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Introduzione Autori su questa fotografia sulla realtà, tesina
Durante il concepimento di questa tesina di maturità, ho sempre tenuto a mente una cosa di fondamentale importanza nella stessa stesura: non una serie di argomenti, bensì la valutazione di un sentimento. Un pensiero, un discorso, un saggio che fosse unito dal suddetto sentimento, capace di far intuire la natura dell'argomento centrale, filo conduttore del discorso e delle sue ramificazioni. In effetti è così che lo intendo io: mi sembra che il relativismo conoscitivo sia il sentimento di cui l'uomo dovrebbe essere armato. Durante il corso di questi anni, nei tempi scolastici e non, i concetti e le certezze che davo per scontati si sono rivelati essere incerti e, in una nuova veste, sorprendenti. E, (in apparenza) paradossalmente, questa consapevolezza è arrivata proprio dallo studio e dall'addensarsi di nuove conoscenze. Che io abbia memoria, il primo grande maestro a farmi partecipe di questo sentimento è stato Galileo Galilei. La semplicità dei suoi scritti, filosofici e scientifici, è impressionante. La morbidezza e insieme le spigolosità delle sue parole, sconcertante. Ricordato per aver appoggiato la tesi copernicana, e aver condotto nuove sperimentazioni scientifiche, gli si nega troppo facilmente la dote letteraria e filosofica, che pure risulta evidente. Faccio riferimento al testo "La favola dei suoni" tratto dal Saggiatore, irriverente scritto galileiano probabilmente alla base del metodo scientifico, che ha influenzato enormemente il mio punto di vista: "Parmi d'aver per lunghe esperienze osservato, tale essere la condizione umana intorno alle cose intellettuali, che quanto altri meno ne intende e ne sa, tanto più risolutamente voglia discorrerne; e che, all'incontro, la moltitudine delle cose conosciute ed intese renda più lento ed irresoluto al sentenziare circa qualche novità". Meraviglioso. E' tutto qui. Tramite degli esempi volutamente banali presenti nella favola, Galilei afferma come l'accumularsi di conoscenze destinate a rivelarsi relative sia la più grande lezione d'umiltà possibile, contro la presunzione intellettuale (ossimoro voluto) di assolutizzare le proprie poche conoscenze; questo infatti porterebbe 5 all'interruzione della ricerca. A questo proposito, anche Giacomo Leopardi esprime parole di grande "affetto" nei confronti di Galilei, in una annotazione dello Zibaldone: "Non so se io m’inganno, ma certo mi par di scorgere nella maniera sì di pensare sì di scrivere del Galileo un segno e un effetto del suo esser nobile. Quella franchezza e libertà di pensare, placida, tranquilla, sicura e non forzata, la stessa non disaggradevole e nel tempo stesso decorosa sprezzatura del suo stile, scuoprono una certa magnanimità, una estimazione e fiducia lodevole di se stesso, una generosità d’animo, non acquisita col tempo e la riflessione, ma quasi ingenita". L'importanza, poi, di parlare del relativismo conoscitivo in un periodo storico in cui tale sentimento sembra non avere assolutamente rilievo, mi sembra evidente. Il motivo è da addurre alla volontà delle masse sociali di racchiudersi nelle certezze e nelle convinzioni usuali, in modo da non lasciarsi scandalizzare (Pasolini li avrebbe definiti "moralisti"). E questo probabilmente perché, in generale, si tende a porre in primo piano la sicurezza delle proprie idee, ma anche dei propri comportamenti, senza lasciarsi nemmeno sfiorare dall'idea che questi potrebbero essere discutibili, quanto meno. Lo stesso Pasolini, in un'intervista del 1961 afferma: "A questa antropologia del vincente, preferisco di gran lunga chi perde. È un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco".
Collegamenti
Autori su questa fotografia sulla realtà, tesina
Italiano: Galilei, Leopardi, Svevo, Pirandello, Calvino.
Storia: Il Positivismo (seconda rivoluzione industriale e imperialismo).
Scienze naturali: La teoria della Panspermia.
Fisica: La Relatività einsteiniana.
Matematica: Le geometrie non euclidee.
Storia dell'arte: Maurits Cornelis Escher.
Inglese: Joyce e i Dubliners.
Filosofia: Popper e Cusano.
Premessa
Durante il concepimento di questo lavoro, ho sempre tenuto a mente una cosa di
fondamentale importanza nella stessa stesura: non una serie di argomenti, bensì la
valutazione di un sentimento. Un pensiero, un discorso, un saggio che fosse unito dal
suddetto sentimento, capace di far intuire la natura dell'argomento centrale, filo
conduttore del discorso e delle sue ramificazioni. In effetti è così che lo intendo io: mi
sembra che il relativismo conoscitivo sia il sentimento di cui l'uomo dovrebbe essere
armato. Durante il corso di questi anni, nei tempi scolastici e non, i concetti e le
certezze che davo per scontati si sono rivelati essere incerti e, in una nuova veste,
sorprendenti. E, (in apparenza) paradossalmente, questa consapevolezza è arrivata
proprio dallo studio e dall'addensarsi di nuove conoscenze.
Che io abbia memoria, il primo grande maestro a farmi partecipe di questo
sentimento è stato Galileo Galilei. La semplicità dei suoi scritti, filosofici e scientifici, è
impressionante. La morbidezza e insieme le spigolosità delle sue parole,
sconcertante. Ricordato per aver appoggiato la tesi copernicana, e aver condotto
nuove sperimentazioni scientifiche, gli si nega troppo facilmente la dote letteraria e
filosofica, che pure risulta evidente. Faccio riferimento al testo "La favola dei suoni"
tratto dal Saggiatore, irriverente scritto galileiano probabilmente alla base del
metodo scientifico, che ha influenzato enormemente il mio punto di vista: "Parmi
d'aver per lunghe esperienze osservato, tale essere la condizione umana intorno alle
cose intellettuali, che quanto altri meno ne intende e ne sa, tanto più risolutamente
voglia discorrerne; e che, all'incontro, la moltitudine delle cose conosciute ed intese
renda più lento ed irresoluto al sentenziare circa qualche novità". Meraviglioso. E'
tutto qui. Tramite degli esempi volutamente banali presenti nella favola, Galilei
afferma come l'accumularsi di conoscenze destinate a rivelarsi relative sia la più
grande lezione d'umiltà possibile, contro la presunzione intellettuale (ossimoro
voluto) di assolutizzare le proprie poche conoscenze; questo infatti porterebbe
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all'interruzione della ricerca. A questo proposito, anche Giacomo Leopardi esprime
parole di grande "affetto" nei confronti di Galilei, in una annotazione dello Zibaldone:
"Non so se io m’inganno, ma certo mi par di scorgere nella maniera sì di pensare sì di
scrivere del Galileo un segno e un effetto del suo esser nobile. Quella franchezza e
libertà di pensare, placida, tranquilla, sicura e non forzata, la stessa non
disaggradevole e nel tempo stesso decorosa sprezzatura del suo stile, scuoprono una
certa magnanimità, una estimazione e fiducia lodevole di se stesso, una generosità
d’animo, non acquisita col tempo e la riflessione, ma quasi ingenita".
L'importanza, poi, di parlare del relativismo conoscitivo in un periodo storico in cui
tale sentimento sembra non avere assolutamente rilievo, mi sembra evidente. Il
motivo è da addurre alla volontà delle masse sociali di racchiudersi nelle certezze e
nelle convinzioni usuali, in modo da non lasciarsi scandalizzare (Pasolini li avrebbe
definiti "moralisti"). E questo probabilmente perché, in generale, si tende a porre in
primo piano la sicurezza delle proprie idee, ma anche dei propri comportamenti,
senza lasciarsi nemmeno sfiorare dall'idea che questi potrebbero essere discutibili,
quanto meno. Lo stesso Pasolini, in un'intervista del 1961 afferma: "A questa
antropologia del vincente, preferisco di gran lunga chi perde. È un esercizio che mi
riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco". 5
Introduzione
Generalmente per relativismo conoscitivo si intende una posizione che tende a
sottolineare l’esistenza di diversi punti di vista e specificare l’importanza della
prospettiva adottata nello studio di un qualsiasi oggetto o fenomeno. Per quanto mi
riguarda, se mal interpretato, questo sentimento può portare ad una visione
nichilista; addirittura, se non tenuto in considerazione, ad una presunzione temibile e
assolutizzante. Proprio quest'ultimo aspetto della cultura, che si forma nella visione
antropocentrica del mondo, è facilmente rintracciabile in diversi periodi storici; e non
sfugge, a mio parere, l'età contemporanea.
Il positivismo e l’imperialismo
Da quello che mi risulta però, il massimo esempio in cui lo sviluppo del sentimento
contrario al relativismo ha raggiunto un apice disastroso riguarda il periodo del
positivismo. Mi riferisco in particolare all'epoca che corre dalla rivoluzione industriale
del 1873 all'imperialismo sfrenato che pone le basi per i due conflitti mondiali del XX
secolo. È evidente come in questa fase della 'nostra' storia il sentimento contrario,
introdotto sopra, plasmi gli eventi catastrofici che contraddistinguono la civiltà
umana. La "Grande Depressione", 1873-1896, che alternava periodi di recessioni con
altri di ripresa, e che tanto spaventò gli operatori economici dell'epoca, in realtà
portava con sé un intenso processo di espansione e di modernizzazione
dell'economia, con trasformazioni qualitative assolutamente rivelanti. Si può
affermare che la globalizzazione, come la conosciamo oggi, prenda forza proprio
durante questa fase. L'intervento del "potere pubblico" e l'intreccio sempre più
stretto fra scienza e tecnica mutarono inevitabilmente la forma del capitalismo. Chi in
questa fase sperava l'avverarsi della profezia marxista, dovette ricredersi. Il
capitalismo, ahimè, prendeva una forma ancora peggiore: si passò infatti da un
regime economico di tipo concorrenziale ad uno monopolistico. Chiaramente, come
temibile conseguenza, il rapporto tra potere economico e potere politico si intrecciò
maggiormente. È in tale contesto che si colloca l'imperialismo. Questo fenomeno è
6
definito in realtà policausale: a fianco alle motivazioni economiche infatti era
presente l'ideologia di massa nota come "nazionalismo", accompagnata dal
diffondersi di una mentalità che dava per scontata l'esistenza di una superiorità
razziale. Da un punto di vista sociologico, tale concezione coinvolge i ceti intermedi e
quelli popolari, risultando uno strumento efficacissimo di coesione e mobilitazione
nell'opera di nazionalizzazione delle masse svolta da tutti gli stati europei nel tardo
Ottocento. Il conflitto dunque è visto come una fase di progresso e di costruzione di
una società nuova, in linea con il darwinismo sociale imperante.
L'imperialismo portò quindi alla costruzione, da parte delle potenze europee, di
imperi coloniali estesi alla maggior parte del pianeta. Rispetto al colonialismo, il
fenomeno imperialista fu accompagnato da un carattere nuovo di conquista militare
e politica, finalizzato al dominio di intere regioni. Questo tipo di espansionismo si
sviluppò specialmente in Asia e in Africa; è in quest'ultimo continente però che la
spartizione territoriale risultò particolarmente disumana e dagli aspetti
evidentemente terribili e strazianti.
Generalmente si usa l'espressione Scramble for Africa, il cui suono già lascia
immaginare lo "sminuzzamento" del continente africano. Punto di svolta fu la
"Conferenza di Berlino" presidiata da Bismark nel 1884, che sancì il principio
dell'occupazione di fatto, per evitare eventuali discussioni create da spartizioni
"operate sulla carta geografica":
in poco più di dieci anni, l'Africa
risultava spezzettata sotto
dominazioni straniere per
almeno il 90% del suo territorio.
Vignetta satirica italiana sulla spartizione affannosa della
“torta” africana. 7
"Su una realtà complessa e multiforme come quella dell'Africa precoloniale, gli
europei calarono la "griglia" di una geografia politica che non rifletteva realtà etniche
e storiche, ma i limiti, raggiunti o potenziali, della conquista di una certa aerea. Il
risultato è evidente: stati totalmente artificiali, senza alcun riguardo per i preesistenti
radicamenti culturali, territoriali o
etnici, che molto spesso venivano
divisi e separati dai nuovi confini.
Sta qui una delle cause principale
1
della loro perdurante debolezza" .
Cartina politica dell’Africa
La Regina Vittoria si è “mangiata” il mondo
(Stampa satirica di fine ‘800)
1: Un continente diviso "a tavolino", La città della storia 2, Dall'Antico regime alla società 8
di massa, M. Fossati, G. Luppi, E. Zanette, 2012, Pearson Italia, Milano - Torino
È l'estremizzazione della cultura antropocentrica. L'uomo al centro di tutto appunto,
in cui tutto ciò che non tocca direttamente il "dominatore" non ha alcuna
importanza. È un'evidenza enorme questa, e il genere umano, specialmente la parte
che si è voluta fare portatrice di civiltà, non riesce ancora a guardarla in faccia, nella
sua concreta disumanità. È la cultura del più forte, contro cui bisogna combattere, la
cultura delle verità assolute e assolutizzanti. Esaltazione della pura forza, che
"svaluta il cervello", le qualità intellettuali, ritenute inutili se non dannose nel
meccanismo della lotta per l'esistenza.
A proposito si esprime Italo Svevo nel suo primo
romanzo "Una vita", facendo parlare così il
"lottatore" Macario, tanto capace ad affrontare
la vita: "Quanto poco cervello occorre per
pigliare pesce! Il corpo è piccolo. Che cosa sarà la
testa e che cosa sarà poi il cervello? Quantità da
negligersi! Quello ch'è la sventura del pesce che
finisce in bocca del gabbiano sono quelle ali,
quegli occhi, e lo stomaco, l'appetito formidabile
per soddisfare il quale non è nulla quella caduta
così dall'alto. Ma il cervello! Che cosa ci ha da
Italo Svevo
fare il cervello col pigliar pesci? e lei che studia, che passa ore intere a tavolino a
nutrire un essere inutile! Che non ha le ali necessarie quando nasce non gli crescono
mai più". Chiaramente ironico e contrario a tale cultura, Svevo la riconosce e riesce
ad esprimerla in tutti i suoi romanzi. 9
L’osservazione dell’universo
Nel mio processo di difesa contro l'assolutizzazione delle conoscenze e
l'antropocentrismo (due facce della stessa medaglia), la materia di studio, ma prima
ancora di interesse, fortemente influenzante, è stata l'astronomia. È in realtà da poco
tempo che mi sono avvicinato a queste conoscenze, ma le ritengo necessarie per
acquisire facilmente il sentimento principe di questo discorso.
A questo proposito, due cose mi hanno colpito in particolar modo: la prima riguarda il
curioso "esperimento" condotto da Neil deGrasse Tyson, famoso astrofisico
americano contemporaneo. L'esperimento occupa la prima puntata di una serie-
documentario chiamata Cosmos: A Space-time Odyssey, in onore della vecchia serie
Cosmo di Carl Sagan, suo maestro: Neil deGrasse Tyson
"L'universo ha circa tredici miliardi di anni. Proviamo a comprimere tutto questo
tempo nel calendario di un solo anno. 10
Su tale scala, ogni mese equivale a circa un miliardo di anni e ogni giorno a circa
quaranta milioni di anni. Risaliamo al primo istante del 1° Gennaio del nostro "anno
cosmico": il Big Bang, il momento più lontano nel tempo che possiamo trovare, per
ora. Lo spazio, condensato in un punto grande quanto un atomo si espande in una
gigantesca esplosione [...]. La nostra galassia, la Via Lattea, si forma il 15 Marzo. Ma
non il nostro Sole... bisognerà aspettare il 31 agosto del calendario cosmico. La vita
sulla Terra nasce il 21 Settembre. Il 9 novembre la vita respira, si muove, mangia,
interagisce con l'ambiente. Il 17 Dicembre la vita prende il volo, s'avventura sulla terra
ferma. Foreste, dinosauri, uccelli, insetti si sono tutti sviluppati nell'ultima settimana
di Dicembre. Il primo fiore sboccia il 28 Dicembre. Sono le 6.24 del 30 Dicembre sul
calendario cosmico e i dinosauri vengono sterminati con ogni probabilità dal violento
impatto di un asteroide sulla superficie terrestre. È un ottimo esempio della estrema
casualità della natura aleatoria dell'esistenza. La civiltà umana si evolve nell'ultima
ora dell'ultimo giorno dell'anno cosmico. Sono le 23.59:46. Tutta la storia conosciuta
occupa solo gli ultimi quattordici secondi del 31 Dicembre nel nostro particolare
calendario."