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Sintesi

Introduzione Barba e baffi specchio dell'anima, tesina



La seguente tesina di maturità descrive i personaggi storici e intellettuali in base alla loro barba e baffi. Da sempre gli occhi sono stati eguagliati all’anima, ma io voglio trovare altro. In questi anni scolastici nei libri ho incontrato spesso uomini barbuti ed essi mi hanno ispirato, essendo io stesso amante della barba, per qualcosa di nuovo.
La barba (i baffi di conseguenza) è l'insieme dei peli, dalle guance al collo, la cui apparizione segna nell'uomo il passaggio dall'adolescenza alla virilità. È uno dei caratteri sessuali secondari maschili.
Da sempre emblema di prestigio e potere, la barba di un uomo è simbolo del suo onore, della sua autorità e del suo stato sociale. Sappiamo per esempio che gli ominidi della preistoria la facevano crescere per proteggersi dal freddo e per intimidire gli avversari. Per gli antichi Greci la barba indicava la maturità e la saggezza: Zeus, re degli dei, aveva il barbone, mentre Apollo era un giovanotto sbarbatello. Alessandro Magno decretò invece che i suoi soldati non portassero la barba; temeva che gli avversari potessero usarla come appiglio. Nel Medioevo la barba divenne un fatto d'onore. Guai a toccare quella di un altro uomo: sarebbe stata un'offesa da lavare in duello!
Nel XVI secolo avere o meno la barba cominciò ad essere questione di look. Gli uomini iniziarono a pettinarla e ad acconciarla in modo creativo, stirandola e profumandola. Apparvero le prime barbe biforcute.
Nel XIX secolo con la diffusione dello stile di vita borghese, i negozi si riempirono di prodotti per la rasatura. Il Presidente Abraham Lincoln, amatissimo, rese popolare la barba tra gli americani. In Italia invece a pubblicizzarla ci pensarono i suoi contemporanei, Mazzini e Garibaldi, che la imposero nel look del rivoluzionario. Una tendenza quest'ultima che durò fino alla seconda metà del 1900, quando sulla scena politica apparve il movimento dei barbudos di Cuba, capeggiati da Fidel Castro e Ernesto Che Guevara. Tutto il contrario per i “baffetti” tedeschi, che non saranno ben ricordati in futuro. Insomma, barba o baffi l'hanno sempre avuti: divinità, re, politici, rivoluzionari e rockstar che hanno scritto la storia. Osservando i diversi tagli e stili possiamo conoscere caratteri e curiosità. Nella tesina indagherò su tre personaggi che abbiamo affrontato in questo anno scolastico

Collegamenti


Barba e baffi specchio dell'anima, tesina



Italiano -

Pascoli

.
Storia dell'arte -

Van Gogh

.
Storia -

Giolitti

.
Tempi moderni -

Conchita Wurst

.
Estratto del documento

Liceo F. Enriques

a.s. 2013-2014

Classe 5C

LORENZO ZIZZARI

BARBA E BAFFI, SPECCHIO DELL’ANIMA

Da sempre gli occhi sono stati eguagliati all’anima, ma io voglio

trovare altro.

In questi anni scolastici nei libri ho incontrato spesso uomini barbuti

ed essi mi hanno ispirato, essendo io stesso amante della barba,

per qualcosa di nuovo.

La barba (i baffi di conseguenza) è l'insieme dei peli, dalle guance al

collo, la cui apparizione segna nell'uomo il passaggio

dall'adolescenza alla virilità. È uno dei caratteri sessuali secondari

maschili.

Da sempre emblema di prestigio e potere, la barba di un uomo è

simbolo del suo onore, della sua autorità e del suo stato sociale.

Sappiamo per esempio che gli ominidi della preistoria la facevano

crescere per proteggersi dal freddo e per intimidire gli avversari. Per

gli antichi Greci la barba indicava la maturità e la saggezza: Zeus,

re degli dei, aveva il barbone, mentre Apollo era un giovanotto

sbarbatello. Alessandro Magno decretò invece che i suoi soldati non

portassero la barba; temeva che gli avversari potessero usarla

come appiglio.

Nel Medioevo la barba divenne un fatto d'onore. Guai a toccare

quella di un altro uomo: sarebbe stata un'offesa da lavare in duello!

Nel XVI secolo avere o meno la barba cominciò ad essere questione

di look. Gli uomini iniziarono a pettinarla e ad acconciarla in modo

creativo, stirandola e profumandola. Apparvero le prime barbe

biforcute.

Nel XIX secolo con la diffusione dello stile di vita borghese, i negozi

si riempirono di prodotti per la rasatura. Il Presidente Abraham

Lincoln, amatissimo, rese popolare la barba tra gli americani. In

Italia invece a pubblicizzarla ci pensarono i suoi contemporanei,

Mazzini e Garibaldi, che la imposero nel look del rivoluzionario. Una

tendenza quest'ultima che durò fino alla seconda metà del 1900,

quando sulla scena politica apparve il movimento dei barbudos di

Cuba, capeggiati da Fidel Castro e Ernesto Che Guevara.

Tutto il contrario per i “baffetti” tedeschi, che non saranno ben

ricordati in futuro.

Insomma, barba o baffi l'hanno sempre avuti: divinità, re, politici,

rivoluzionari e rockstar che hanno scritto la storia.

Osservando i diversi tagli e stili possiamo conoscere caratteri e

curiosità. Indagherò su tre personaggi che abbiamo affrontato in

questo anno scolastico.

Vincent Van Gogh

Nato in Olanda, precisamente a Zundert il 30 marzo del 1853 è uno

dei pittori più amati e conosciuti al mondo, forse anche grazie alla

sua vita travagliata e turbolenta la quale lo ha portato al suicidio il

29 luglio del 1890 a Auvers-sur-Oise, Francia.

La sua attività pittorica non è durata molto, solo un decennio, dal

1880 al 1890, tuttavia l’artista ci ha lasciato un corpus di opere che

potrebbe fare invidia a numerosi artisti molto più longevi; infatti

oggi possiamo ammirare più di 840 dipinti e più di 1000 disegni,

oltre a molti acquarelli, litografie e schizzi.

Per tutta la vita è rimasto in contatto con Theo, il fratello minore,

attraverso centinaia di lettere molto significative, dove in qualche

modo raccontava la sua vita e soprattutto i suoi stati d’animo.

Van Gogh, un autodidatta che aveva imparato sui libri, si sentì

sempre come un uccellino in gabbia, escluso dal mondo che mai si

accorse della sua situazione e condizione. Era solo, solamente con

l’arte della pittura.

Vissuto sempre in povertà in mezzo ai minatori olandesi, incominciò

a dipingere la realtà, ma una realtà trasfigurata dalla sua sensibilità.

Questa diventò un nuovo modo di dipingere e di vedere le cose

secondo il punto di vista intimo del pittore; per questo è posto nel

periodo del Post-impressionismo.

Certamente però non possiamo escludere il modo in cui gli

impressionisti hanno influenzato la sua tecnica pittorica, perché nel

1886 si trasferì a Parigi dove trovò un mondo nuovo fatto

soprattutto di luce e di colori. Da qui iniziò a collezionare stampe

giapponesi e inoltre si cimentò nei suoi autoritratti, ben 37; il primo

risale al 1887: “l’Autoritratto con cappello di feltro”.

Osservando questi si nota come Van Gogh cambiò spesso modo di

dipingere, accumunato sempre da rapidi tocchi di colore accostato

l’uno all’altro, una sorta di inclinazione di tante linguette.

I colori variano frequentemente, da caldi a freddi, da scuri a

luminosi; come frequentemente cambia il suo aspetto, i suoi vestiti i

suoi sguardi. Il colore rosso della sua barba, però, non cambia mai.

Infatti è sulla barba che vorrei soffermarmi.

Guardandola attentamente ci aiuta a capire meglio la sua esistenza,

la sua personalità e il suo modo di vivere.

A volte è ispida, incolta e sbarazzina altre invece si presenta lunga e

mal curata, o ancora corta e pungente.

Si può dedurre come il carattere di Van Gogh, confuso dalla malattia

psichica, oscillava tra il malumore e la pacatezza, dall’inquietudine

alla serenità.

Proprio il rasoio, che aveva spuntato e modellato la sua barba,

mozzò l’orecchio per il quale molte volte Van Gogh è ricordato.

Giovanni Pascoli

Più vicino a noi perché nostro connazionale, è Giovanni Pascoli. Uno

dei maggiori esponenti del decadentismo italiano.

Nacque il 31 dicembre del 1855 a San Mauro di Romagna, da una

famiglia della piccola borghesia rurale, di condizione abbastanza

agiata, tipica famiglia patriarcale. Pascoli fin da piccolo cominciò a

perdere tutti i familiari più vicini: padre, madre e i numerosi fratelli;

gli rimasero accanto solo le due sorelle dalle quali non si stacco

mai, costruendo così, intorno a sé, un nido protettivo. Morì il 6 aprile

del 1912 a Bologna.

Un uomo che ha vissuto la perdita dei cari in maniera atroce e che

si contraddistinse per una concezione dolorosa della vita; come il

poeta decadente del resto, non ancora pronto ad affrontare ciò che

accadde in quel secolo, secolo di cambiamento culturale e storico.

Pascoli riconosce che la cattiveria sta negli uomini e non nella

natura (c’è un certo distacco da Leopardi), il dolore è colpa degli

uomini stessi.

Esprimerà il tutto nelle numerose opere lasciate: la prima è Myricae

che dedica al padre, i Poemetti dedicati alla sorella, i Canti di

Castelvecchio per la madre, i Poemi conviviali per gli altri familiari

deceduti e altre raccolte di poesie.

Analizzando i Canti di Castelvecchio, in particolare la poesia: “Il

Gelsomino Notturno, è evidente come i pensieri di Pascoli siano

negativi e come lui si senta solo, privato di una vera famiglia.

E s'aprono i fiori notturni,

nell'ora che penso a' miei cari.

Sono apparse in mezzo ai viburni

le farfalle crepuscolari.

Da un pezzo si tacquero i gridi:

là sola una casa bisbiglia.

Sotto l'ali dormono i nidi,

come gli occhi sotto le ciglia.

Dai calici aperti si esala

l'odore di fragole rosse.

Splende un lume là nella sala.

Nasce l'erba sopra le fosse.

Un'ape tardiva sussurra

trovando già prese le celle.

La Chioccetta per l'aia azzurra

va col suo pigolio di stelle.

Per tutta la notte s'esala

l'odore che passa col vento.

Passa il lume su per la scala;

brilla al primo piano: s'è spento . . .

È l'alba: si chiudono i petali

un poco gualciti; si cova,

dentro l'urna molle e segreta,

non so che felicità nuova.

Il poeta, immerso in un’atmosfera di trepidazione e indefinibile

smarrimento coglie il mistero che palpita nelle piccole cose della

natura. Si accorge che nella notte, quando tutto intorno è pace e

silenzio, vi sono fiori che si aprono e farfalle che volano. Una vita

inizia quando la vita consueta cessa. L’ora della vita notturna è

anche un’ora di malinconia per il poeta che pensa ai suoi morti.

Come vediamo nella maggior parte delle sue opere questi sono i

temi ricorrenti.

Notiamo allora una personalità fragile e triste, racchiusa nel nido

che creò intorno a sé.

Questa indole delicata, però, restava nascosta sotto dei grossi e

pronunciati “baffoni”.

Importanti e imperiali spuntavano da sotto il naso, dando un’aria

imponente e severa; tutto al contrario della sua vera natura. Forse

anche questi servirono da scudo, proteggendolo dal tumultuoso

mondo che lo circondava.

Vero, i baffi erano di moda nel 1800, ma cambiavano in relazione

alle persona che li portava; come nel caso di Giolitti, altro nostro

connazionale e contemporaneo di Pascoli. Stessi baffi, ma diversa

personalità. GIOVANNI GIOLITTI

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