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Sintesi

Introduzione
• Attualità: Tema dell’infanzia abbandonata e Fabbrica del Sorriso
• Definizione del Sintagma “letteratura per l’infanzia”
Storia
• Attenzione dello Stato per l’Educazione (famosa frase di C. D’Azeglio)
- varie questioni (istituzionale, finanziaria, veneta, romana, meridionale)
- legge casati 1859
- legge Coppino 1870
- legge Orlando 1904
- legge Daneo – Credano 1911
• Lavoro minorile
Italiano
• Diffusione del romanzo e tre motivazioni
• Positivismo, Naturalismo e influenza romanzieri europei ( in particolare Balzac, Dickens, Zola, Flaubert, Dostoievskij, Tolstoj)
• “Pinocchio” e “Cuore”
Greco
• Evoluzione dell’epigramma
• Anite
• Generale interessamento dell’età Ellenistica per le categorie sociali inferiori
Latino
• Fedro
- unico scrittore di nascita non libera e primo ad introdurre la favola in Italia
- ridimensionamenti e mutilazioni a scopi didattici del suo corpus di favole
- stile e contenuti
- intento dell’autore
Filosofia
• Rousseau
- studi pedagogici (famosa frase: “Non abbiamo bisogno di buoni politici, ma di buoni cittadini”)
- 1762 “Emilio”
• Approfondimento: “Perché educare?”
- educare per far emergere la verità
- educare per modellare l’allievo
Astronomia
• Italo Calvino e le “Cosmicomiche” 1964 (in particolare “La distanza dalla Luna”)
• Trattazione del tema scientifico dell’allontanamento della Luna dalla Terra e perdita di energia dovuta alle maree
Inglese
• Dickens
- new genre of novel
- denunciation of Industrialization’s effects and Victorian School
- Attention to childhood
- Paternalistic and moral solutions
- Opposition between Fancy and Fact
Matematica
• “Il mago dei Numeri” (in particolare la serie dei quadrati dei numeri naturali)
Estratto del documento

 Introduzione: La letteratura d’infanzia

Per comprendere subito l’argomento trattato iniziamo col dare un’interessante definizione del

sintagma “letteratura d’infanzia” definendo singolarmente i singoli termini:

Letteratura: narrativa realistica e fantastica, poesia

Per: valore finale, connotazione finalistica

L’infanzia: il destinatario in età evolutiva

Ne deriva che il destinatario ha “il diritto di ricevere opere scritte riconoscibili come

letteratura”, ovvero il giovane lettore è il vero soggetto della definizione, a lui è riconosciuta la

responsabilità di fruire della proposta dopo averla vagliata con attenzione.

(R.Lollo, Questioni epistemologiche e istanze educative)

Il valore educativo di tale letteratura sta allora nell’essere specchio per la costruzione della

propria identità, nell’offrire esperienze vicariali di vita, nel sollecitare l’immaginazione e

l’inventiva, nel dar corpo alle paure per elaborarle, nel soddisfare i desideri e le speranze più

recondite, nel prendere una pausa dal quotidiano: come “Evasione del Prigioniero”, non come

“Fuga del Disertore”.

(Tolkien, Albero e Foglia) Per meglio comprendere l’evoluzione di questo genere e le sue più

profonde radici è necessario però analizzarne in modo più ampio gli

sfondi storico, culturale, economico, sociale e politico all’interno dei

quali essa si diffuse. Andiamo ora quindi ad osservare il quadro che

rappresenta la neonata Italia cercando di immergerci quanto più ci

sarà possibile in quel complesso intreccio di eventi che la

caratterizzarono…

 Quadro generale di riferimento

Ambiente politico, sociale ed economico dell’Italia postunitario

Con l’unificazione, l’Italia divenne una monarchia costituzionale, regolata dallo Statuto

Albertino del 1848. Il nuovo Stato era rigidamente accentratore: nonostante la grande varietà di

tradizioni, costumi, linguaggi, condizioni economiche e sociali delle numerose province e

regioni italiane, le autonomie locali erano praticamente inesistenti. A tutta l’Italia venne estesa

la legislazione sabauda, per quanto riguarda l’amministrazione, l’apparato fiscale, la scuola,

l’esercito. Il governo del paese era espressione di una ristrettissima minoranza: aveva il diritto di

voto il 2 per cento della popolazione, e si trattava in prevalenza di grandi proprietari terrieri. La

grande maggioranza del popolo italiano restava esclusa dai diritti politici, non era in grado di

incidere col voto nella vita politica della nazione. Un allargamento della base elettorale si ebbe

dopo l’avvento della Sinistra al potere (1876), ma senza sostanziali cambiamenti nella struttura

eminentemente elitaria del potere politico. Al suffragio universale (maschile) si arriverà solo

mezzo secolo dopo l’unificazione, nel 1913.

Non va taciuto l’alto tasso di analfabetismo della popolazione ed un pauroso dissesto finanziario

nel bilancio del nuovo Stato Italiano, che aveva ereditato il pesantissimo debito pubblico degli

stati preunitari, aveva sostenuto spese ingenti per la guerra e doveva compiere un notevolissimo

sforzo finanziario nel campo dei lavori pubblici, delle costruzioni ferroviarie e delle

infrastrutture in genere. 4

Ai governi postunitari si imposero dunque gravi problemi, quali:

 L’unificazione amministrativa ed economica delle regioni italiane (questione

istituzionale)

 La conquista dei territori ancora in mano all’Austria o al papato e lo spostamento della

capitale a Roma (“questione veneta” e “questione romana”)

 Il pareggio del bilancio statale, in gravissimo deficit (questione finanziaria)

 La lotta al brigantaggio che infesta le regioni meridionali (“questione meridionale”)

Anche in campo economico i governi della destra giungono all’abolizione delle barriere doganali

interne, per favorire gli scambi tra le varie regioni. Introducono anche, al fine di creare un mercato

nazionale, il sistema metrico decimale, con uguale sistema di pesi, la moneta già circolante in

Piemonte.

Nel campo della cultura c’è ancora molto da lavorare. Nel nuovo stato solo il 2% della popolazione

parla l’italiano; la restante parla il dialetto di appartenenza.

Il censimento del 1861, su una popolazione di 21.777.334 abitanti (esclusi, ovviamente, Lazio e

Veneto), conta il 78% di analfabeti.

La lotta all’analfabetismo è affrontata dai primi governi italiani ed il problema dell’istruzione è

risolto con il solo metodo della “piemontesizzazione”.

È ora che la legge Casati, approvata nel 1859 in Piemonte, è estesa a tutto il regno. Essa prevede 4

anni di scuola elementare gratuita, ma non richiede l’obbligatorietà, per cui molte famiglie evitano

di mandare i propri figli a scuola.

La Legge Casati ( 1859 )

La legge Casati esprimeva la cultura politica dei liberali piemontesi alla vigilia dell'unificazione

politico-militare della penisola. Essa istituiva una scuola elementare articolata su due bienni e

obbligatoria (1º biennio). Dopo la scuola elementare il sistema si divide in due: Ginnasio (a

pagamento) e le scuole tecniche. Nonostante le “scuole tecniche” permettano il proseguimento degli

studi alla scuola superiore e in alcuni casi all’università, il sistema risulta comunque classista, dato

il fenomeno dell’auto-esclusione, che portava alla rinuncia agli studi i figli delle famiglie meno

agiate.[1] La sua applicazione, formale e sostanziale, nelle diverse parti del nuovo Regno d'Italia fu

largamente disomogenea. Il dibattito politico-culturale in tema di scuola, tra cui spiccano le voci di

Francesco De Sanctis e di Pasquale Villari sottolinea le arretratezze della situazione in cui precipitò

il Mezzogiorno a causa dell'unità d'Italia. Di fatto al censimento del 1871 si attestò un notevole

peggioramento dell'analfabetismo rispetto alla situazione preunitaria.

I primi programmi scolastici vengono approvati dal ministro Terenzio Mamiani nel 1860, includono

fra le materie fondamentali la religione e si propongono di assicurare un’alfabetizzazione culturale

di base per tutta la popolazione. Nel 1867 i programmi subiscono una prima revisione in cui si nota

una profonda crisi fra Stato e Chiesa, comincia infatti ad attenuarsi lo spazio dedicato alla religione

a favore dell’educazione civica.

La Legge Coppino ( 1870 )

La legge Coppino è uno dei punti qualificanti del programma e della politica della Sinistra Storica.

Essa introduce l’obbligo scolastico nel primo triennio delle elementari dopo averle portate a 5 anni.

Definisce le sanzioni per i genitori degli studenti che non adempiono all'obbligo.

Nel primo Novecento si iniziano a vedere gli effetti positivi, se pur limitati, del sistema scolastico.

Scende l’analfabetismo e compare per la prima volta il fenomeno della disoccupazione

intellettuale. La borghesia dell’epoca iniziava a temere uno sconvolgimento dello status quo

sociale. Il dibattito di quegli anni, destinato sul momento a non avere conseguenze pratiche, è

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particolarmente vivace sui temi della proposta della istituzione di una scuola media unica e sulla

questione della laicità della scuola.

La legge Orlando (1904)

Prolunga l’obbligo scolastico fino al dodicesimo anno di età. Prevede l’istituzione di un "corso

popolare" formato dalle classi quinta e sesta. I problemi della scuola sono al centro di un vivace

dibattito culturale che vedono coinvolte riviste come "La voce" di Giovanni Papini e Giuseppe

Prezzolini ; principali oggetti di dibattito sono le proposte di riforma della scuola media inferiore e

la questione dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari.

La legge Daneo - Credaro (1911)

Rende la scuola elementare un servizio statale, così da poter disciplinare l’obbligo in modo più

vigoroso. La sua applicazione fu problematica, anche per il sopraggiungere della prima guerra

mondiale.

Un altro grave problema da arginare dell’Italia tra l’Ottocento e il Novecento è senza dubbio il

lavoro minorile e lo Stato cerca di intervenire man mano anche in base alle leggi adottate in

Europa a tutela dell’infanzia.

Il lavoro minorile

La piaga del lavoro infantile nelle aziende e nelle fabbriche italiane era già un problema agli inizi

del 1840 quando in Europa furono adottate le prime leggi a protezione del lavoro minorile. Nessun

provvedimento legislativo fu adottato dalle fabbriche interessate al fenomeno, solo nel Lombardo –

Veneto una circolare vicereale introdusse il divieto di assumere fanciulli minori di 9 anni nelle

aziende con più di 20 operai, il divieto venne esteso poi ai minori di 14 anni nelle produzioni

“pericolose per la vita e la salute”.

Nel 1883 il parlamento riaffrontò la questione, ma non concluse il percorso legislativo. Il primo

provvedimento di legge fu approvato solo nel 1886, con disposizioni in arretrato rispetto alle norme

vigenti in altri paesi.

Tra discussioni e provvedimenti inadatti, l’impiego dei minori nell’industria italiana aumentò

rapidamente, in particolare nell’industria tessile.

A sostegno dell’impiego minorile furono avanzate giustificazioni di origine sociale e morale:

l’attività precoce era vista come unica alternativa al vagabondaggio all’abbandono dei minori da

parte delle famiglie. In realtà però i progetti di riforma e le ipotesi di limitazione dell’impiego dei

minori furono ostacolate dagli imprenditori, a parte rari casi. Solo in data 19 giugno 1902 il

Parlamento Italiano emanò un altro provvedimento per i minori, nel quale si elevava il limite di

assunzione a 12 anni, 13 o 14 per i lavori in miniera, a 15 i minori potevano fare qualsiasi tipo di

lavoro.

Durante il 900 il rapporto con il lavoro dei minori si andò differenziando secondo due filoni: i

bambini venivano sempre più allontanati dal lavoro (fabbriche, miniere, laboratori) a causa

dell’obbligo scolastico e del diverso atteggiamento delle famiglie nei confronti dell’istruzione;

mentre erano ora gli adolescenti e i giovani a essere sempre più votati all’attività lavorativa.

Ambiente culturale: Diffusione del romanzo e scrittori italiani del Verismo

Gli scrittori veristi italiani, nell’elaborare le loro teorie letterarie e nello scrivere le loro opere,

prendono le mosse, sia pur con sensibili divergenze, dal Naturalismo, che si afferma in Francia

negli anni Settanta. Il retroterra culturale filosofico del Naturalismo è il Positivismo, quel

movimento di pensiero che si diffonde a partire dalla metà dell’Ottocento ed è l’espressione

ideologica della nuova organizzazione industriale della società borghese e del conseguente sviluppo

della ricerca scientifica e delle applicazioni tecnologiche, che porta al rifiuto di ogni visione di tipo

religioso, metafisico o idealistico e alla convinzione che tutto il reale sia un gioco di forze materiali,

fisiche, chimiche, biologiche, regolate da ferree leggi meccaniche spiegabili scientificamente.

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Nel secondo Ottocento il romanzo diviene anche in Italia il genere più diffuso e più amato dai

lettori. Il pubblico letterario è quasi essenzialmente composto da lettori di opere narrative. Il

romanzo soppianta così la lirica, che nel primo Ottocento, nonostante la comparsa del nuovo

genere, era ancora considerata il genere più alto e prestigioso. Perciò il dispregio in cui era tenuto il

romanzo, giudicato genere inferiore per ragioni retoriche e moralistiche, è ormai del tutto superato.

Anzi, ora gli scrittori lo considerano il genere per eccellenza della nuova età, lo strumento migliore

per esprimere le esigenze artistiche attuali (così si esprimono Capuana, D’Annunzio, Fogazzaro).

Le ragioni di questo trionfo del romanzo sono evidenti:

 Poiché è l’espressione più tipica della civiltà borghese, non può mancare la sua piena

affermazione nell’età in cui l’Italia si avvia a uno sviluppo moderno;

 Il romanzo, per argomenti, meccanismi compositivi, linguaggio, è il genere che meglio

risponde alle esigenze del pubblico dei lettori comuni, che si è venuto sempre più

ampliando, rispetto alla prima metà del secolo;

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