davide.vitrani
Sapiens
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Concetti Chiave

  • Virgilio si ispira a poemi omerici come l'Iliade e l'Odissea, creando una narrazione che celebra Roma e anticipa la storia romana attraverso profezie sul futuro di Enea e Augusto.
  • L'Eneide, composta da dodici libri, intreccia temi di guerra e avventura, richiamando sia l'Odissea che l'Iliade, ma con uno scopo di creazione e non di distruzione.
  • Il personaggio di Enea è complesso, rappresentando un equilibrio tra il destino imposto dal fato e il rimpianto del passato, paragonabile al bifrontismo di Tasso.
  • Virgilio esplora il tema della guerra non solo come ricerca di gloria ma anche come fonte di dolore e morte prematura, mettendo in discussione i valori classici.
  • La figura di Didone è ritratta come idealizzata e patetica, rappresentando il dramma della solitudine e della passione, in contrasto con l'obbedienza morale di Enea.
Eneide

Virgilio si ispira innanzitutto ad Iliade ed Odissea, opere attribuite ad Omero. Virgilio era un grande conoscitore dell’Iliade, poema più arcaico, espressione dei valori della classe aristocratica, e dell’Odissea, poema più moderno, in stile più contenuto, poema dove troviamo la mescolanza di realtà e invenzione, poema di esaltazione dell’ingegno umano e degli affetti familiari. Per secoli, questi due poemi erano stati il testo educativo per eccellenza a Roma: Omero era visto come Maestro di saggezza e moralità.
Successivamente, in epoca Alessandrina, al poema epico si era sostituito l’Epillio, un’opera dal tono epico meno presente, che dava più importanza all’erudizione ed ai particolari, con un criterio basato sulla varietà dei toni e dei contenuti, chiamata Poikilià.
Altro spunto per Virgilio furono sicuramente le “Argonautiche” di Apollonio Rodio: un viaggio di conquista del vello d’oro. In questo poema epico troviamo la figura della donna (Medea), fin ora solo marginale, a cui Virgilio si ispira per parlare di Didone.
Altri autori a cui, probabilmente, Virgilio si ispirò furono Livio Andronico, con la sua traduzione latina dell’Odissea, Nevio, con il suo “Bellum Punicum”, un misto tra storia e mitologia (guerra punica e viaggio di Enea), e ancora Ennio, padre dell’etica, con i suoi “Annales”.
Virgilio aveva già preannunciato nel proemio delle Georgiche di voler celebrare le imprese di Augusto attraverso un poema, forse spinto anche dal circolo di Mecenate, forse per gratitudine verso Augusto per quel periodo di pace che aveva portato a Roma. Abbiamo quindi un’idea originaria che partisse da Enea ed arrivasse ad esaltare Augusto.
D’altro canto, Virgilio non aveva la stoffa dell’adulatore e scelse così un’impostazione diversa per il suo poema epico: il suo, infatti, non è un poema di storia contemporanea, ma è mitico; con la sua opera Virgilio vuole celebrare Roma e così Augusto, aprendo parentesi che anticipano la storia Romana: infatti, nel primo e nel sesto libro, quando Enea scende negli inferi per incontrare Anchise, verrà rivelata una profezia riguardo il futuro di Enea ed il futuro di Roma. Nel sesto libro, oltretutto, troviamo anche un elenco dei discendenti di Enea, all’interno del quale compare anche il nome di Augusto. Altra modalità è per esempio quella di emettere profezie sul futuro attraverso lo scudo di Enea, espediente che, comunque, era un topos dell’epoca.
L’Eneide è composta da dodici libri, esattamente la metà di quelli che compongono l’Odissea, e da quasi diecimila esametri, di cui sessanta non compiuti del tutto.
Donato, un grammatico del quarto secolo, affermò che, probabilmente, Virgilio abbozzò il poema prima in prosa e, solo successivamente, lo riscrisse versificandolo, senza seguire, però, un ordine preciso, introducendo i Tibigines, punti provvisori per legare una parte all’altra. Alla fine, però, Virgilio non riuscì a portare a termine la stesura definitiva della sua opera, tanto che pare che, durante il viaggio di ritorno da Brindisi, avesse richiesto di distruggerla.
Virgilio compose la sua opera, forse spinto anche da un invito del suo circolo, per due fondamentali motivi:
1. Diventare l’Omero latino: attraverso l’ispirazione ad Omero, sostituirlo nel mondo latino.
2. Obbedienza e desiderio encomiastico: lodare Augusto attraverso il racconto dei suoi antenati.
Tra i poemi Omerici e quello Virgiliano troviamo alcune corrispondenze:
- I primi sei libri dell’Eneide sono impregnati sul tema della guerra e sul viaggio di Enea, sono libri di avventura che richiamano fortemente l’Odissea.
- I rimanenti sei libri dell’opera, invece, parlano solo ed esclusivamente di guerre, del duello finale tra Enea e Turno, libri che richiamano lo scontro tra Ettore ed Achille dell’Iliade.
D’altronde, poemi Omerici e poema Virgiliano hanno anche caratteristiche differenti:
- Nell’Iliade la descrizione degli eventi porta alla distruzione di una città; nell’Eneide, invece, la descrizione degli eventi porta alla creazione di una nuova città e di un nuovo popolo. Nell’Iliade, quindi, la guerra ha scopo distruttivo, nell’Eneide uno scopo positivo.
- Nei due poemi Omerici troviamo prima la guerra e poi i viaggi; nell’Eneide, invece, partiamo da un viaggio per arrivare ad una guerra.
- Nell’Odissea, il viaggio di Ulisse è verso casa; nell’Eneide, il viaggio di Enea parte dalla propria casa per andare verso l’ignoto.
- Nell’Iliade, i troiani sono il popolo sconfitto; nell’Eneide, invece, partiamo con la sconfitta dei troiani, ma finiamo con la loro vittoria contro i latini.

Per cui, nella figura di Enea, convergono Achille, vincitore delle battaglie, ed Ulisse, viaggiatore che, grazie alla sua intelligenza, super a tutte le difficoltà, riportando la pace nella sua patria.
Di sicuro, l’opera di Virgilio, terminata, non rispecchiava più quel progetto iniziale per cui doveva essere una totale lode verso Augusto, anche perché, effettivamente, gli eventi narrati non sono neanche inerenti alla storia di Roma. Perciò, il lettore è immerso in un mondo molto diverso, un mondo assomigliante per lo più a quello dell’epica greca, dove, tuttavia, in prospettiva troviamo comunque Augusto e il suo mondo visti da lontano attraverso qualche anticipazione. Come, infatti, nell’Odissea, Ulisse era disceso negli inferi per ottenere la profezia sul proprio destino, qui Enea discende nell’Ade ed incontra Anchise, attraverso il quale potrà conoscere il proprio futuro ed il futuro di Roma. Oppure, troviamo anche che Zeus profetizzerà ad Enea il suo destino e la futura gloria di Augusto, che Virgilio esalta anche nelle Bucoliche attraverso il discorso sull’età dell’oro. Altra modalità per lodare Augusto sarà la descrizione dello scudo di Enea.
In Virgilio c’è il tentativo di conciliazione tra l’epòs omerico ed il desiderio di scrivere anche un poema celebrativo: l’opera Virgiliana, in pratica, è il frutto di un difficile equilibrio tra epica omerica ed un tentativo di inserire l’epica celebrativa.
A dare il nome al poema è il protagonista stesso, Enea, proprio come Ulisse aveva dato il nome a quella che è l’Odissea. Enea non era, tuttavia, un personaggio nuovo: egli, infatti, è ritrovabile anche all’interno dell’Iliade di Omero, dove era uno degli eroi troiani, non quello principale, che tramite una profezia era venuto a sapere che la sua casata avrebbe regnato su troia dopo la caduta della casata di Priamo. Il collegamento di Enea col Lazio è dovuto alla tradizione per cui era venerato come fondatore di Lavigne. D’altra parte, la figura di Enea cominciò ad avere una fisiologia più netta tra i romani solo tra I-II secolo a.C., per motivi politici:
1. Intanto, perché Enea era connesso a Romolo, grazie a cui la cultura romana può vantare il suo collegamento con quella greca, non sentendosi sottomessa ed inferiore culturalmente ai greci.
2. Per il desiderio di Roma di nobilitare le proprie origini: i romani volevano dimenticare le loro umili origini e per cui affermare che i romani discendessero da Enea era importante perché egli era figlio di Venere. Questo, quindi, significava che nel popolo romano scorreva sangue divino. Inoltre, legarsi ad Enea significava affermare che Roma non era nata per caso ma perché il fato l’aveva deciso.
3. Infine, legarsi ad Enea serviva anche a motivare l’odio tra Romani e Cartaginesi che si odiavano in quanto, a causa di Enea, la regina di Cartagine, Didone, era stata offesa tanto da suicidarsi. Inoltre, già ai tempi di Enea, tra Cartaginesi e troiani non correva buon sangue e ciò continua a manifestarsi anche ora con i Romani, discendenti dei troiani.
Nei poemi epici, sappiamo che Enea era tipicamente figlio di Anchise, re pastore, e Venere, imparentato con Priamo, geloso di lui perché consapevole che un giorno la sua casata sarebbe stata sostituita da quella di Enea. Già nell’Iliade, Enea era un protetto dalle divinità, un predestinato del destino, per cui quando si trova a combattere contro Diomede, Venere lo salva, quando si scontra contro Achille, interviene prontamente Poseidone che, con una nuvola, gli permettere di fuggire. Enea, perciò, non era un eroe qualsiasi, ma era inserito in una sfera diversa. D’altra parte, a seconda delle varie epoche, i giudizi su Enea sono stati differenti:
- Durante il Romanticismo, la figura di Enea viene denigrata: egli è solo strumento passivo nelle mani del fato e per questo è un personaggio fallito artisticamente.
- In seguito, invece, Enea viene esaltato perchè visto come colui capace di vincere le passioni, modello di perfezione stoica, disceso agli inferi per purificarsi da ogni tendenza passionale.
- Concetto Marchesi, invece, dà di Enea un giudizio negativo: “Enea è un eroe stordito in continuo potere della divinità; la sua personalità è finita la notte della distruzione di Troia e, nel momento della sconfitta, è diventato strumento del fato a cui obbedisce sempre ma non volentieri”. Quello descritto da Marchesi è quindi un Enea che ha perso completamente la propria personalità individuale.
- Biagio Conte, un critico dei nostri anni, ha dato, invece, una chiave di lettura di questo personaggio che forse è quella più equa: Conte parla di “doppio statuto letterario di Enea”, ovvero di una funzione oggettiva di Enea, perché essendo strumento del fato non ha alternative decisionali e non può tradire il compito a lui affidato, e di funzione soggettiva di Enea, in quanto personaggio, uomo, che davanti a ciò che il fato gli presenta mostra smarrimento. Per la funzione oggettiva, Enea tende, quindi, al futuro ed il suo stato d’animo è la speranza, per la funzione soggettiva, invece, Enea tende al passato, quando era un uomo nella pienezza delle sue possibilità e poteva decidere, ed il suo stato d’animo è il rimpianto.
Quindi, parlare di questo doppio statuto letterario, vuol dire affermare che Enea vive un dramma esistenziale interiore perché, da una parte, tende al futuro con l’accettazione del fato, dall’altra, però, tende al passato con il carico di sofferenza e rinuncia che questo comporta. Enea, quindi, possiamo affermare poter essere paragonabile al Tasso, caratterizzato dal sui bifrontismo, un personaggio irrequieto in continua lotta con sé stesso. Nei momenti migliori dell’Eneide, comunque, troviamo un Enea in cui i due aspetti coincidono perfettamente, un Enea che risulta un personaggio artisticamente riuscito proprio per questo contrasto.
Per quanto riguarda il tema della guerra, essa era sempre stata giustificata dal desiderio di gloria: “felici coloro che muoiono in battaglia per acquistano ricordo imperituro”. Anche gli eroi di Virgilio affrontano la guerra e la morte in battaglia perché bella: ma questo sistema di valori non è più fisso per Virgilio, perché se da una parte c’è irazione per l’eroismo, dall’altra c’è una riflessione sulla morte che è immatura, prematura; la morte, quindi pare triste: l’autore narra la morte di questi personaggi, per lo più giovani combattenti, ma deplora le loro morti. Pallante, figlio del re Evandro, mandato in aiuto ai troiani, con i suoi va in aiuto di Enea, entra in battaglia e ha la sfortuna di scontrarsi con Turno che, prima di ucciderlo, gli strappa la cintura con raffigurata la scena dei cinquanta uomini uccisi dalla cinquanta danaidi durante la prima notte di nozze, uccisi “foede”, con vergogna, in modo turpe. Pallante muore nella sua prima battaglia, come d’altra parte erano morti anche i giovani Eurialo e Niso. Qui troviamo il dolore dell’autore nel constare che la guerra è anche uno strumento di morte prematura dei giovani. Significativa è la descrizione dei cinquanta giovani uccisi la prima notte di nozze. Troviamo quindi un abisso tra quello che si sperava e quello che invece la realtà comporta: la guerra non sempre porta solo gloria ma anche morte. Considerazione della gloria immortale portata dalla virtus che supera la caducità della vita, quasi ad obbedire a schemi classici.

La concezione Epico – Storica di Virgilio

Fino a questo momento, il maggior punto di riferimento per quanto riguarda il poema epico era stato Ennio, ora messo da parte. L’Eneide, quindi, è:
- Un poema epico nel senso classico, che esorta Roma; è il poema nazionale perché ha come scopo l’esortazione indiretta dei romani e della gens Julia.
- Celebrazione di un ideale maggiore di civiltà e cultura che è per tutti gli uomini: l’Eneide diventa il poema universale e non solo di Roma.
Un esempio può essere il sesto canto, all’interno del quale Enea incontra, nell’Ade, Anchise che gli fa una lista dei suoi discendenti a partire da Silvio (figlio di Enea e Lavinia) fino ad arrivare a Marcello, nipote di Augusto. Questa lunga parte del canto sesto rappresenta proprio un’esaltazione della grandezza di Roma. Ma questo canto è anche qualcosa in più: troviamo infatti una celebre frase che enuncia il codice generale di comportamento morale per la popolazione romana: “tu regere imperio populos, Romane, memento
(hae tibi erunt artes), pacique imponere morem,parcere subiectis et debellare superbos", ovvero, “Tu ricorda, o Romano, di dominare le genti;queste saranno le tue arti, stabilire norme alla pace,
risparmiare i sottomessi e debellare i riottosi”. Queste parole, messe in bocca ad Anchise, non vogliono valere solo per i romani ma vogliono essere utili per tutti coloro che si trovano in una posizione di superiorità.
L’Eneide è il poema di Roma e dell’uomo in generale in quanto diffonde un ideale di comportamento più ampio: ci ricolleghiamo a quella che era l’Humanitas degli Scipioni.
Virgilio è poeta epico ma anche poeta dei campi, della campagna, dei pastori, ed il suo animo non è indirizzato unicamente verso le guerre, verso le quali, spesso, si trova a dover avanzare note malinconiche e di dolore.

La religiosità di Virgilio

L’Eneide è anche il poema dei valori in quanto Virgilio dimostra di avere un atteggiamento religioso, innanzitutto perché rispetta le pratiche religiose tradizionali e poi per il fatto che rielabora personalmente la religione, prendendo spunto da culture orientali (Orfici) ed alcune correnti filosofiche. La religiosità Virgiliana si basa su tre principali punti:
1. Ansia del divino: desiderio del divino per andare al di là della contingenza, per evadere dalle situazioni quotidiane e dagli aspetti traumatici e precari della realtà ed ancorarsi a qualcuno, a qualcosa, di più solido, trovare punti di appoggio saldi all’interno della propria esistenza.
2. Virgilio si interroga e ricerca la verità con inquietudine: la sua non è una ricerca serena in quanto quest’ultima porta pure dolore; Virgilio si interroga riguardo la morte dei giovani, si fa domande riguardanti gli avvenimenti della vita che, apparentemente ingiusti, travolgono vecchi e giovani, uomini e donne, senza alcun riguardo.
3. Fratellanza umana
Enea stesso incorona la religiosità di Virgilio: il protagonista dell’Eneide, infatti, è detto “Pius Enea”, uomo che incarna la “pietas”, uomo che è rispettoso verso le divinità e che prova amore e rispetto verso la famiglia. Quella di Enea non è, dunque, una dimensione verticale, ma orizzontale, con un profondo rispetto per la patria e per il prossimo.
Il “Fatum”, la Sorte, però, è sempre presente ed è quello che guida Enea: “Fatum”, letteralmente, significa “ciò che è stato stabilito”, cioè qualcosa che deve per forza avvenire, come, per l’appunto, il viaggio di Enea. Con Fatum possiamo intendere la volontà immutabile degli Dèi od anche una volontà provvidenziale che non avviene alla cieca ma che, anzi, guida l’uomo: esso non è una forza casuale, ma obbedisce comunque ad un progetto.
Virgilio, con la sua sensibilità, sente i problemi , si accorge della sofferenza e del dolore che esistono all’interno della sua popolazione e delle altre, ma non cera di risolverli: Virgilio attenua queste problematiche attraverso un atteggiamento triste e malinconico, una profonda pensosità che gli permette di resistere a tutto questo.

La figura di Didone

Didone non è sicuramente un’invenzione di Virgilio: essa, infatti, era nata a Tiro, aveva fondato Cartagine e si era uccisa, in seguito, per evitare le nozze con un re Africano.
Probabilmente, il primo a collegare Didone ad Enea fu Nevio, nella sua opera “Bellum Punicum”, collegamento che l’autore sembra abbia fato per provare che l’odio tra Romani e Cartaginesi nasce dall’oltraggio rivolto da Enea alla regina di Cartagine.
Virgilio, però, prende spunti anche da altre fonti per dar vita al suo personaggio: sicuramente, prende spunto dall’Amedea delle tragedie greche, dall’Amedea delle Argonautiche di Apollonio Rodio, dall’Arianna di Catullo protagonista di uno dei suoi carmina docta, donna abbandonata e tradita. D’altronde, queste figure di donne molto giovani hanno una concezione dell’amore ancora troppo prematura, per esse amare un giovane significa essere libere ed uscire dal controllo della famiglia; per Didone, invece, donna matura, regina di Cartagine, amare significa difendere un prestigio di cui si dimentica seguendo Enea.
La Didone di Virgilio, dunque, è idealizzata, patetica, ha la forza di morire, mentre Enea è inerte e freddo, quasi senza cuore. Enea, d’altra parte, ha un doppio statuto letterario e perciò ciò che deve fare non sempre coincide con ciò che vuole fare.
Didone non segue la ragione ma segue questo “extracomunitario” e la via della passione: questo ci è mostrato anche dai suoi discorsi, mai ragionamenti perfettamente logici, ma anzi spesso pieni di rabbia, voglia di vendetta e di considerazioni riguardo il proprio essere regina.
Il dramma di Didone, quindi, diventa il dramma della solitudine, di chi si sente solo perché tradito da persone in cui aveva riposto tutte le proprie speranze. Didone non poteva rimproverare ad Enea di averla rapita perché ad andare da Enea era stata lei stessa, venendo meno ai propri principi e alla memoria del marito defunto.
Quelle di Didone ed Enea sono vicende antitetiche perché l’una rappresenta la caduta di chi ha dimenticato tutti i propri doveri morali e politici, l’altro, invece, è colui che obbedisce agli imperativi morali, al Fato, che gli dicono di continuare il proprio viaggio: Didone precipita ed arriva al suicidio mentre Enea arriva nel Lazio e porta a compimento anche la sua figura politica.
Il tema della donna abbandonata torna anche nella nostra letteratura con autori come Tasso che ci parlano ancora di donne abbandonate, tradite o pazze d’amore come Erminia ed Armida.

Domande da interrogazione

  1. Quali sono le principali fonti di ispirazione per Virgilio nella composizione dell'Eneide?
  2. Virgilio si ispira principalmente all'Iliade e all'Odissea di Omero, nonché alle Argonautiche di Apollonio Rodio. Altri autori che influenzano Virgilio includono Livio Andronico, Nevio ed Ennio.

  3. Qual è l'obiettivo principale di Virgilio nel comporre l'Eneide?
  4. Virgilio intende celebrare Roma e Augusto, cercando di diventare l'Omero latino e lodare Augusto attraverso il racconto dei suoi antenati, pur mantenendo un equilibrio tra epica omerica e celebrazione.

  5. Come viene rappresentata la figura di Enea nell'Eneide?
  6. Enea è rappresentato come un eroe complesso, con un "doppio statuto letterario": oggettivamente come strumento del fato e soggettivamente come uomo che prova smarrimento e rimpianto, vivendo un dramma esistenziale interiore.

  7. Qual è il ruolo della religiosità nell'Eneide di Virgilio?
  8. La religiosità è centrale nell'Eneide, con Virgilio che rispetta le pratiche religiose tradizionali e rielabora la religione, basandosi su ansia del divino, ricerca inquieta della verità e fratellanza umana, incarnata da Enea come "Pius Enea".

  9. Come viene descritta la figura di Didone nell'Eneide?
  10. Didone è rappresentata come una figura idealizzata e patetica, che segue la passione e si sente tradita, portando al dramma della solitudine. La sua vicenda è antitetica a quella di Enea, che obbedisce al fato e ai doveri morali.

Domande e risposte