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Paura, percorso
Paura, percorso
arte: Nosferatu, cinema espressionista tedesco, espressionismo, kirchner, cinema
L’obiettivo, raggiunto o meno, dell’autore del frammento che abbiamo appena visto è quello
di fare paura. Ma che cos’è la paura? Forse la nostra più antica e potente emozione, quella
che ci garantisce le condizioni per sopravvivere e riprodurci, quindi ha una funzione positiva,
simile a quella della prudenza, che, in una visione tomistica, è una delle quattro virtù
cardinali. Allo stesso tempo, però, la paura è anche considerata in modo negativo, in quanto
contrario del coraggio, altra virtù fondamentale. A differenza di molte altre emozioni, la
paura non necessita per forza di uno stimolo sensoriale e non sempre è un riflesso oggettivo
della realtà delle cose. Sarebbe utile avere paura solo di ciò che è davvero insidioso, ma
spesso siamo noi stessi a trasformare in pericoloso ciò che temiamo. Ed è questo il motivo
per il quale, nel corso della Storia, persone incolpevoli sono state accusate o semplici teorie
condannate: solo perché mettevano in discussione il pensiero dominante, causando timore.
La paura, insomma, è diversa dalle altre emozioni, anche perché non si rivolge né al passato
né al presente, ma al futuro, alle azioni che potremmo compiere o a ciò che potrebbe
accadere, condizionando così il modo in cui ci comportiamo. Percepiamo la paura come
un’emozione sui generis, diversa da tutte le altre. Forse è questo il motivo per il quale molti,
me compresa, ne sono attratti. Ecco perché ho deciso di farne l’argomento introduttivo del
mio colloquio: nonostante la paura mi spaventi, allo stesso tempo in qualche modo mi attrae.
La paura umana si distingue da quella provata da altre specie, perché presenta un numero
illimitato di cause. Può spaventare anche qualcosa di futile o che non ci si aspetta come
causa di timore (ad esempio, c’è chi quando vede o sente una parola molto lunga è preso da
attacchi di panico) o anche da qualcosa che non ci riguarda direttamente, come assistere a un
incidente accaduto ad altri o a un pericolo virtuale. Ed è questo il caso dei film horror, che
pur essendo solo una finzione, spaventano lo spettatore.
Ma cos’è che ci fa paura in un film dell’orrore? Denominatore comune di questo genere è il
contrasto che si stabilisce fra Bene e Male all’interno dell’animo umano. Questo genere
cinematografico esprime attraverso le immagini gli aspetti più spaventosi della psiche
dell’uomo e indaga sulle fobie, le paure e le ossessioni che li hanno generati. La forza di
questo genere cinematografico è la rigorosa messinscena, studiata per suscitare paura e a
volte disgusto con l’uso di un campionario di mostri o personaggi folli, ma non basta.
Entrano allora in gioco una serie di espedienti tecnici per rendere la visione tutt’altro che
tranquilla: i luoghi sono in generale lugubri e semibui e spesso si fa ricorso alle luci di taglio
che creano ombre allungate e inquietanti. La colonna sonora ha grande importanza nel creare
un’atmosfera di tensione, con brani inquietanti, a cui si aggiungono improvvisi rumori come
tonfi o cigolii. La sorgente di questi suoni è esterna all’inquadratura, tecnica che crea nello
spettatore la sensazione di movimenti misteriosi che, proprio perché solo intuiti aumentano il
nervosismo. Spesso tra il soggetto inquadrato e la mdp vengono inseriti degli ostacoli (come
persone o auto) in modo da non permettere a chi guarda di seguire gli spostamenti di colui
che è osservato, che puntualmente comparirà alle spalle dell’osservatore, creando inevitabile
spavento nel pubblico.
Ciò che scatena la nostra paura fa leva su un sentimento innato, quindi il nostro cervello si
allarmerà quando assisterà ad una situazione pericolosa, anche se non è vissuta direttamente.
Ecco perché viene usato il buio: noi umani riponiamo molte delle nostre capacità nella vista,
per questo quando assistiamo ad una scena in cui il personaggio è avvolto dal buio, ci
aspettiamo che venga aggredito dal “nemico”. D’altra parte una scena dell’orrore girata in
piena luce o in una situazione con un completo campo visivo sarebbe persino ridicola.
Le vittime dei film horror sono di diversi tipi, per soddisfare la varietà di gusti degli
spettatori, ma sono tutti stereotipati: troviamo ad esempio l’intellettuale, l’atleta, il leader, il
criminale, la giovane donna indifesa. Secondo i canoni correnti, l’antagonista non viene
mostrato interamente nella prima parte della pellicola, ma viene solo avvertito sia dai
protagonisti che dagli spettatori, in una klimax di apparizioni fugaci o percezioni che
conducono alla rivelazione completa.
A differenza della letteratura, il cinema ha forse una maggiore resa in questo genere per la
capacità di mostrare ciò che fa paura, e quindi per l’immediatezza. Le numerose ripetizioni
del termine “mostro” in Frankenstein di Mary Shelley non reggono il confronto con il primo
piano della creatura nell’omonimo film del 1931 (James Whale). Sfruttando, inoltre,
specifiche tecniche di ripresa e montaggio si possono suscitare forti sensazioni in chi guarda.
La distanza fra spettatore e schermo si annulla del tutto fino a suscitare un’emozione reale,
facendo dimenticare al pubblico che si tratta solo di una finzione. Un esempio di tecnica di
ripresa che trasmette una sensazione diretta è la soggettiva: in questo caso la distanza
spettatore-personaggio viene annullata per trasmettere la percezione visiva del protagonista.
Si nota quindi una notevole differenza tra cinema e teatro nella possibilità di utilizzare
movimenti di camera e punti di osservazione differenti. Per sottolineare l’importanza dei
differenti punti di vista si può portare l’esempio del film Psycho (1960) di Alfred Hitchcock:
nella celebre sequenza dell’omicidio nella doccia, che dura circa 45 secondi, sono state usate
ben 72 diverse posizioni della macchina da presa. I dettagli, come la bocca della donna
aperta in un urlo di terrore e la mano della stessa dopo l’accoltellamento, trasmettono diverse
informazioni in pochi attimi. Grazie al montaggio, Hitchcock riesce a turbare lo spettatore
perché lo priva di una visione d’insieme della scena. Ma il film horror e i suoi soggetti non
sono sempre stati gli stessi: questo genere sfrutta sia paure universali, sia ansie specifiche di
una particolare epoca o cultura. Così vediamo proiettate sullo schermo paure che prendono
vita nell’inconscio collettivo allo stesso modo di timori più specifici, come gli alieni e le
mutazioni genetiche negli anni ’50, la contaminazione ambientale fra gli anni ’70 e ’80 o più
recentemente, dopo l’11 settembre 2001, le vacanze che si trasformano in incubo, come nel
film Rovine (2008).
Negli anni ’10 e ’20, periodo di cui andrò a parlare, il tema prediletto erano le creature
demoniache e malvagie come ne Lo studente di Praga o Il gabinetto del dottor Caligari, che
portano in scena l’intramontabile tema del doppio. Uno dei principali film di questo periodo,
nonché uno fra i primi film horror della storia del cinema è Nosferatu il vampiro, film muto
diretto da Friedrich Wilhelm Murnau e proiettato per la prima volta nel 1922. La trama è
liberamente ispirata a Dracula di Bram Stoker (1897). L’intenzione del regista era quella di
girare la trasposizione cinematografica del romanzo, ma la vedova Stoker gli negò i diritti
d’autore. Murnau dovette, quindi, modificare il titolo, i nomi dei personaggi (il Conte
Dracula diventa il Conte Orlok) e i luoghi, da Londra a Wisborg. Nonostante questi
accorgimenti, il regista fu denunciato dagli eredi dello scrittore, che sostenevano che la
storia, seppur con nomi diversi, fosse quella di Dracula. Murnau perse la causa per
violazione del diritto d’autore e fu condannato a pagare un risarcimento e a distruggere sia le
copie della pellicola, sia le locandine del film. Ma i vampiri sono celebri per la loro abilità di
ritornare in vita. Dopo la morte di Florence Stoker, si seppe che il regista aveva conservato
una copia di Nosferatu e vennero alla luce alcuni poster.
La collocazione spazio-temporale, a differenza di altri film dello stesso periodo, è precisa:
siamo in Germania nel 1838. Il giovane agente immobiliare Hutter viene incaricato di recarsi
in Transilvania per fare visita al Conte Orlok, che desidera acquistare una casa a Wisborg, la
cittadina sul Mar Baltico dove Hutter vive insieme alla moglie Ellen. Il Conte è uno strano
personaggio che vive in un sinistro castello seminando terrore fra gli abitanti del luogo.
Quando Orlok scorge la piccola foto della bella Ellen fra gli effetti personali di Hutter, ne
rimane colpito e non esita ad acquistare una casa esattamente di fronte a quella della giovane
coppia. L’agente presto scopre che Orlok è un nosferatu che semina morte e distruzione al
proprio passaggio. Il termine “nosferatu” deriva dal rumeno antico nosufur-atu che a sua
volta proviene dal greco nosophoros cioè “portatore di peste”. La creatura si imbarca su una
nave diretta a Wisborg, portando con sé alcune casse piene di topi contagiati, appunto, dalla
peste; giunto in città, si stabilisce nella sua nuova dimora e inizia la sua opera di distruzione:
in breve tempo la popolazione è decimata dalla malattia. Nel finale del film, Ellen sacrifica
la propria vita per salvare quella degli ultimi abitanti della città, concedendosi al vampiro e
trattenendolo con sé finchè le prime del giorno sopraggiungono a distruggerlo.
Nosferatu può essere inscritto nella corrente del cinema espressionista tedesco.
Questa corrente cinematografica riprende le caratteristiche del corrispettivo pittorico: come
vediamo da questi confronti, ad esempio, i volti sono definiti con tratti rudi e grossolani e la
figura del Conte Orlok è allungata come le donne dipinte da Kirchner, pittore espressionista.
Inoltre si nota un forte contrasto tra colori chiari e scuri, creato nelle riprese dalla forte luce
estiva e dal nero presente nelle scene. Proprio perché il film fu girato alla luce, le immagini
luminose stridevano con l’ambientazione cupa che la storia richiedeva. La colorazione della
pellicola fu essenziale per la suggestione prodotta dal film: le scene notturne nei toni del
verde e del blu si alternano ai caldi giallo e arancione del giorno e al rosa dell’alba. Per molti
anni, tuttavia, negli archivi sono state disponibili solo copie incomplete in bianco e nero, che
davano lo strano effetto di un vampiro che sia aggira per le strade in pieno giorno. Nel 1984
è stata rinvenuta a Parigi una copia con le colorazioni originali, a partire dalla quale è stato
possibile procedere al restauro della pellicola. Va ricordato che l’espressionismo
rappresentava, in reazione al realismo, un tentativo di esprimere l’interiorità, l’inconscio e
quindi le emozioni attraverso distorsioni estreme: l’angoscia dei personaggi e la malvagità
degli antagonisti sono rivelate da figure esagerate, tetre, sghembe e da ombre lunghe. L’uso
delle ombre è funzionale alla resa del tema della duplicità fra Bene e Male come possiamo
vedere in questi fotogrammi di Nosferatu: l’ombra del vampiro mentre sale le scale ci fa
venire in mente una creatura demoniaca e malvagia, allo stesso modo in cui la proiezione
della mano del Conte sul cuore di Ellen ci fa capire che la giovane donna è stata sopraffatta
dalle forze del Male.