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Fig. 1 fig. 2
1. Considerazioni generali. A pag. 84 degli atti del convegno leccese M. Cerasoli
scrive (vedere figg. 1 e 2): «Consideriamo il quaderno a quadretti, ovvero quello
che le maestre chiamano il geopiano. In altri termini, consideriamo i nodi del qua-
derno, cioè le intersezioni delle rette. Fissati alcuni nodi, possiamo considerare il
poligono racchiuso da essi […] La formula di Pick ci dà l’area di un tale poligono
quando l’unità di misura è la distanza tra le rette […] Basta conoscere: 1. il nume-
ro I di nodi interni al poligono; 2. il numero B di nodi che si trovano sui lati che
formano il poligono. Allora l’area del poligono vale I – 1 + B/2. Sarebbe il caso di
conoscere una dimostrazione elementare di questo teorema». Sin qui le parole di
M. Cerasoli. Noi, raccogliendo il suo invito, cercheremo di presentare qualche
prova semplice e convincente del teorema di Pick. Comunque facciamo presente
1 Domenico.lenzi@unile.it; Dipartimento di Matematica dell’Università, 73100 Lecce. 2
che in [2] è anche riportata un’esperienza svolta nella quarta classe di un liceo
scientifico, dove – nel corso di mezz’ora – 4 studenti su 24 sono riusciti a ricavare
la formula di Pick osservando alcuni casi particolari.
Per facilitare alcuni conteggi noi preferiamo scrivere la formula precedente nel se-
guente modo:
(1) I + (B-2)/2.
Grazie al secondo addendo della (1), in alcuni casi noi trascureremo di proposito
due nodi opportunamente scelti sul bordo del poligono, e conteremo i rimanenti.
Intanto ricordiamo che si chiama poligonale semplice una sequenza p di segmenti
… s che non si “intrecciano”. In termini meno disinvolti ciò si-
consecutivi s n
1
gnifica che i segmenti dati si incontrano esclusivamente negli estremi, ma in mo
-
do tale che ogni segmento s distinto da s e da s abbia in comune ciascuno dei
i 1 n
suoi due estremi rispettivamente col segmento s che lo precede e col segmento
i-
1
s che lo segue; con l’ulteriore possibilità che il primo e l’ultimo segmento s , s
i+ 1 n
1
abbiano in comune l’estremo residuo, nel qual caso la poligonale si dice chiusa.
Se p non è chiusa, allora gli estremi “liberi” di s e di s sono detti estremi di p.
n
1
Una poligonale semplice e chiusa situata su di un piano ne delimita una parte che
viene chiamata poligono semplice. Ciò è facile da accettare da un punto di vista
2
intuitivo e non presenta grandi difficoltà dimostrative (si veda [16], pag. 494 e
segg.).
Avendo chiamato poligoni (quadrati, rettangoli...) di Pick i poligoni di cui parlia-
mo si può notare che – a prescindere dal fatto che il teorema di Pick sia vero op-
pure no – la formula (1) a priori rappresenta un modo per attribuire una parti-
v P P
colare valutazione ( ) all’area di un poligono di Pick . Perciò, avendo indicato
a P P a P v P
con ( ) l’area effettiva di , si tratta di provare che ( ) = ( ).
Noi arriveremo alla dimostrazione dopo aver svolto le seguenti tre fasi prelimina-
v gode di particolari proprietà additive e sot-
ri: 1) Proveremo che la valutazione
trattive; 2) verificheremo il teorema di Pick per rettangoli che abbiano due lati o-
rizzontali e due verticali; 3) estenderemo il teorema di Pick ai triangoli.
2. Le fasi preliminari. Proviamo quanto preannunciato alla fine del paragrafo
precedente. P
1) Supponendo di avere un poligono di Pick che risulti dall’“accostamento” (u-
0
P P
nione) di due altri poligoni di Pick e che abbiano in comune una poligonale
1 2
semplice e non chiusa q (si veda fig. 3), verifichiamo la seguente eguaglianza:
v P v P v P
(2) ( ) = ( ) + ( ).
0 1 2
2 Ben più difficile – però da un punto di vista dimostrativo (si veda [4]) – è il caso in cui invece di
una poligonale semplice e chiusa si abbia una curva chiusa ottenuta “deformando” una circonfe-
renza; cioè, una curva che sia omeomorfa a una circonferenza rispetto alla topologia che deriva
loro dal piano in cui giacciono (teorema di separazione di Jordan).
2 3
fig. 3
Noi per i conteggi relativi alla (2) conveniamo di escludere i due estremi A e B di
P P P
q posti sul bordo di ciascuno dei poligoni , e .
0 1 2
P
Orbene, i nodi residui situati sul bordo di si distribuiscono in parte sul bordo di
0
P P
e in parte sul bordo di (senza che ci sia intersezione), perciò ciascuno di essi
1 2 v P v P v P
dà lo stesso contributo di 1/2 sia a ( ) che a ( ) + ( ).
0 1 2
P
Invece i nodi interni a si distribuiscono (senza che ci sia intersezione) in parte
0 P P
sulla poligonale di confine q e in parte all’interno di o di . Nel primo caso
1 2
v P
questi nodi danno contributo 1 a ( ), mentre danno lo stesso contributo 1/2 sia a
0
v P v P v P
( ) che a ( ); nel secondo caso essi danno contributo 1 a ( ) e a uno sol-
1 2 0
v P v P
tanto dei valori ( ), ( ). Non essendoci altri nodi in gioco, l’uguaglianza (2) è
1 2
verificata. a P a P a P
Osservazione 1. Poiché, ovviamente, ( ) = ( ) + ( ), se per due dei prece-
0 1 2
P a P v P
denti poligoni risulta ( ) = ( ), allora – grazie alla (2) – la stessa egua-
i i i v
glianza deve valere anche per il terzo poligono. Da ciò per conseguono due ov-
vie proprietà di tipo additivo e di tipo sottrattivo, che si estendono induttivamente
anche al caso di più di due poligoni di Pick opportunamente “accostati”.
2) Verifichiamo il teorema di Pick per rettangoli che abbiano due lati “orizzontali”
(e due “verticali”), che chiamiamo rettangoli standard.
Q a Q
del reticolato il teorema è banalmente vero. Infatti ( ) = 1,
Per un “quadretto”
Q v Q
inoltre ha quattro nodi sul bordo e nessun nodo interno, onde ( ) = 0 + (4-2)/2
a Q
= 1 = ( ). Di conseguenza il teorema vale anche per un qualsiasi rettangolo stan-
R R
dard , dal momento che si ripartisce in quadretti (si veda fig. 4) in modo tale
da poter applicare la precedente proprietà additiva.
In maniera alternativa a quella presentata or ora, si può procedere a un conteggio
R R
del numero dei quadretti che compongono , poiché l’area di è data proprio da
quel numero. A tal fine conviene contare il numero dei nodi superiori destri di tali
quadretti, dato che essi sono tanti quanti i quadretti in questione.
3 4
fig. 4 fig. 5
Naturalmente, agli effetti del conteggio, consideriamo il numero I di tutti i nodi
interni, poiché a ognuno di questi corrisponde uno dei nostri quadretti. Poi valu-
tiamo il contributo dei B nodi situati sul bordo del rettangolo. E’ chiaro, però, che
R situato in alto a sinistra, sia quello situato in
dobbiamo escludere sia il nodo di
basso a destra, dato che essi non rientrano tra quelli da conteggiare.
Dei nodi residui del bordo sono da conteggiare soltanto quelli posti sulla parte su-
periore e quelli posti sulla destra, che sono la metà esatta dei nodi rimasti; perciò
il contributo dei nodi del bordo è pari a (B-2)/2. Quindi il numero totale dei nodi
R
che danno l’area di è proprio I + (B-2)/2. T
3) Ora estendiamo il teorema di Pick a un triangolo rettangolo che abbia un ca-
T
teto orizzontale e uno verticale, che chiamiamo triangolo standard. Ebbene è la
R
“metà” di un rettangolo standard ottenuto accostando ad esso lungo la sua ipo-
T’ v T v T’
tenusa un ugual triangolo standard (si vedano fig. 4 e 5), perciò ( ) = ( ).
R R T T’ T
Allora per quanto già osservato risulta a( ) = v( ) = v( ) + v( ) = 2v( ), onde
T T
a( ) = a(R)/2 = v( ).
fig. 6 fig. 7 fig. 8
Invece per un triangolo di Pick che abbia un solo lato verticale (si veda fig. 6)
oppure orizzontale, il teorema si prova applicando la proprietà sottrattiva due vol-
te rispetto a un rettangolo standard. Ci si rende conto facilmente che il caso più
generale si riconduce alle due eventualità illustrate in fig. 7 e in fig. 8, per le quali
la proprietà sottrattiva si applica rispettivamente tre volte o quattro volte.
4 5
3. Una dimostrazione semplice. Grazie ai risultati sin qui ottenuti è chiaro che
3
P
per un poligono di Pick convesso (cioè, il cui bordo non presenti “insenature”)
il teorema di Pick è vero. Infatti, se esso non è un triangolo, allora lo si può scom-
porre nei triangoli che si ottengono fissando un suo vertice A e considerando i
segmenti che congiungono A con tutti i vertici che non sono consecutivi ad esso
(si veda la successiva fig. 9). Dopodiché si può applicare la proprietà additiva.
fig. 9
Il ragionamento condotto fin qui è stato impostato in modo da poterlo facilmente
rigorizzare. Invece il caso di un poligono non convesso (vedere fig. 2 e fig. a),
molto semplice sul piano intuitivo, si può affrontare raccogliendo il suggerimento
dato in [10] (ivi illustrato con l’ausilio di fig. a) dove si può leggere: [...] Première
phase: On découpe le polygone en polygones convexes. Deuxième phase: On dé-
coupe chaque polygone convexe en triangles, en tracant toutes les diagonales
partant d'un même sommet. fig. a
Tuttavia è proprio la decomposizione illustrata in figura che – nonostante sia in-
tuitivamente facile da accettare – nel caso generale presenta qualche difficoltà nel-
l’organizzazione di una dimostrazione rigorosa. Ciò che bisognerebbe fare è pro-
P ha almeno una diagonale
vare che anche un poligono semplice e non convesso P
(o corda) da cui si può far partire la decomposizione; cioè, all’interno di si può
condurre un segmento che congiunga due vertici della poligonale semplice p che
3 P P
si dice convesso quando la retta r passante per un suo lato qualsiasi lascia tutto in uno stesso
F si dice convessa quando il seg-
semipiano delimitato da r. Più in generale, una figura geometrica
F F
. Perciò quando non è convessa, allora
mento che congiunge due suoi punti arbitrari giace su
essa appare con delle “insenature”. Per i poligoni le due definizioni sono equivalenti.
5 6
P
delimita , senza incontrare p in altri punti. La dimostrazione richiesta non è faci-
le da impostare, anche se a posteriori ci si rende conto della sua relativa semplici-
tà. Noi ce ne occuperemo nel prossimo paragrafo.
Un altro modo per dare un’idea convincente sul piano intuitivo del fatto che il teo-
P
rema