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Introduzione Tesina Amore e Morte
La seguente tesina di maturità descrive il tema di amore e morte. La tesina permette di effettuare i seguenti collegamenti: italiano: Pascoli; Storia: la storia d'amore tra Mussolini e Clara Petacci; latino: Plinio il giovane; inglese: Whutering Heights; Storia dell'arte: La donna vampiro di E. Munch; Filosofia: S. Freud; Pedagogia: La filosofia della morte: Gentile e La filosofia dell'amore: Don Milani; matematica: La derivata e il rapporto incrementale e Biologia: Cuore.

Collegamenti
Tesina Amore e Morte
Italiano-Pascoli.
Storia: La storia d'amore tra Mussolini e Clara Petacci.
Latino: Plinio il giovane.
Inglese: Whutering Heights.
Storia dell'arte: La donna vampiro di E. Munch.
Filosofia:S. Freud.
Pedagogia: La filosofia della morte:Gentile/La filosofia dell'amore: Don Milani.
Matematica: La derivata e il rapporto incrementale.
Biologia: Cuore.
Introduzione
L’amore è l’unico sentimento che ci permette ancora di definirci superiori agli
animali, è l’unica forza davanti a cui anche la ragione si ferma e lascia libero spazio a
noi stessi per seguire ciò che sentiamo davvero.
Però esso coincide spesso con una passione tanto forte quanto più improvvisa. La sua
violenza è tale che per amore si è disposti anche a morire e compare quindi il legame
con la morte .
La divaricazione tra Eros e Thanatos risiede nel fatto che la morte è impensabile,
mentre l’amore è fatto di pensieri, ricordi e immagini del vissuto affettivo.
Perché il pensiero umano antico contrapponeva Eros a Thanatos? In teoria,
l’opposizione non è tra l’Amore e la Morte, ma tra la vita e la morte. Essi
rappresentano gli impulsi creatori e distruttori del mondo. Il primo impulso è il
Desiderio, universale e cosmico, che attrae gli elementi e che spinge la Natura a dare
i suoi frutti. Il secondo è la tendenza alla disgregazione degli elementi.
Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli nasce a San Mauro di Romagna (Forlì) il 31
dicembre 1855. La sua infanzia, inizialmente felice, subisce
un’importante svolta quando muore il padre Ruggero,
assassinato durante il suo ritorno dalla fiera di Cesena, il 10
agosto 1867. Da qui inizia la sua esistenza travagliata, che
finisce il 6 aprile 1912, a Bologna, quando muore di cancro.
L’intero percorso del suo pensiero si basa sul ritorno al nido del
fanciullino. Nel nido egli ritorna alla sua infanzia, nel periodo
in cui il padre era ancora vivo.
Infatti, il nido è per Pascoli un
rifugio. Questa è la prospettiva della
“regressione”, che scaturisce a partire dalla morte del
padre. L’anno seguente muoiono la sorella Margherita e la
madre, e successivamente i fratelli Luigi e Giacomo.
Perciò la responsabilità di capofamiglia viene affidata allo
stesso Pascoli, mentre continua a peggiorare la situazione
economica. Dopo il dramma familiare Pascoli ha un
progressivo atteggiamento di rinuncia accompagnato dalla
volontà di poter ricostruire, in altra forma, il nido familiare
distrutto dal destino, e ricercare in questo una difesa e una
protezione.
Uno dei problemi principali della vita di Pascoli è quello dell’amore, della donna, del
matrimonio: sono tre aspetti di un'unica condizione vissuta dall’autore come dramma.
Pascoli si presenta come un poeta “senza amore”, infatti non canta mai l’amore e la
donna. L’amore viene visto come tutto ciò che porta alla morte, quella morte che gli
ha tolto il padre e che è una condizione imprescindibile, l’atomo opaco del male. Le
figure femminili sono occupate solo dalle sorelle Ida e Maria. Successivamente solo
Maria, poiché Ida si sposerà.
“No, mia dolce Mariù, non sono sereno. Questo è l’anno terribile,
dell’anno terribile questo è il mese più terribile. Non sono sereno: sono
disperato. Io amo disperatamente angosciosamente la mia famigliola che
da tredici anni, virtualmente mi sono fatta e che ora si disfa, per sempre.
Io resto attaccato a voi, voi due, a tutte e due: a volte sono preso da
eccessi furiosi d’ira, nel pensare che l’una freddamente se ne va, come
se fosse la cosa più naturale del mondo, se ne va strappandomi il cuore,
se ne va lasciandomi impotente più a lavorare a pensare, se ne va
lasciandomi mezzo morto in mezzo alla distruzione de’ miei interessi,
della mia gloria, del mio avvenire, della mia casina, di tutto!”
Giovanni Pascoli
Pascoli, a differenza della sorella, non si sposerà mai poiché un vincolo cosi forte
viene inteso da lui come un atto di fiducia negli altri e nella vita, fiducia che non
mostra in nessun modo d’avere, mentre nello stesso tempo afferma che la scelta
matrimoniale coincide con un personale tradimento di quel nido che ha voluto
ricostruire. Perciò siamo davanti a un caso psicologico che ridimensiona il poeta: il
caso di una castità forzata, di sofferenza e ansia, fino ai limiti della nevrastenia .
“Ho vissuto senza amore, non per incapacità di amare ma perché mi
dovevo dedicare solo a voi […] Sarà nevrastenia, sarà autosuggestione,
sarà effetto della mia vita forzatamente casta e orribilmente mesta, ma
io posso certe ore, meglio certi giorni in cui mi pare di dover morire”
Giovanni Pascoli
Il gelsomino notturno
La poesia “Il gelsomino notturno” fu composta da G. Pascoli per le nozze
dell’amico Raffaele Briganti; vi è raffigurato il tema dell’unione dei due sposi e del
conseguente germogliare di una nuova vita ma è come se il poeta la scrivesse a se
stesso, perchè immagina di essere uno sposo senza esserlo. Cinque anni prima della
stesura della poesia era naufragato il suo progetto di matrimonio con la facoltosa
cugina riminese Imelde, ormai trentenne, figlia di Alessandro Morri. In questa
decisione influì pesantemente la sorella di Pascoli, Maria, che viveva con lui. Il poeta
cerca di vivere negli atti sessuali degli altri perché non riesce a viverla. Questa paura,
questo non voler accettare la sessualità e non riuscire a sposarsi, riesce a coinvolgere
anche la sorella Maria. Nei versi è presente una metafora sessuale delicatissima. Il
gelsomino notturno è fiore che si apre di notte e di giorno si chiude. Il simbolismo
pascoliano si esprime nel rapporto tra il fiore e la donna, il fiore fecondato grazie alle
farfalle notturne che ne trasportano il polline è metafora della donna resa madre
nell'unione con il compagno.
L’elemento della narrazione è affidato a delle immagini e il poeta coglie il mistero che
palpita nelle piccole cose della natura. Si accorge che la notte, quando tutto intorno è
pace e silenzio, vi sono fiori che si aprono e farfalle che volano. Una vita inizia quando
la vita consueta cessa. L’ora della vita notturna è anche un’ora di malinconia per il
poeta che prova un senso di esclusione.
Il binomio vita e morte è evidente nell’immagine dei fiori notturni e nel ricordo dei
familiari defunti, nelle farfalle crepuscolari simbolo sia di vita che di morte, nella
nascita dell’erba sulle fosse nell’urna, elemento funerario, metafora del ventre
femminile, generatore di nuova vita. I Gelsomini notturni, detti anche “le belle di
notte”, aprono i loro fiori al calar della sera
quando il poeta rivolge il pensiero ai suoi morti.
Il gelsomino notturno Anche le farfalle del crepuscolo iniziano il loro
volo nelle ore della notte tra i viburni, altrimenti
detti “palloni di neve”, perché fiori bianchi di
forma sferica.
E s'aprono i fiori notturni,
nell'ora che penso a' miei cari. Tutto tace: insieme alla notte è calato il
Sono apparse in mezzo ai viburni silenzio: solo in una casa ancora si veglia: i
le farfalle crepuscolari. rumori sommessi, che ne provengono, non
Da un pezzo si tacquero i gridi: turbano la pace notturna, paiono un bisbiglio di
là sola una casa bisbiglia. voci. Nel nido i piccoli dormono sotto le ali
Sotto l'ali dormono i nidi, della madre.
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala Dai calici aperti dei fiori di gelsomino esala un
l'odore di fragole rosse. profumo che fa pensare all’odore di fragole
Splende un lume là nella sala. rosse. Mentre nella casa palpita ancora la vita e
Nasce l'erba sopra le fosse. una luce splende nella sala, l’erba cresce sulle
Un'ape tardiva sussurra fosse dei morti.
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l'aia azzurra
va col suo pigolio di stelle. Un’ape, che si è attardata nel volo, trova tutte
Per tutta la notte s'esala occupate le cellette del suo alveare. La
l'odore che passa col vento. costellazione delle Pleiadi risplende nel cielo
Passa il lume su per la scala; azzurro e il tremolio della sua luce richiama alla
brilla al primo piano: s'è spento . . . mente l’immagine di una piccola chioccia
È l'alba: si chiudono i petali circondata dai suoi pulcini, intenti a pigolare.
un poco gualciti; si cova,
dentro l'urna molle e segreta, Per tutta la notte esala il profumo dei gelsomini
non so che felicità nuova. che il vento porta via con sé. La luce accesa
nella casa sale su per la scala, brilla al primo
piano e si spegne . E’ chiara l’allusione agli
sposi che si uniscono nell’oscurità.
Al sopraggiungere dell’alba si chiudono i petali
e il fiore “cova” “nell’urna molle e segreta”
“non so che felicità nuova”. Il poeta allude al
germogliare di una nuova vita nel grembo della
sposa, ora madre.
Analisi
La lirica si apre con un’immagine serale: mentre si schiudono i gelsomini notturni il
poeta rivolge il pensiero ai propri cari ed alcune falene compaiono tra i viburni. Il
silenzio regna sulla scena. Solo in una casa, ancora, si odono bisbigli. I bambini
dormono sotto la vigile protezione della madre. Un termine chiave appena accennato
rimanda ad un tema caro al poeta, ricorrente nelle sue opere: il nido.
Mentre la notte ed il silenzio avvolgono la scena, suggerendo l’idea di qualcosa che
sta avendo termine, altre forme di vita si risvegliano. I gelsomini notturni si aprono la
sera per richiudersi, poi, all’alba del giorno seguente. Dietro la corolla del fiore si
cela una metafora della sensualità femminile, introdotta così fin dal primo verso. Ma
il poeta rimane distaccato, quasi distante. Si sofferma quindi sui piccoli
particolari, come le farfalle notturne che, noncuranti del mondo circostante, volano
sui viburni.
Il profumo dei fiori sale dai calici aperti, ed è un profumo di "fragole rosse". Sembra
quasi che il poeta non voglia sottolineare che l’odore è di fragola, ma piuttosto che si
esala in virtù del fatto che le fragole sono di colore rosso (per questo è una "quasi"
sinestesia), il colore dell’amore e della passione. Poco distante, proprio nel luogo in
cui riposano i defunti, nasce una nuova, fragile vita: alcuni fili d’erba. Accanto alla
prima immagine, pervasa di sensualità e seduzione (il doppio senso è palese) emerge
il dramma interiore del poeta: l’associazione di amore e morte è stata interpretata dai
critici come una dimostrazione del senso di inferiorità, in quanto uomo, che sembra
provare Pascoli nei confronti dell’esperienza amorosa, poiché proprio la morte del
padre l’avrebbe impedito nel realizzare la propria esigenza d’amore.
Un’ape che si è attardata al volo giunge troppo tardi alle cellette dell’alveare e le
trova già tutte occupate. Esattamente allo stesso modo il poeta, di cui l’ape è chiara
metafora, rimane escluso dal mondo dell’amore. Il senso d’esclusione, tuttavia, viene
subito allontanato grazie all’immagine successiva: la costellazione delle Pleiadi
risplende nel cielo (l’aia azzurra), simile ad una piccola chioccia seguita dai suoi
pulcini, che procedono disordinati, simile al tremolio della luce stellare.
Per tutta la notte il vento porta con sé il profumo che si solleva dai gelsomini notturni.
Una luce, nella casa, sale al primo piano, poi si spegne. In quella luce che non c’è più
intuiamo l’intimità dell’atto d’amore tra i due sposi. Al sopraggiungere dell’alba i
petali si richiudono “un poco gualciti” e in quell’urna “molle e segreta” che è il
grembo materno è germogliata una nuova vita.
L a storia d’amore che portò alla
morte di Clara Petacci e Benito
Mussolini.
Clara Petacci detta Claretta è la donna che per amore
volle seguire Mussolini, duce del fascismo italiano, fino
alla tragica morte. Quando iniziò la loro relazione, nel
1932, lei era sposata con il tenente dell`aeronautica
Riccardo Federici, aveva al tempo vent`anni, mentre
Mussolini ne aveva trenta più di lei.
Il duce era sposato con Rachele Guidi (Donna Rachele)
ed aveva da poco concluso una lunga ed importante
relazione con Margherita Sarfatti (donna della
borghesia veneziana di origine ebrea); fu conquistato
dalle sincere insistenze della Petacci, che avrebbe poi
vissuto tutte le fasi finali della vita accanto a lui, nel
trionfo e nella disfatta. Nel suo destino era, infatti,
seguire fino all`ultimo, con fedeltà e dedizione, l`amato
"Ben" (locuzione derivata dal nomignolo con cui
chiamava il duce e che suscitò al tempo una cospicua produzione di facezie ed
amenità).