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Capitolo 14 Promessi Sposi - riassunto
La sera stessa dei tumulti a casa del vicario di provvisione, Renzo passeggia per le vie della città e nota vari crocchi di persone intente a conversare riguardo le tematiche più scottanti di quei tempi; interessato, prende parte a uno e subito inizia a discorrere, esprimendo le sue idee: egli infatti nutre fiducia nella giustizia e nelle istituzioni, anche perché ha visto con i suoi stessi occhi e ha potuto toccare con mano le grida, ma allo stesso tempo sostiene che debba esserci qualcosa, o qualcuno, che ne blocchi il funzionamento.
Durante il suo discorso, parlando dei tiranni, allude ad alcune vicende personali (don Rodrigo) che ovviamente il popolo non può comprendere, ma alla fine viene applaudito dallo stesso (nonostante rimangano alcuni che sostengono che si tratti solo di un montanaro, in senso dispregiativo, e che quindi stia solo parlando per niente).
In seguito, vorrebbe trovare ristoro in un’osteria, per cui chiede indicazioni alla folla; tra gli ascoltatori, si fa avanti uno sconosciuto, che in seguito si rivelerà essere uno di quei poliziotti che si infiltravano tra i cittadini per “far funzionare la giustizia”, il quale si offre di guidarlo.
Così i due si incamminano, e appena Renzo scorge l’insegna di una luna piena e riconosce che si tratta di un’osteria, invita il suo compagno a venire con lui; una volta entrati, l’oste riconosce da subito lo sbirro e dopo aver raccolto le ordinazioni, cerca di prendere le generalità di Renzo, che desiderava fermarsi per la notte, rispettando così la norma dell’epoca che riteneva necessaria questa pratica.
Tuttavia il giovane promesso sposo di Lucia, poiché temeva di essere in qualche modo scovato da don Rodrigo, oppone resistenza, e da ubriaco inizia a protestare a gran voce contro le grida e la scrittura, con i quali i potenti affermavano la loro superiorità sulle persone più umili.
In seguito il poliziotto, a cui in precedenza era stato risposto con indifferenza da Renzo stesso di provenire da Lecco, trae in inganno il giovane riuscendo a estorcergli nome e cognome: egli infatti gli propone una sua personale soluzione alla questione del pane, dicendo che ognuno dovrebbe avere una scheda sulla quale dovrebbe esservi scritto il nome e cognome, la professione svolta e il numero di figli a carico, così da proseguire alla distribuzione più equa possibile.
Dal canto suo, si qualifica come Ambrogio Fusella, di professione spadaio, e così facendo scopre il nome del giovane, a cui pone la stessa domanda approfittando della sua completa ubriachezza.
Infine, dopo che il poliziotto ha abbandonato l’osteria, Renzo perde completamente il senno, intavolando discorsi senza senso e non riuscendo più a concludere una frase di senso compiuto, divenendo lo zimbello dell’osteria.
Come nota il narratore in uno degli interventi finali del capitolo, per fortuna egli non si lascia scappare i nomi di persone a lui molto vicine, tra cui Lucia, Agnese e fra Cristoforo grazie a quel poco di buon senso che gli rimane.