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Filosofia: Schopenauer
Studi scientifici in campo antropologico e psicologico
riconosce il linguaggio. Il popolo e i non intendenti sono assuefatti a melodie con poche regole
determinate e che variano da luogo a luogo, da cui si origina la diversità di gusti musicali. Anzi, se
gli esperti cadono nel tranello dell'eccessivo tecnicismo finiscono per comprendersi solo tra di loro
e viene a perdersi l'universalità della musica ed anche la variabilità di giudizio.
Verso la fine della sua trattazione, facendo l'esempio di se stesso, arrivato tardi a rivolgere i
suoi interessi verso la musica, sostiene che si possa arrivare al “giusto mezzo”, ovvero il popolo e i
non intendenti possono essere gradatamente educati ad estendere la loro assuefazione e diventare
così “mezzi intendenti”: essi possono portare avanti a piccoli passi lo sviluppo creativo dell'arte
musicale senza perdere di vista la componente popolare che ne è alla base.
Infine, fa una sua propria osservazione: egli nota che pur ascoltando una musica allegra non
si provi vera gioia, nemmeno nell'intimo, ma che il sentimento suscitato è la malinconia, una
malinconia dolce che spinge a chiudersi in sé, a “rannicchiarsi” e tanto più forte è l'effetto della
musica tanto più forte è la malinconia. Essa serve di consolazione alle proprie sventure, e ne è la
cura più efficace; consola muovendo al pianto anche l'uomo più forte. Un pianto di piacere, di
delizia così intensa da assomigliare al dolore.
La musica non è imitazione della natura, è autonoma da condizionamenti materiali, essa
esprime se stessa, immergendo l'ascolatore in un abisso confuso di innumerevoli sensazioni
puramente spirituali ed immateriali come è immateriale l'elemento che le dà origine: il suono.
In campo filosofico, e più o meno nello stesso periodo, anche se verosimilmente non ci sono
stati contatti diretti tra i due autori, si è occupato dell'argomento anche Schopenauer (3), che
asserisce essere la musica arte staccata tutte le altre arti perché diretta espressione del “wille”, la
volontà, intesa come la forza che dà all'universo il potere di esistere e che, unica sostanza di tutti i
fenomeni, va oltre l'aspetto fenomenico. La musica pertanto non è immagine delle idee, ma
immagine della volontà stessa e perciò il suo effetto è più potente delle altre arti, in quanto essa ci
dà l'essenza e non il riflesso del “wille”.
Schopenauer paragona la parte più grave della melodia, che egli chiama “basso
fondamentale”, alla materia bruta che è alla base della volontà che si oggettiva; dal basso
fondamentale si procede, attraverso gli armonici con esso risonanti verso le parti più elevate, al
sommo delle quali è la voce che canta, in una progressione che richiama quella, con cui fa il
paragone, del mondo inorganico che procede con organizzazione via via più complessa attraverso
quello vegetale e quello animale ed arriva all'uomo; così come l'uomo, in virtù della ragione, può
fare un cammino vitale consapevole, la melodia riconosce l'intera scala delle idee in cui si oggettiva
la volontà, guida e connette il tutto formando un pensiero unico e ben delineato. Nel paragone che
egli fa tra la musica e la condizione umana, così come in quest'ultima vi è l'alternarsi tra il desiderio
di qualcosa, che ingenera sofferenza solo momentaneamente lenita dall'appagamento determinato
dalla soddisfazione del bisogno, in quanto subentra nuovo desiderio e nuova sofferenza , nella
musica l'essenza della melodia è un continuo discostarsi dal tono fondamentale verso vari gradi
armonici per tornare infine al tono fondamentale, che esprime appagamento.
Come più rapidamente avviene il passaggio dal desiderio all'appagamento e da questo ad un
nuovo desiderio e maggiore è la felicità ed il benessere, analogamente sono gioiose le melodie
rapide e semplici, mentre tristi sono quelle lente, con dissonanze, facenti ritorno al tono
fondamentale solo dopo molte battute, come quando un desiderio contrastato tarda ad essere
appagato e quindi genera sofferenza ed aspirazione vuota di senso.
Essendo la musica non espressione ma intimo essere della volontà stessa, non esprime
questa o quella determinata gioia, serenità , tristezza, dolore, ma La gioia, La serenità ecc. in se
stessi , nella loro essenzialità, quindi senza i loro motivi d'essere. La nostra fantasia eccitata cerca di
impersonare questo “mondo di spiriti” che viene evocato, volendogli dare corpo. Ma la musica
esprime la quintessenza della vita e dei suoi eventi, non il loro fenomeno. E' questo che le dà
l'universalità, che a lei sola appartiene, l'alto valore per cui Schopenauer la definisce “panacea di
tutti i mali”.
Moltri altri Autori hanno scritto nel corso dei secoli sul rapporto tra musica ed emozioni, ma
solo in tempi relativamente recenti il problema è stato affrontato in modo scientifico, nel tentativo
di dare una risposta oggettiva al perché, come è da tempo noto, la musica è capace di fr emergere
sensazioni sostanzialmente analoghe indipendentemente dalla formazione culturale dell'ascoltatore.
Vorrei di seguito riportare alcuni studi che si sono occupati dell'argomento.
Nel 1999 uno studio della York University di Toronto, Canada (5) ha investigato il grado di
riconoscimento da parte di 30 ascoltatori occidentali non avvezzi all'ascolto di tale musica delle
sensazioni trasmesse in 12 brani di “raga” dell'Indostan. Sono questi componimenti musicali ideati
specificamente per indurre nell'ascoltatore un “rasa”, o sentimento basale (gioia, tristezza, rabbia o
senso di pace). Agli ascoltatori, oltre al quesito su quale fosse il sentimento percepito, fu chiesto di
dare un giudizio su 4 variabili psicofisiche: tempo, complessità ritmica e melodica, variazione del
picco tonale, che in quanto ricadenti nell'esperienza comune possono essere apprezzate
indipendentemente dalla cultura musicale generale e dall'esperienza specifica di un dato sistema
tonale, e ciò per correlare se tali variabili contribuissero alla percezione di una specifica emozione
assocoata al brano ascoltato. I risultati misero in evidenza la capacità degli ascoltatori occidentali di
identificare le sensazioni di gioia, tristezza e rabbia, e queste mostrarono correlazione con le
variabili psicofisiche nel senso che, ad esempio, tempi più veloci furono associati a sentimenti di
gioia e più lenti di tristezza, confermando le conclusioni di precedenti studi. Brani giudicati
ritmicamente e melodicamente più complessi vennero associati a sensazioni negative come rabbia e
tristezza, mentre le melodie e i ritmi più semplici vennero valutati come espressione di gioia e pace.
Le conclusioni dello studio furono che, anche in assenza di riferimenti culturali specifici,
l'identificazione delle sensazioni trasmesse da un brano musicale era possibile e correlata alle
variabili psicofisiche.
A questo proposito, e con particolar riguardo all'altezza del suono, cioè alla sua frequenza in
Hz uno studio del 2009 edito dal MIT (6) cercò di rispondere al perché, pur nella infinita gamma di
sistemi tonali, cioè nella possibilità di dividere un intervallo cosidetto di “ottava”(cioè una
frequenza e la sua armonica doppia) in infiniti gradi, la grande maggioranza delle culture ha optato
per una scala musicale pentatonica od eptatonica, rinunciando alle maggiori possibilità espressive di
scale con un maggior numero di toni. La conclusione fu che, al diminuire del numero dei toni in una
scala, aumenta la correlazione con una serie armonica, rendendola più “naturale” e gradita
all'ascolto, ma che la riduzione del numero dei toni aumenta gli intervalli in frequenza tra di essi
rendendone più difficile e faticosa l'esecuzione, specie con il canto. Pertanto le scale penta- ed
eptatoniche rappresentano un ragionevole compromesso tra la necessità di fruire di una ampia
tavolozza di suoni, la facilità esecutiva e il desiderio di avvicinarsi per quanto possibile ad una serie
armonica naturale.
Un recente studio americano del 2011 (7) ha suggerito che, mentre l'uso di intervalli tonali
discreti sembra essere prerogativa comune della maggior parte delle tradizioni culturali musicali, la
variazione di tali intervalli sembra essere specifica, ipotizzando che le caratteristiche tonali di una
certa cultura musicale e la preferenza di essa riguardo ad altri tipi di espressione musicale siano
correlate con quelle del linguaggio di tale cultura. Questo assunto è basato sul fatto che sia
l'espressione musicale che la prosodia del linguaggio veicolano emozioni, e che il linguaggio
parlato è, in tutte le culture, la principale fonte di variazioni tonali, e in quanto tale probabilmente
anche fonte di ispirazione per le variazioni musicali. A tale proposito sono stati messi a confronto
gli intervalli tonali tipici della musica tradizionale e del linguaggio di tre culture con linguaggio
tonale (in cui l'altezza in frequenza della espressione verbale definisce il significato di essa, con ciò
permettendo più interpretazioni di una stessa espressione in base all'altezza del suono con cui viene
pronunciata: cinese mandarino, Thai e vietnamita), con quelli della musica tradizionale e del
linguaggio di tre culture a linguaggio non-tonale: tedesco, angloamericano e francese. Le
conclusioni dello studio hanno sottolineato che le variazioni tonali sono più ampie e più frequenti
nella musica delle culture a linguaggio tonale, così come nel discorso, suggerendo che le preferenze
legate alla musica della propria cultura siano in realtà determinate dalle caratteristiche degli
intervalli tonali della lingua parlata.
In ultimo riferisco su un basilare studio multicentrico del 2009 (1) che si è focalizzato sulla
capacità di riconoscimento reciproco di tre emozioni basali (gioia,tristezza, timore) associate a brani
musicali strumentali della tradizione occidentale da parte di individui appartenenti a due culture
profondamente diverse e del tutto ignari delle rispettive forme musicali. Sono stati selezionati due
gruppi ciascuno di circa 20 individui, paragonabili per sesso ed età, il primo composto da ascoltatori
occidentali ed il secondo da indigeni Mafas dell'alto Camerun che vivono in condizioni pre-
industriali in una località molto isolata, la cui esistenza è nota solo ad un limitato numero di
antropologi.
Sorprendentemente, il riconoscimento delle emozioni espresse dai brani musicali è risultato
elevato e simile in entrambi i gruppi, ben al di là di una variazione determinata dal caso, ed
entrambi i gruppi d'ascolto facevano inoltre riferimento alle caratteristiche tonali e temporali dei
brani in relazione al significato emotivo; in particolare i Mafas tendevano a classificare i brani con
tempo più rapido come allegri, più lenti come inquietanti, mentre non vi era correlazione in
rapporto al tempo con i brani definiti tristi. Ambedue i gruppi tendevano a classificare i brani in
modo maggiore come allegri, quelli in modo atonale come tristi e la maggior parte di quelli in modo
minore come allarmanti.
E' stato inoltre eseguito un ulteriore esperimento modificando brani musicali originali di
entrambe le culture per mezzo di artifici elettronici che ne aumentassero la complessità e le
dissonanze e presentando agli ascoltatori di entrambi i gruppi i brani originali e di seguito quelli
modificati, chiedendo di esprimere una preferenza; in entrambi i gruppi vennero indicati come più
gradevoli i brani originali rispetto a quelli modificati.
In conclusione, questi studi confermano la valenza prettamente emotiva e in quanto tale
universale del linguaggio musicale, al di là di ogni suo contenuto semantico, ponendolo in rapporto
con la prosodia nel linguaggio parlato che è stato dimostrato essere comprensibile nei suoi contenuti
emotivi anche a culture con linguaggi del tutto diversi dal punto di vista strutturale e linguistico. E'
verosimile che questa qualità della musica derivi proprio dall'analogia di essa, in quanto elemento
fortemente legato all'espressività dell'esecutore, con la prosodia; molte forme di teatro, ad esempio,