
Duecento milioni di euro! Sì, avete capito bene. È questa la cifra che ogni anno le casse dello Stato devono sborsare per lo svolgimento della maturità. Ma gli Esami di Stato, così come sono strutturati oggi in Italia, hanno ancora un senso? Il dibattito è tornato di gran moda: ma quali sono questi motivi che rendono il nostro esame di maturità - così com'è ora - “inutile”? Il parere degli esperti del mondo della scuola: Mario Rusconi, vicepresidente ANP (Associazione Nazionale Presidi); Roger Abravanel, esperto di valutazione; Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Giovanni Agnelli; Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net.
#8 I costi
Naturalmente il problema delle risorse da investire per l’organizzazione della maturità sono la punta dell’iceberg, l’aspetto più evidente.
"Solo per i commissari esterni, vengono spesi ogni anno quasi 150 milioni di euro" - dichiara Daniele Grassucci - "lo ha sostenuto il Governo stesso nel momento della proposta di abolire i membri esterni di commissione, giustificandone così l'inserimento nella prima bozza della legge di stabilità per il 2015. Nella stessa bozza si poteva leggere inoltre che i presidenti di commissione pesano sulle casse del ministero per un’altra trentina di milioni di euro". A conti fatti, come detto, la maturità nel suo complesso arriva a costare attorno ai 200 milioni di euro, se consideriamo anche le normali spese organizzative. Per non parlare poi del costo sulle famiglie, che arrivano a spendere diverse centinaia di euro, tra ripetizioni e materiale aggiuntivo, per il recupero last minute. "Ma poi c'è anche tutta la questione del contributo volontario che le singole scuole chiedono ai maturandi (oltre alla tassa d'iscrizione) per le spese organizzative - dice Daniele Grassucci, direttore di Skuola.net - una richiesta che praticamente tutti ritengono ingiusta ma che avallano temendo ritorsioni in sede d'esame". Decisamente troppo per una prova che, a detta dei più, non è più una garanzia di preparazione.#7 Tutti promossi
La critica maggiore, infatti, non è legata al costo in sé stesso quanto all’opportunità di stanziare tali cifre per qualcosa che, dati alla mano, non serve a fare una vera selezione. Da anni circa il 99% degli ammessi all'esame viene promosso; a quel punto l’esame diventa solo un passaggio burocratico, l’atto finale con cui certificare la fine del percorso di studi; nonostante sia un esame piuttosto impegnativo. Tutto merito degli studenti italiani, troppo bravi per la maturità attuale? Non proprio. “Un numero così alto di promossi non dipende certo dalla facilità dell’esame – precisa Mario Rusconi, vicepresidente dell’Associazione Nazionale Presidi – ma da una scrematura preliminare che i docenti fanno, soprattutto negli istituti tecnici e professionali. Nei primi 2 anni di scuola, infatti, c’è un numero ben più alto di bocciati; con un’ulteriore selezione prima dell’esame”. Tradotto: all’esame arrivano solo i più bravi, quelli che non avranno problemi a superarlo.
#6 Criteri di giudizio sbilanciati
La maturità, poi, non è più un parametro per valutare con certezza il livello delle conoscenze dei ragazzi. Il voto finale, infatti, è influenzato da diverse variabili: indirizzo di studio, severità della commissione, collocazione geografica della scuola. “I voti al Sud sono sistematicamente più alti rispetto al Nord”; a dirlo e Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Giovanni Agnelli. “Secondo i dati a nostra disposizione - continua Gavosto – in Calabria, ad esempio, i 100 sono il 9% del totale; in Lombardia sin fermano al 3%. Ma i Test Invalsi e le rilevazioni Pisa ci raccontano un’altra storia: la qualità dell’apprendimento è migliore al Nord. Un paradosso inaccettabile”.
#5 Commissioni litigiose
La questione commissioni è un nodo centrale. Anche perché è un cane che si morde la coda: farle tutte interne abbatterebbe i costi ma renderebbe veramente inutile l’esame; è come se l’arbitro di una partita venisse portato da una delle due squadre in campo. Al contrario, un commissione interamente esterna aumenterebbe le garanzie di imparzialità ma consegnerebbe gli studenti nelle mani di persone mai viste e conosciute prima, che non sanno quale sia il carattere dei singoli candidati. Le commissioni miste, poi, sono un ibrido pericoloso: “Gli insegnanti sono perfetti sconosciuti fino a pochi giorni prima dell’esame – ci dice Mario Rusconi – e le loro personalità emergono solo durante le prove; non è quindi così raro che si creino delle conflittualità forti all’interno della commissione; in nessun posto si lavora bene senza sperimentarsi a vicenda; così, quasi sempre, a farne le spese sono gli studenti che magari vedono abbassarsi il voto per un capriccio tra professori”.
#4 Impostazione ottocentesca
Anche le singole prove non sono esenti da responsabilità: il tema d’italiano, ad esempio, nonostante con la riforma lo faccia spaziare tra ambiti diversi (analisi del testo, saggio, articolo di giornale, tema) risente di un’impostazione ormai sorpassata, non rispecchia le inclinazioni dei ragazzi di oggi. Sempre secondo Rusconi “sarebbe forse più importante saper fare un buon riassunto di un saggio o di un testo tecnico rispetto a un tema classico; nelle università e nel mondo del lavoro la capacità di sintesi è una delle prime abilità richieste”. La “cultura della penna” a detta di tutti è arcaica, scollegata dall’esperienza giovanile: “Non è un caso – sottolinea Rusconi – che spesso chi ha successo non andava al top a scuola; forse perché i docenti non hanno gli strumenti adatti per giudicare”. Quanto all’orale, un colloquio di oltre un’ora di fronte a più persone, molte delle quali sconosciute, non basta per valutare la maturità di ragionamento di un ragazzo. “Lo studente – sempre secondo Rusconi – andrebbe visto in una condizione di “laboratorio permanente”, osservando come si muove anche dal punto di vista pratico, nella sua capacità di usare il computer, di documentarsi, di risolvere problemi concreti”.
#3 Sistema scolastico da rivedere nel suo complesso
Come in tutte le cose, però, il problema è alla radice: alla scuola nel suo complesso che, innanzitutto, non prende in considerazione delle caratteristiche di studenti che stanno per entrare nel mondo degli adulti. La maggior parte del tempo viene dedicato a interrogazioni e non a spiegazioni; c’è troppa ritualità.“In Germania ad esempio – ci racconta Rusconi – la lezione è interattiva, un dialogo con l’alunno che viene interrogato mentre il professore spiega”. Nella scuola di oggi, sostiene l'esperto, non c’è spazio per la scrittura creativa, per la musica, per il mondo dei social, tutte cose che fanno parte della vita dei ragazzi di oggi e che potrebbero essere sfruttate per aggiornare il metodo d’insegnamento. Secondo Rusconi, non prevedere applicazioni tecniche in tutti gli indirizzi di studio superiori, poi, dà il polso di un sistema istruttivo per nulla al passo coi tempi. "Nell’attuale maturità non c’è traccia di prove che testino le capacità di ricerca in Internet, il saper utilizzare i software più diffusi che – volenti o nolenti – tutti i giovani di oggi devono sapere maneggiare con disinvoltura sia all’università che in molti luoghi di lavoro. E poi c’è il grande tema della formazione dei docenti, rimasta ferma per un ventennio e ripartita dopo l’ultima riforma (che ha reso obbligatori i corsi d’aggiornamento); ma la strada è ancora lunga".
#2 Non prepara all'università...
Una delle note maggiormente dolenti è che le scuole superiori sono poco lungimiranti, non pensano al futuro dei propri studenti. Così, il primo approccio col mondo dell’università è spesso traumatico. “Gli atenei da un pezzo non credono più ai voti della maturità – dice Roger Abravanel, esperto di scuola ed editorialista del Corriere della Sera, autore del saggio “La ricreazione è finita” – così si organizzano i loro test d’ingresso. Ma il problema persiste anche dopo, basti pensare al fatto che il voto medio di laurea è 107 e molti 110 e lode sono fuori corso”. Per qualcuno bisognerebbe abituare gli studenti delle superiori a ragionare in ottica universitaria, facendo entrare le sue tematiche e il suo metodo di studio in parte già nelle scuole medie superiori. La maturità, inoltre, non dà la giusta preparazione per affrontare i test e gli esami universitari; sono due metodologie completamente diverse. “Io ho proposto a ben 4 ministri, incluso quello attuale – continua Abravanel – di aggiungere i test Invalsi anche alla maturità. Potrebbe servire a creare una misura standard di valutazione e, perché no, consentire di eliminare i test universitari. Sarebbe il primo passo per inserire la meritocrazia nella nostra scuola”. Anche se non tutti sono d’accordo che questo questo possa bastare: “Non credo che introdurre i test Invalsi come prova d’esame servirebbe a granché – dissente Gavosto – bisogna cambiare la maturità radicalmente, magari seguendo le migliori pratiche internazionali come le prove standardizzate o gli esami centralizzati”.
#1 ...E neanche al mondo del lavoro
Ma i problemi emergono anche dopo l’università, quando si entra nel mondo del lavoro. Perché la scuola non offre gli strumenti richiesti dalle aziende. “Alla maggior parte dei datori di lavoro non interessa che si sappia tutto bene – conclude Rusconi – eventuali lacune tecniche si possono colmare in fase di formazione; quello che invece manca proprio ai nostri ragazzi è la capacità di parlare in pubblico, di saper ascoltare, di lavorare produttivamente in team. Questo è il frutto dell’isolamento che la persona nell’attuale sistema scolastico. Quando, invece, sono questi gli aspetti su cui bisognerebbe insistere di più durante gli anni delle superiori”.
Marcello Gelardini
