Concetti Chiave
- Il capitolo 12 de "I Promessi Sposi" di Manzoni si concentra sul tumulto di S. Martino e le sue radici legate alla carestia e alla guerra, evidenziando la figura di Renzo.
- Il governo di Milano tenta di gestire la crisi alimentare fissando un prezzo massimo per il pane, ma ciò provoca tensioni tra fornai e popolazione.
- La popolazione di Milano si ribella contro i fornai, accusati di nascondere il pane, portando a violente sommosse e saccheggi dei forni.
- Il capitolo descrive l'assalto al Forno delle Grucce e altri forni, evidenziando il caos e la disperazione della folla in cerca di cibo.
- Renzo osserva il tumulto, riflettendo sull'inutilità della distruzione dei forni per risolvere la carestia, ma rimane in silenzio per timore della folla.
Indice
Il tumulto di S. Martino
Questo dodicesimo capitolo de “I Promessi Sposi” di Manzoni, affronta e analizza, mettendo in primo piano, il tumulto di S. Martino, trattandone principalmente origini, cause e conseguenze, lasciando tuttavia trasparire la figura di Renzo. Inoltre, è presente all’interno anche una disgressione sempre da parte dell’autore, (si ritorna infatti tra l’estate 1627 e l’autunno 1628).
Le cause della carestia
La prima sequenza del capitolo si avvia con una disgressione storica da parte dell’autore per illustrare le cause e le ragioni del tema della carestia che ormai è presente dai primi capitoli, affermando di fare seguito ad un anno di scarsi raccolti (il 1627), che è stato attenuato dalle scorte precedenti, mentre il 1628 è stato addirittura un anno ancor più scarso dal punto di vista dei raccolti, sia a causa del maltempo, sia a causa dell’azione degli uomini. E tutto ciò è da attribuire all’insensata guerra di Mantova e del Monferrato, per il quale sono state imposte tasse troppe elevate e le terre sono state abbandonate nelle mani delle truppe alloggiate. Inoltre, lo scarso raccolto di quel periodo non è stato ancora riposto nei granai, dal momento che è stato depredato dalle tasse e dalla cupidigia delle soldatesche, e per di più l’inevitabile conseguenza è di certo il rincaro, cioè l’aumento del prezzo di grano e pane. Però, nel momento in cui il rincaro è considerevole, tra il popolo nasce l’idea che la causa di tutto ciò non sia la scarsità del grano ma bensì gli accaparratori che ne approfittano per guadagnarci qualcosa in più. Fornai e proprietari terrieri si ritrovano così accusati di svolgere quella mansione citata prima. Il popolo di Milano si rivolge a gran voce ai magistrati, che stabiliscono alcune linee guida per almeno trattare il problema, quali fissare il prezzo massimo di alcuni prodotti e imporre a tutti di vendere, cosa che ovviamente non farà di certo saltare fuori il grano che manca; perciò, il popolo reclama altri provvedimenti più efficaci.
Interventi dei magistrati
Il governatore dello Stato di Milano, don Gonzalo Fernandez de Cordoba, trovandosi impegnato in un assedio al Casale, manda a sue veci ad amministrare la città Antonio Ferrer, che ritiene corretto che il pane abbia un prezzo ribassato e fissa quindi, per legge un calmiere sul prezzo del grano. Come se questo si vendesse a 33 lire al moggio, mentre in realtà in città, il prezzo si aggira fino a 80 lire. Questa volta il popolo, tuttavia, accorre in massa ai forni al fine di comprare il pane a prezzo ribassato, nonostante le continue proteste dei fornai, che minacciati dai magistrati si trovano costretti a produrre pane in continuazione. Questi tentano inutilmente di far capire ai magistrati che la cosa prima o poi sarà impossibile a causa della scarsità della merce primaria, che è il grano e la farina, e chiedono che venga revocato il calmiere, dichiarando anche di smettere di produrre il pane. Ferrer, che non intende acconsentire, fa rimanere il prezzo del pane ribassato in forza di legge. I decurioni, intanto, informano della questione tramite delle lettere Don Gonzalo, invocando il suo intervento per il divenire della situazione.
La rivolta del popolo
Il governatore, indaffarato con gli affari di guerra, nomina una commissione di magistrati alla quale affida il compito di fissare il prezzo giusto del pane: le figure competenti si riuniscono così, e dopo un acceso dibattito, prendono la decisione di rincarare il prezzo del pane seguendo le leggi di mercato. La cosa placa i fornai ma fa imbestialire il popolo che, la sera del 10 novembre, prima dell’arrivo di Renzo in città, si riversa in strada dove si formano gruppi improvvisati accomunati dalla rabbia per la revoca del calmiere. Molti oratori infatti, conducono discorsi che incitano la folla a causare qualcosa di violento, e diversi mestatori ascoltano compiaciuti per intorbidire le acque quando ormai il tumulto sarà scoppiato. Di conseguenza il giorno dopo, l’11 novembre, giorno di S. Martino, alle prime luci del giorno, le strade si riempiono di garzoni che escono dalle botteghe dei fornai con sacchi di pane sulle spalle, per condurlo alle case dei nobili, e un ragazzo viene immediatamente notato dalla folla, che inveisce subito contro di lui accusandolo di voler nascondere il pane. Alcuni lo strattonano cercandogli di sottrargli la gerla, al che il garzone si dà alla fuga e la folla distribuisce le pagnotte ai presenti, mentre un'altra parte va alla ricerca di figure simili a cui prendere altro pane. Il bottino rimane comunque misero e sono molti quelli rimasti a bocca asciutta, per cui il popolo si muove deciso ad assalire i forni più evidenti della città.
Assalto al Forno delle Grucce
Nella Corsia dei Servi, sorge un forno che dai tempi dell’autore mantiene ancora lo stesso nome, ovvero il Forno delle Grucce. Il popolo in tumulto, si rivolge con violenza verso questa bottega, dove il garzone di turno è tornato privo del suo carico, e ben presto, chi si trova all’interno udisce la folla avvicinarsi, e si affretta a barrare porte e finestre, ed a chiedere l’intervento del capitano di Giustizia. Poco dopo giunge quindi una squadra di alabardieri, che tenta vanamente di disperdere la folla e ad indurre i presenti a far ritorno alle loro case, benché la folla si ingrossa ogni momento sull’uscio della bottega. Il capitano ordina di respingere i rivoltosi astenendosi dal far del male a qualcuno, e intanto picchia alla porta per farlo entrare. L’uscio allora si apre e gli alabardieri riescono ad accedere all’edificio, mentre il capitano si affaccia da una finestra.
Rivolgendosi alla folla con parole diplomatiche, invita i rivoltosi a far ritorno alle proprie case in cambio del perdono giudiziario, ma quelli che già stanno tentando di sconficcare la porta, riescono a penetrare nella bottega saccheggiando pane e rubando denaro dalla cassa, mentre altri afferrano sacchi di farina spargendone a terra enormi quantità. Altri invece lanciano pietre contro il capitano, prendendolo volontariamente in fronte, il che è costretto a rifugiarsi all’interno. In quel trambusto generale si solleva una nube bianca di farina in aria e si formano all’esterno due processioni di persone.
Renzo e la folla
Nel mentre che la folla in tumulto prende di mira il forno delle Grucce, molte altre botteghe milanesi sono l’obiettivo secondario della rivolta, anche se qua la situazione è abbastanza diversa, perché i proprietari possono contare sull’aiuto di altri uomini per respingere i pochi convenuti, oppure distribuiscono pane al fine di allontanarli e farli andare via; tutto ciò senza contare sulle forze della polizia. Ed è proprio ciò che incoraggia la folla che è rimasta assente alla sommossa, ad unirsi al tumulto presso il forno delle Grucce, in quanto lì la folla è più numerosa e non incontra resistenza, e proprio in questo punto della sequenza che arriva Renzo, intanto che sgranocchia il pane che aveva trovato all’ingresso della città. Il giovane si mette a scrutare attento tra la folla, ascoltando alcuni discorsi che inveiscono contro il governo di Milano accusandolo di nascondere il grano e il pane, mentre altri si schierano dalla parte opposta affermando che il pane verrà avvelenato dai nobili per sterminare la povera gente. Un altro rivoltoso si allontana, portando sulle spalle un enorme sacco di farina, affermando che nella folla ci siano poliziotti travestiti che prendono nota dei presenti, per arrestarli al termine della rivolta. Alcuni popolani iniziano anche ad accusare il vicario di Provvisione, dandogli la colpa per la scarsità del grano e per la carestia; altri invece prendono le difese del cancelliere Ferrer, ritenuto un benefattore del popolo in quanto ha abbassato radicalmente il prezzo del pane. Renzo, giungendo al forno, è distrutto dal furore della folla: perciò trova la situazione inopportuna, dal momento che i forni sono l’unico posto dove è possibile produrre del pane. Vedendo poi diversa gente uscire dalla bottega con dei pezzi di mobilio o suppellettile, si appronta a seguirli, curioso del fatto che tutti si dirigono nella stessa direzione. Nota che vanno in gruppo lungo la strada che costeggia il duomo e che sbocca nella piazza, dove sono lì presenti altri popolani che stanno accendendo un grande falò. Tutti insieme saltano e gridano attorno alle fiamme, inneggiando all’abbondanza e protestando contro la carestia.
Conclusione e riflessioni
In quest’ultimo paragrafo l’autore osserva, aggiungendo anche amara ironia che, distruggere i forni non sia di certo il modo migliore per incrementare la produzione di pane, ma si tratta di un pensiero troppo sottile per la folla: anche Renzo, naturalmente, lo pensa, anche se trattiene queste sue idee per sé per paura dei rivoltosi. Intanto il falò si spegne lentamente e si sparge a macchia d’olio la voce che ci sia in corso un assalto ad un altro forno, per cui la massa di rivoltosi inizia dirigersi come un in branco verso la destinazione stabilita. Renzo riflette sul da farsi, se sia meglio tornare al convento a cercare il padre, ma alla fine prevale la curiosità e si avvia anche lui ad osservare la sommossa da una certa distanza. Il gruppo del tumulto è entrato nella piazza dei Mercanti, passando dinanzi alla statua di re Filippo II (l’autore aggiunge anche che, la statua, con fare minaccioso, ai suoi tempi è stata rimossa, essendo stata alterata durante il periodo rivoluzionario). Dalla piazza la folla si dirige per la via dei Fustagnai e sbocca terminando al Cordusio, dove rimane delusa in quanto il forno è ben chiuso e riparato da gente armata all’interno al fine di proteggerla, per cui fa esitare i rivoltosi sul da farsi dopo. Quando ad un tratto qualcuno propone a voce alta l’idea di dirigersi alla casa del vicario di Provvisione, ben poco distante, per assediarla e linciare il povero funzionario. Tutti accolgono la proposta già decisa in precedenza e si avviano verso l’altra destinazione.
Domande da interrogazione
- Quali sono le cause principali della carestia descritte nel capitolo?
- Come hanno reagito i magistrati di Milano alla crisi del pane?
- Qual è stata la reazione del popolo di Milano alla revoca del calmiere sul prezzo del pane?
- Quali eventi hanno caratterizzato l'assalto al Forno delle Grucce?
- Quali riflessioni finali offre l'autore riguardo alla rivolta?
Le cause principali della carestia includono scarsi raccolti dovuti al maltempo e all'azione degli uomini, l'insensata guerra di Mantova e del Monferrato, tasse elevate e terre abbandonate alle truppe, che hanno portato a un aumento dei prezzi di grano e pane.
I magistrati hanno fissato un prezzo massimo per il pane, costringendo i fornai a vendere a un prezzo ribassato, nonostante la scarsità di grano e farina, provocando proteste da parte dei fornai.
La revoca del calmiere ha scatenato la rabbia del popolo, che si è riversato in strada formando gruppi di protesta, culminando in un tumulto e nell'assalto ai forni.
Durante l'assalto al Forno delle Grucce, la folla ha saccheggiato pane e denaro, lanciato pietre contro il capitano di Giustizia e creato un grande trambusto, mentre una nube di farina si sollevava nell'aria.
L'autore osserva con amara ironia che distruggere i forni non è il modo migliore per aumentare la produzione di pane, un pensiero troppo sottile per la folla, mentre Renzo riflette sulla situazione e decide di osservare la sommossa da una certa distanza.