Concetti Chiave
- Il capitolo 21 introduce il cardinale Borromeo e il cappellano crocifero, con un flashback che riporta gli eventi dal 1564 al 1628.
- Il bravo informa l'Innominato della visita pastorale del cardinale Borromeo, spingendo il bandito a cercare un confronto per risolvere il suo tormento interiore.
- Federigo Borromeo è descritto come una figura di eccezionale valore morale, dedicata all'umiltà e al servizio del prossimo, rinunciando ai privilegi della sua nascita aristocratica.
- Fondatore della Biblioteca Ambrosiana, Borromeo raccoglie migliaia di volumi e istituisce collegi per promuovere la cultura, sfidando le limitazioni del suo tempo.
- Il cardinale si dedica agli indigenti, mostrando sempre cordialità e umiltà, ma è anche consapevole delle sue opinioni talvolta errate, senza aspirare alla gloria personale.
Questo capitolo de “I Promessi Sposi”, vede numerose differenze rispetto al precedente, tra cui l’ingresso di due nuovi personaggi rispetto a quelli prevalenti, il cardinal Borromeo e il cappellano crocifero. È presente inoltre un ampio flashback, il quale interrompe il tempo della storia, riportandolo indietro dal 1564 al 1628. I luoghi delle vicende restano invariati mentre per quanto riguarda i temi, si aggiunge la cultura del Seicento.
Indice
L'incontro con il cardinale
Il bravo giunge poco dopo a riferire all’Innominato che il giorno precedente, il cardinale e arcivescovo di Milano, Federigo Borromeo, si è diretto in visita pastorale al paese vicino, e che la notizia, ha spinto molte persone ad affluire lì nella speranza di poterlo incontrare, per cui lo scampanio è una manifestazione collettiva di gioia. Rimasto da solo, l’uomo torna a guardare alla finestra, stupito dalla tanta gente che accorre per vedere il prelato, e poiché è chiaro che non tutti si dirigono da lui per ricevere qualche donazione di denaro, il bandito decide anche lui di andare a parlargli, nella speranza che possa liberarlo dal tormento interiore che lo ha mantenuto sveglio durante la notte. Finisce dunque in fretta di vestirsi, indossa la casacca dal taglio militaresco, prende la pistola rimasta sul letto e la attacca alla cintura, alla quale mette anche il pugnale, mentre infila ad armacollo una carabina. Prende poi il cappello ed esce dalla camera, recendosi dalla vecchia dove ha lasciato Lucia, alla cui porta della stanza bussa, dopo aver riposto a terra il fucile. La vecchia accorre ad aprire saltando giù dal letto, facendo entrare l’uomo, che vede Lucia dormiente rannicchiata a terra, rimproverando aspramente la donna per non aver mantenuto i suoi ordini. La vecchia tenta inutilmente di trovare qualche giustificazione, quindi l’Innominato la comanda di lasciar dormire la giovane e di non disturbarla, mentre al suo risveglio dovrà riferirgli che lui se n’è andato ma tornerà ben presto, disposto a fare ciò che la giovane desidera. La vecchia rimane decisamente stupefatta, quando il bandito si congeda riprendendo in mano la carabina e mandando Marta in una stanza vicina, nel frattempo che un bravo ha l’ordine di fare da guardia e impedire a chiunque di entrare nella camera della prigioniera. In seguito, si allontana dal castello e percorre rapidamente la discesa.
Il viaggio dell'Innominato
L’anonimo, precisa qua l’autore, non precisa quale sia la distanza dal castello del bandito al paese, ma sembra essere un tragitto al quanto breve, anche se a quei tempi la gente accorreva a vedere il Borromeo da più di 30 miglia. Diversi bravi incontrano il loro padrone che scende il sentiero e si aspettano che chieda loro di unirsi per qualche spedizione, mentre il bandito si limita solamente a rivolgere delle occhiate. Quando poi l’Innominato si immette nella strada pubblica, chiunque lo incontri si meraviglia vedendola senza alcuna scorta, e gli cedono il passo facendo ampi cenni di rispetto e devozione: arrivato in paese, trova una gran folla che si apre al suo passaggio, dopo che il suo nome è passato di bocca in bocca. Un passante, alla domanda del bandito dove si trovi il cardinale, gli indica la casa del curato, al che l’uomo vi si reca fin davanti il cortile, dove sono radunati molti preti, e da qui passa in un salotto dentro l’abitazione, dove altri religiosi lo guardano meravigliato, provando anche una certa inquietudine. Il bandito posa la carabina a terra e chiede a uno dei lì presenti dove si trovi il cardinale, quesito al quale non è in grado di rispondere in quanto anche lui viene da un paese vicino, e chiama perciò il cappellano crocifero. Quest’ultimo gli va incontro senza mostrargli né timore e né meraviglia; quindi, il bandito le domanda subito di poter incontrare il cardinale e il religioso, il che si dirige a mandare la sua ambasciata al prelato, non certo di buona voglia.
Federigo Borromeo: un uomo di fede
L’autore, in questo punto, fa delle osservazioni circa questo personaggio storico realmente esistito (il cardinal Borromeo) descrivendolo prima di tutto come una piacevole sosta all’ombra di un albero per un viandante stanco, vicino a una fontana d’acqua: si tratta infatti di una figura di eccezionale valore morale e che ispira una certa deferenza, al che viene interrotto il racconto delle vicende facendo una gradevole disgressione. Bisogna infatti spendere poche parole per introdurre degnamente un personaggio di tale importanza, cosa per cui, se il lettore desidera riprendere il filo conduttore della storia, può direttamente andare al capitolo successivo. Federigo Borromeo nasce nel 1564 e in tutta la sua vita, userà sempre il suo ingegno e la sua fortuna per raggiungere i suoi propositi: la sua esistenza è simile a un ruscello che scorre limpido dalla fonte e che va a gettarsi puro nel fiume, senza ristagnare mai. Cresciuto in una agiata famiglia aristocratica, già dai primi anni si trattiene solo agli insegnamenti della fede che lo spingono all’umiltà, alla ricerca dei veri beni, trovando queste incompatibili con il decoro nobiliare nel quale crescerà, inizia dunque prestissimo a riflettere su come rendere la sua vita santa e utile al prossimo.
La vita di Federigo Borromeo
Nel 1580 Federigo manifesta il suo buon proposito di diventare religioso, e farsi prete, ricevendo l’abito dal cugino Carlo Borromeo, già a quell’epoca ritenuto santo: fa il suo ingresso poco dopo nel collegio fondato da questo a Pavia, ancora oggi noto con il nome di Borromeo, dove decide di insegnare la dottrina cristiana ai popolani più deboli e di assistere al fianco dei bisognosi e dei malati. Coinvolge in questo suo intento anche i suoi compagni, servendosi delle autorità di cui gode grazie al nome del suo casato, mentre rinuncia a tutti gli altri privilegi che la sua condizione di nascita gli avrebbe garantito, vestendosi quindi in modo povero, e adottando uno stile di vita appropriato a queste scelte. I parenti si mostrano subito insoddisfatti di ciò, in quanto ciò sminuisce i valori e il decoro del casato, mentre anche i suoi maestri tentano qualche volta di fargli indossare qualche abito che lo possa distinguere dagli altri allievi. Federigo non solo è contrario a queste scelte, ma riprende fino a quando è giovane tutti coloro che sono protagonisti del ben figurare e dello splendore.
L'arcivescovado di Milano
Finché Carlo Borromeo, ventisei anni più grande del cugino, rimane in vita, esercita come una sorta di magistero e gli ispira soprattutto un modello di comportamento, specie perché allora richiama con la sua presenza una sorta di santità. Tuttavia, dopo la sua morte, avvenuta quando Federigo ha vent’anni, nessuno si rende conto che è venuto a mancare un maestro e una guida per tutti. La fama dell’ingegno di Federigo ha inoltre l’appoggio di diversi cardinali potenti, e il nome della sua famiglia, la memoria dello stesso cugino Carlo, pronosticano a favore del giovane sacerdote che sarà presto elevato a una dignità ecclesiastica, anche se teme gli incarichi rilevanti e tende ad evitarli, in quanto non si sente all’altezza. Nel 1595, nonostante ciò, papa Clemente VIII gli propone l’arcivescovado di Milano e lui, dopo un iniziale titubanza, è indotto ad accettare il comando del pontefice. L’autore osserva pure che tali manifestazioni di umiltà sono alquanto scontate, e possono essere fatte perfino da ipocriti, cosa che certamente non è avvenuta nel caso di Federigo: la sua vita dimostra infatti l’autenticità della sua parola; quindi, la sua noncuranza per le cariche ecclesiastiche più alte è sicuramente sincera.
La Biblioteca Ambrosiana
Una volta divenuto arcivescovo, Federigo è molto preciso per non attirare a sé cure e ricchezze che siano eccessive rispetto allo stretto necessario, anche perché è convinto del fatto che le rendite ecclesiastiche rappresentano il patrimonio dei poveri: fa dunque valutare quale somma serva al mantenimento suo e della sua servitù, e poiché ammonta a seicento scudi annualmente, da ordine che tale cifra si versata dalla sua cassa privata a quella ecclesiastica, avanzato dal desiderio di non voler pretendere sulle spalle altrui. Egli vive del resto in modo modesto, buttando via un vestito solamente quando è davvero logoro, avendo una grande cura della sua pulizia personale, assegnando gli avanzi della sua mensa ai poveri. Tutto questo può indurre a pensare che Federigo abbia un'indole rivolta solo ai beni materiali, se non ci fosse proprio la Biblioteca Ambrosiana (da lui stesso fondata) a testimoniare l’esatto contrario: l’arcivescovo raccoglie molti libri in forma privata e spedisce degli uomini a reperirne altri nei principali paesi d’Europa, dall’Italia alla Francia, dalla Spagna alla Germania, ecc. Alla fine, vengono raccolti circa trentamila volumi stampati e altrettanti manoscritti, mentre Federigo unisce alla Biblioteca un collegio di dottori, il cui compito è quello di praticare studi di teologia, storia, letteratura, e tenuti a pubblicare di quanto svolgono. Fonda anche un collegio per lo studio dele lingue di greco, latino, e italiano, nonché un collegio di alunni che vengono istruiti sulla base di queste discipline, una stamperia, una pinacoteca e una galleria d’arte. Grandi sono però le difficoltà nel reperire i caratteri tipografici necessari a stampare i libri nelle lingue orientali, così come trovare dottori per il collegio; Federigo prescrive allora al bibliotecario di intrattenere relazioni con gli uomini più colti d’Europa e di comperare i libri più interessanti, disponendo anche che a tutti sia consentito il libero accesso alla Biblioteca. La cosa può sembrare ovvia al giorno d’oggi, ma, riflette l’autore, non lo era affatto nel Seicento, quando i libri di altre biblioteche erano nascosti negli armadi e persino sottratti alla vista del pubblico. La fondazione della Biblioteca Ambrosiana è perciò un’opera meritevole, che influisce molto sulla cultura del tempo, che era viziata da ignoranza e idiozia.
L'elemosina e la carità
Federigo, del resto, ritiene che l’elemosina ai poveri sia un dovere peculiare di ogni uomo e soprattutto di chi come lui ne ha i mezzi economici per farlo; si dedica dunque in tutta la sua vita a soccorrere i bisognosi, anche in occasione della carestia del 1628-1629. Un aneddoto degno di citazione è quando il cardinale viene a sapere che un nobile cerca di forzare la figlia a farsi monaca contro la sua volontà, e lo manda a richiamare: l’aristocratico dichiara che, in realtà, il motivo è che l’uomo non ha le risorse economiche per far sposare la figlia, al che Federigo dona tale somma alla dote della giovane (benché, osserva l’autore, quei soldi forse si potevano usare per una causa più nobile). L’arcivescovo mostra sempre una cordialità con tutti, maggiormente con quelli che provengono dalle classi più umili, il che non manca a suscitare rimostranze di chi le sta attorno: un giorno l’arcivescovo è in visita a un paese contadino e si intrattiene nell’educare alcuni bambini, ai quali fa anche delle carezze, al che un membro del suo seguito lo avverte di non avvicinarsi molto a quei fanciulli dall’aspetto malsano, come se il prelato non se ne rendesse conto da solo. Federigo ribatte che sono anime consegnate alla sua cura e che probabilmente non lo vedranno mai più; quindi, domanda se può egli sottrarsi ad abbracciarli.
L'umiltà di Federigo
L’autore specifica nuovamente con dell’ironia che è abbastanza raro che qualcuno riprenda i grandi uomini dai loro difetti, mentre è troppo facile che vengano trattenuti dal fare del bene. Federigo si mostra sempre umile e con atteggiamenti affettuosi, risultato di un’antica abitudine a tenere a freno una personalità vivace, e se talvolta si mostra brusco con qualcuno è quando deve rimproverare qualche sacerdote che trascura i suoi doveri. Riguardo alla sua gloria personale appare sempre lontano da qualsiasi obiettivo, per cui partecipa a diversi conclavi per eleggere un nuovo papa, e in un’occasione rifiuta addirittura l’appoggio di un altro cardinale per ottenere l’elezione. D’altronde Federigo non ama comandare ed è costantemente attento a non intromettersi in questioni che non lo riguardano, mantenendo in ogni situazione una certa discrezione.
Conclusione sulla figura di Federigo
L'autore riprende affermando che sarebbe un’impresa complicata elencare tutti i meriti acquisiti da Federigo nella sua lunga vita ed enumerare tutte le sue attività, anche se in queste lo studio ha costituito un ruolo essenziale, e il cardinale può avere la fama di essere stato un uomo dotto. Questo, tuttavia, non toglie il fatto che egli abbia abbracciato convinzioni proprie che si sono rivelate essere poi errate, e sarebbe troppo semplice scusare Federigo col dire che nel Seicento queste erano del tutto comuni; l’autore non si sofferma sulle opinioni errate che il cardinale ha approcciato, ma si limita ad affermare che non fu perfetto e che non gli ha voluto scrivere un’orazione funebre. Quanto invece alla sua attività di dotto, Federigo ha lasciato più o meno un centinaio di opere di vari argomenti, le quali sono conservate ancora oggi nella stessa Biblioteca da lui fondata, anche se esse non sembrano aver lasciato alcuna traccia nella cultura del nostro paese: il lettore potrebbe chiedersi spontaneamente per quale motivo, specie alla luce dei vari meriti dimostrati in vita dal noto arcivescovo, al che siccome la risposta potrebbe diventare lunga e profusa, l’autore pone fine a questa sua disgressione alquanto completa e ritorna a narrare le vicende dei personaggi sulla scena.
Domande da interrogazione
- Quali sono i nuovi personaggi introdotti in questo capitolo de "I Promessi Sposi"?
- Qual è il significato dell'incontro tra l'Innominato e il cardinale Borromeo?
- Come viene descritto il personaggio di Federigo Borromeo?
- Qual è l'importanza della Biblioteca Ambrosiana fondata da Federigo Borromeo?
- Quali sono le principali attività caritatevoli di Federigo Borromeo?
In questo capitolo vengono introdotti due nuovi personaggi: il cardinal Borromeo e il cappellano crocifero.
L'incontro rappresenta un momento di svolta per l'Innominato, che cerca nel cardinale una guida per liberarsi dal tormento interiore.
Federigo Borromeo è descritto come un uomo di eccezionale valore morale, dedito alla fede, all'umiltà e alla carità.
La Biblioteca Ambrosiana è un'opera meritevole che ha influenzato la cultura del tempo, raccogliendo numerosi volumi e promuovendo studi accademici.
Federigo Borromeo si dedica all'elemosina e al soccorso dei bisognosi, mostrando sempre cordialità e umiltà verso le classi più umili.