fortemente

connessi con il mondo greco, che anche questi ultimi avevano grandi uomini, e

anzi erano superiori a loro in tutto, compresa la guerra. Vite Parallele

Non è facile stabilire una teoria sicura, in quanto le su questo

fronte risultano fortemente ambigue: se da una parte infatti le σύγκρισις

risultano quasi sempre a favore dei Greci, dall'altra nel corso delle vite non ci

sono mai elementi che possano far pensare a una presa di posizione a favore

del suo popolo o favoritismi da parte di Plutarco.

Due problemi fondamentali non sono riusciti ancora a risolvere coloro che

hanno analizzato a fondo l'opera: la presenza di quattro vite singole e l'ordine

cronologico in cui furono pensati e scritti i libri.

Le biografie di Arato di Sicione, Artaserse II, Galba e Otone presentano uno

schema diverso rispetto alle altre, poiché mancano proprio del termine di

confronto, caratteristica fondamentale di tutta l'opera. L'ipotesi attualmente

più utilizzata per spiegare queste vite decisamente singolari consiste nel

supporre che Plutarco le scrisse prima di sperimentare il metodo della biografia

su doppio binario e decidere di basare su di esso tutto la sua opera: questi

illustri personaggi quindi a quanto pare sarebbero stati i primi ad essere trattati

dall'autore.

Tuttavia sono presenti, almeno nella vita di Galba e Otone, forti influenze delle

Storie di Tacito, che indicano una composizione piuttosto tarda: come afferma

Croiset però non avrebbe senso pensare che queste vite siano state scritte per

ultime, in quanto non si capisce per quale motivo Plutarco avrebbe dovuto

abbandonare lo schema felicemente riuscito in tutti i libri precedenti.

Vite,

Per quanto riguarda l'ordine cronologico delle è purtroppo quasi

impossibile venirne a capo: Plutarco infatti ci dà informazioni solo nelle vite di

Demostene e Cicerone, che costituivano il quinto libro, di Pericle e Fabio

Massimo, che costituivano il decimo, e di Dione e Bruto, che costituivano il

dodicesimo libro. Per il resto non abbiamo alcuna notizia, e il fatto che ogni vita

sia piena di riferimenti, accenni, richiami ad altre fa ipotizzare che l'autore

lavorò su più vite contemporaneamente.

Per quanto riguarda il metodo seguito nell’opera, può considerarsi

Vite di Alessandro e Cesare

programmatica la prefazione alle in cui Plutarco si

preoccupa di precisare che egli scrive biografie e non storie: pertanto tratterà

delle grandi azioni velocemente e in modo poco approfondito, in quanto a suo

parere il vero carattere di un uomo, l’ si manifesta in “un breve episodio,

ηθος,

una parola, un motto di spirito” più che in battaglie con migliaia di morti,

schieramenti di eserciti e assedi di città. I grandi eventi propri della

storiografia vengono dunque lasciati sullo sfondo dal biografo, che porta invece

in primo piano l’uomo: egli dichiara di lasciare ad altri la trattazione delle

grandi contese per dedicarsi piuttosto a cogliere “i segni dell’anima” (τα της

, come fanno i pittori che rappresentano soprattutto i tratti del viso

ψυχης σημεια)

– che denotano il carattere – tralasciando le altre parti.

Il racconto plutarcheo è infatti impreziosito da numerosi aneddoti, battute motti

di spirito che, pur risultando a volte poco comprensibili a noi oggi, mostrano

perfettamente il carattere del personaggio trattato: per Plutarco un uomo è

7

fatto di azioni, e ciascuna di essa rappresenta una parte del suo carattere, un

modo particolare di concepire la vita, una strategia per uscirne vincitore.

Il gesto nascosto, il dettaglio, il particolare rivelano l'anima, più delle azioni

ufficiali che anzi soffocano la vera natura dell'uomo in quanto la imprigionano

nelle sovrastrutture imposte dal rango e dall'opinione comune.

Prendiamo come esempio Cicerone e Cesare: il primo è visto storicamente

mos

come un grandissimo oratore, campione di virtù e difensore accanito del

maiorum, mentre il secondo è visto come un fiero ma spietato conquistatore.

Plutarco nei passi seguenti ci racconta comportamenti tenuti in occasioni

particolari dai due uomini che mostrano veramente il loro carattere,

stravolgendo l'opinione pubblica che grava su di loro.

Così di Cicerone Plutarco non esita a mettere in mostra l’eccessivo

compiacimento di sé:

“Di ritorno a Roma dopo la questura in Sicilia, in Campania incontrò un uomo

che credeva suo amico e gli chiese cosa dicevano i Romani delle sue azioni e

cosa ne pensavano, immaginando che tutta la città fosse pervasa dal suo

nome e dalla sua fama; ma costui rispose: “Dove sei stato, Cicerone, in tutto

questo tempo?”. Fu davvero una grande delusione… Tuttavia, dopo averci

riflettuto a mente fredda, si scrollò di dosso tutta la sua presunzione, e decise

di tendere a un tipo di gloria che non fosse di breve durata: anzi, a una che

fosse praticamente irraggiungibile. In realtà, nonostante i buoni propositi, lo

accompagnarono tutta la vita la smania di diventare qualcuno e l'eccessivo

compiacimento che provava al sentirsi lodare, sensazioni, queste, capaci in più

occasioni di sconvolgere i suoi retti intendimenti.” [Cicerone,

VI]

Vita di Cesare,

Nella al contrario, da un piccolo aneddoto poco noto, emerge a

sorpresa la grande umanità del fiero conquistatore:

“Una volta durante un viaggio, costretto dalla tempesta a rifugiarsi nella

capanna di un uomo povero, non trovando altro che una stanzetta che poteva

ospitare a stento una sola persona, disse che quando si trattava di onore

bisognava privilegiare i più deboli: quindi ordinò che lì riposasse Oppio: con gli

altri egli passò la notte sotto il tettuccio della porta.” [Cesare, XVII, 11]

Da piccoli episodi, sconosciuti alla grande storiografia, il biografo riesce così a

cogliere i veri “segni dell’anima” del personaggio ritratto.

Vite,

Per quanto riguarda l’impostazione generale delle lo schema seguito da

Plutarco nella redazione dell'opera è semplice.

Ogni coppia di vite si apre con un'introduzione in cui l'autore, divagando spesso

e sconfinando talvolta nel personale, assume un tono quasi confidenziale: ciò

tuttavia non risulta essere una momentanea “distrazione” dell'autore, ma è

tutto finalizzato ai ben più alti contenuti della biografia.

Ne è un esempio l'introduzione alle vite di Demostene e Cicerone; dopo aver

parlato dei pregi e dei difetti del vivere in una città illustre o in un piccolo paese

8

e aver confessato con grande rammarico che “quando fui a Roma o qua e là

per l'Italia, non trovai mai il tempo di esercitarmi nella lingua romana, sia per

Demostene,

impegni politici sia per le lezioni di filosofia che impartivo” ( II),

Plutarco mostra il vero intento della digressione, l'esprimere cioè la sua volontà

di “esaminare e mettere a confronto la natura e la disposizione d'animo dei

suddetti personaggi”, e tralasciare invece “di stabilire un paragone tra le loro

capacità oratorie, tentando di dimostrare chi fosse più abile con le parole e più

(Demostene,

piacevole nell'ascolto” III).

Nella prefazione quindi vengono solitamente enunciati i motivi che stanno alla

base della comparazione dei due “grandi”.

Questi motivi vengono ripresi e ampliati nel confronto finale (σύγκρισις presente

in chiusura di quasi tutte le biografie, spesso a favore dei Greci.

La finale è un'occasione per riassumere e trarre le conclusioni, ma

σύγκρισις

anche per trattare qualche aneddoto tralasciato in precedenza:

“E per concludere non si può non commiserare la fine di Cicerone, un povero

vecchio che, vittima della sua indecisione, si fece trasportare su e giù dai suoi

servi, nel tentativo di fuggire la morte e di nascondersi ai sicari, giunti per

ucciderlo poco prima che la morte naturale lo prendesse, e che infine finì

trucidato. Demostene, invece, lo si deve ammirare: è vero che ebbe un attimo

di cedimento e supplicò pietà, ma si procurò un veleno, lo mise da parte, e poi

se ne servì”. [Confronto Demostene e Cicerone, IV – 1,2]

Il racconto biografico segue di norma lo svolgersi cronologico degli eventi: sono

presenti in ogni vita cenni sulla famiglia d'origine, sul luogo di nascita,

sull'educazione ricevuta in gioventù, per poi passare agli avvenimenti salienti

dell'esistenza dell'uomo trattato fino alla sua morte.

Plutarco attinse a numerose fonti per la sua opera: le impiegò molto

prudentemente, riportandole quasi tutte con precisione, ma prendendo le

distanze da quelle a suo parere meno attendibili con l'utilizzo di intercalari

come “si dice” o “forse”.

Ne è un chiaro esempio il passo seguente in cui, dopo aver parlato della morte

di Alessandro Magno, Plutarco racconta come la corte arrivò a comprendere

che fu ucciso dal veleno:

“Nessuno ebbe al momento sospetto di avvelenamento, ma che sei

raccontano

anni dopo, in seguito a una denuncia, Olimpiade fece mandare a morte molti e

fece disperdere le ceneri di Iolao che era morto da tempo, affermando che

costui aveva versato il veleno ad Alessandro. che fu Aristotele a

Alcuni dicono

consigliare quell'azione di Antipatro, e addirittura che egli stesso procurò il

veleno: questo, dicono, fu rivelato da un certo Agnotemi che l'aveva sentito dal

re Antigono.” [Vita di Alessandro, 77

– 2,3]

9

Pochi scrittori, nel corso della tradizione storica, hanno conosciuto una fama

Vite parallele.

incontrastata e quasi mitica come il Plutarco delle Basti pensare

alla fremente emozione che la lettura delle sue biografie suscitò in Vittorio

Alfieri, ispirando nel suo animo quell’ansia di magnanima grandezza che

sarebbe stata poi alla base delle sue tragedie.

Il motivo di questa suggestione, alla quale è difficile sottrarsi, sta nella statura

eroica dei personaggi plutarchei, accentuata da un’atmosfera di tensione e di

dramma e dal senso di un destino che si delinea attraverso le scelte imposte

dal carattere e dalle ambizioni personali. Vite parallele,

Per meglio cogliere queste caratteristiche delle sarà sufficiente

Vite di Alessandro e Cesare,

soffermarsi su pochi esempi tratti dalle che ben si

prestano a mettere in luce l’atmosfera di umana grandezza che pervade l’arte

di Plutarco, benché i suoi personaggi siano descritti a tutto tondo, con le loro

virtù e i loro vizi.

Del grande Macedone, fin dall’inizio della biografia Plutarco mette in mostra la

temperanza (εγκράτεια), l’alto sentire (μεγαλοψυχία) e la generosità (φιλανθρωπία).

Ne emerge un intento che sicuramente vuole essere didattico-morale, in linea

Vita di Timoleonte:

con quanto Plutarco stesso ha scritto all’inizio (I) della

“guardo come in uno specchio nella storia dei grandi uomini, cercando di

abbellire la mia vita e di esemplarla secondo le loro virtù”.

Per quanto riguarda l’ di Alessandro, valore paradigmatico a tal

εγκράτεια

proposito ha sicuramente l’atteggiamento che il Macedone ebbe sempre nei

confronti delle donne. Con esse Alessandro era temperatissimo, poiché

riteneva che questa dovesse essere la vera dote di un re: quando fece

prigioniere con la moglie di Dario anche la madre e le due figlie, che erano

bellissime, fu nei loro riguardi di estrema correttezza, “ritendendo che ad un re

si addicesse vincere se stesso più che i nemici” (XXI); non che egli fosse

insensibile alla bellezza femminile, anzi “diceva scherzando che la bellezza

delle Persiane era un tormento per gli occhi, ma contrapponendo alla loro

bellezza il valore della sua temperanza e saggezza, passava davanti a loro

come ad inanimate statue di marmo” (XXI).

Quanto all’alto sentire (μεγαλοψυχία), si può dire che l’amore di grandi imprese e

di gloria fu il filo conduttore di tutta la sua vita, che lo indusse a spingersi fino

ai confini del mondo allora conosciuto alla ricerca dell’impero universale. Per

citare un esempio tra tutti, è famosissimo l’episodio della sua sosta nella

Troade (prima di affrontare Dario nella battaglia del Grànico), dove il grande

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