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Inglese: The Jazz Age
Storia: Cenni della storia dell'integrazione dei neri dagli anni '30 agli anni '60
Ma il Jazz fu un fenomeno locale di New Orleans? Assolutamente no. Da questo porto
fluviale del Mississippi, il Jazz si irradiò a Chicago e a New York nel momento della
prima guerra mondiale, a causa della disponibilità di lavoro delle fabbriche del nord,
che richiamò moltissima gente di colore. Successivamente, grazie all’invenzione della
radio, il Jazz espatriò in Europa, dove venne accolto con grande entusiasmo dai
compositori di classica, quali Stravinsky che compose l’Ebony concert, Debussy, che
scrisse Gallywog’s Cakewalk, e ancora Shostakovitch, con la sua celebre Jazz Suite.
Anche artisti europei non legati alla musica ne rimasero affascinati. In particolare,
Henri Matisse pubblicò nel 1947 la sua opera-libro “Jazz”. Matisse, colpito da una
malattia, trovò la soluzione alle sue limitazioni fisiche e alla sua sovrabbondanza di
creatività in enormi collage, i gouaches découpés. “Dipingendo con le forbici”, diede
libertà alla sua naturale inclinazione alla tessitura e al design. Ognuna delle venti
tavole è isolata da pagine con scritte calligrafiche di Matisse stesso, che hanno la sola
funzione, come dichiarò l’artista, di accompagnare i suoi colori fortemente timbrici
(come disse il suo amico Picasso, egli “dominava il colore e inseguiva il disegno”). Il
titolo “Jazz” evocò per Matisse l’idea di una struttura ritmica spezzata da l’azione
inaspettata dell’improvvisazione. A detta di Matisse, “il Jazz è improvvisazione
cromatica e ritmica, e ci sono cose fantastiche nel jazz vero: il talento per
l’improvvisazione, la vitalità, l’essere un tutt’uno con il pubblico”.
Tutt’altra accoglienza ebbe il Jazz nel suo Paese natio: i Bianchi infatti non
appezzarono questa forma artistica, perché appartenente al “negro del ghetto”.
Spesso il Jazz fu associato a locali fumosi delle Uptown dove erano la norma
prostituzione, spogliarelliste, alcool (nonostante il divieto nel periodo del
protezionismo), gangster, e fu quindi considerata musica oscena. Vi fu solo una
declinazione del Jazz delle origini che andò a genio alla popolazione bianca, e questa
fu il Jazz sinfonico di Paul Whiteman e George Gershwin.
Gershwin’s contribution to music is the bridge that he made between nineteenth
century classical music and Jazz, refining his product until it became acceptable to the
upper white class. The prime exponent of this class, par excellence, was F. Scott
Fitzgerald, who, referring to the Roaring Twenties, coined the era the “Jazz Age”. What
was the Jazz Age? It was the period of great economic expansion following World War 1
leading up to the Crash of ’29, the rise of the middle class, women’s suffrage and
prohibition. Fitzgerald’s personal life mirrors the Jazz Age which he embodies in his
autobiographical character, J Gatsby, and nothing is more emblematic of his wealth
than the decadent parties he throws at his mansion on Long Island. Writing about
Gatsby’s soirées, Fitzgerald picks as his reference point for his “yellow cocktail music”
the melodies of George Gershwin, thereby excluding authentic black Jazz. Gershwin’s
popularity among the upper white class skyrocketed after his concert at the Aeolian
Hall in 1924. From this moment, black Jazzmen began reconsidering putting aside their
blackness and integrating with the white music scene.
Da qui iniziò a scindersi la musica Jazz più commerciale bianca da quella più autentica
nera. Integrarsi o separarsi, confondersi o distinguersi, collaborare col bianco o
ignorarlo? Il tragico dilemma esistenziale del nero americano, a cui i diversi leaders
sociali hanno proposto soluzioni via via antitetiche si riflette nella musica jazz che, a
volta a volta ha rischiato di confondersi con la musica bianca, adottandone almeno in
parte gli stilemi e l’estetica, e successivamente ha fatto di tutto per distinguersene, e
così via creando un moto pendolare. Mai come negli anni trenta il Jazz ha fatto parte