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La versione di Greco non è di Platone? Come stanno le cose

Un brano in linea con quanto appreso nel triennio ma di dubbia interpretazione. Proprio in questo momento i maturandi del Liceo Classico stanno svolgendo la seconda prova di Greco e sul web cominciano a circolare diverse indiscrezioni riguardanti la versione selezionata dal MIM.

Stando ai primi rumors, ovviamente targati Skuola.net, il brano “Minosse o della legge” consisterebbe in un dialogo scritto da Platone con protagonista Socrate. Secondo alcuni docenti di letteratura greca, però, le cose non starebbero proprio così.

Seconda prova Maturità, la versione di Greco non è attribuibile a Platone: la spiegazione dei docenti

Il primo ad avere avanzato diversi dubbi circa la potestà del brano è il Professore di Filologia Federico Condello. Secondo il docente, addirittura si tratterebbe di una versione non scritta da Platone e che per questo potrebbe trarre in inganno ragazze e ragazzi. A 'La Repubblica' il prof ha specificato: “Scegliere un Platone falso è davvero un guizzo di originalità un po' capricciosa che si poteva evitare. I ragazzi potrebbero faticare di fronte a certi passaggi del ragionamento di Socrate”. 

Più dettagliata, invece, la spiegazione fornita dal docente universitario Giuseppe Zanetto. Il Professore, titolare della cattedra di letteratura greca alla Statale di Milano, si è detto concorde nell'affermare che il dialogo possa non essere attribuito al padre del pensiero filosofico occidentale. Il brano di per sé non sarebbe insidioso ma presenta alcuni tratti critici. Per il docente il testo sarebbe attribuibile sì alla scuola platonica, ma non a Platone stesso. Più probabile, invece, che il brano sia stato scritto un discepolo della scuola platonica. L'inghippo sta proprio qui, secondo Zanetto, perché in questo modo gli studenti sarebbero portati ad approcciarsi alla versione secondo gli schemi della sintassi platonica. Ecco il commento che il docente ha rilasciato a 'Il Corriere della Sera':

“E' molto probabile che il breve dialogo intitolato Minosse, da cui è stato tratto il brano proposto ai maturandi 2024, sia in realtà un prodotto della scuola platonica. Evidentemente, si è voluto cercare un passo diverso da quelli assegnati nei compiti in classe e presenti nei libri di esercizi. Peraltro, la scelta non è stata infelice: è un greco scorrevole, ben comprensibile nel lessico e nell’impianto sintattico, chiaro nella linea concettuale. Una prova, quindi, non impervia, sicuramente alla portata di studenti che conoscano con sicurezza almeno i fondamenti del greco antico (come è giusto aspettarsi, in fondo, da chi l’ha studiato per cinque anni). 

Ed è un brano 'simpatico'. L’idea di fondo è chiara: tra gli antichi legislatori, tradizionalmente citati come maestri di saggezza, Minosse merita il primato, per il rapporto di stretta intimità che lo lega al padre Zeus. Il 'giro' di nomi e situazioni che anima il brano è molto evocativo: ispira memorie e citazioni, fornendo facile materia per un 'commento'. Minosse è personaggio ricorrente, nei testi letterari studiati al liceo. È il talassocrate ricordato da Tucidide nella Pentecontetia, il primo ad avere esercitato un pieno controllo dell’Egeo e delle Cicladi; è l’arcigno padre di Arianna e del Minotauro, riscossore spietato di un tributo annuo di carne umana dai poveri Ateniesi. Ma è anche il giovane eroe, bello e gentile, che approda a Ceo dopo la distruzione dell’isola (punita dagli dèi per l’empietà dei suoi primi abitanti) e unendosi a Dessitea dà vita a una nuova generazione di uomini, virtuosi e saggi. Gli studenti lo conoscono anche per il meraviglioso ditirambo di Bacchilide in cui è narrata la scena del suo diverbio con Teseo, a bordo della nave che trasporta a Creta i giovani destinati al Minotauro.

Con Radamanto e Eaco, Minosse compone la terna dei giudici inferi a cui si presentano gli iniziati ai Misteri: dal loro giudizio apprendono se sono degni di quella beatitudine che la religione misterica promette, dopo la morte, a chi ha vissuto in modo pio. È una scena, quella del giudizio delle anime, che troviamo nei 'miti' di Platone, ma anche nella poesia epigrammatica e nelle rappresentazioni vascolari. E poi Omero, naturalmente. Nel brano torna più volte il verbo poiéo (ποιέω), che significa 'fare, fabbricare', ma è il termine tecnico dell’attività poetica ('poeta' viene appunto di lì): ha sempre come soggetto Omero, che 'fa' – cioè compone – i personaggi e le scene. Viene citata la Nekyia, ossia la lunga scena del canto XI dell’Odissea in cui Odisseo / Ulisse va nella terra dei morti e incontra le anime dei trapassati. Un episodio di straordinaria suggestione, che ancora oggi ci emoziona profondamente. Un brano quindi, tutto sommato, che può rappresentare un’efficace sintesi di quello che i ragazzi hanno letto, studiato, tradotto nel loro percorso liceale."

Data pubblicazione 20 Giugno 2024, Ore 12:57
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