Concetti Chiave
- I Romani consideravano i barbari come selvaggi arretrati, ma alcuni li vedevano come simboli di libertà perduta.
- Tacito elogiava la semplicità dei costumi dei Germani rispetto alla corruzione romana, suggerendo che Roma doveva imparare dai barbari.
- Alla fine dell'epoca antica, molti generali dell'Impero erano barbari, e alcuni scrittori cristiani apprezzavano i barbari per la loro potenziale adesione al Cristianesimo.
- Un prigioniero romano, secondo lo storico Prisco, preferiva la vita tra gli Unni per la loro lealtà e giustizia rispetto all'oppressione dell'Impero Romano.
- I ceti popolari potevano vedere poco cambiamento nei padroni, mentre i ceti superiori erano legati all'idea della missione civilizzatrice di Roma.
Per i Romani, i “barbari” erano l’espressione di un’umanità arretrata, feroce, selvaggia. Però non tutti la pensavano in questo modo: per alcuni, essi incarnavano anche la libertà che Roma aveva ormai smarrito. Tacito (nella Vita di Agricola), descrivendo le campagne in Britannia, attorno al 90 d.C., attribuisce a uno dei condottieri barbari, Calagaco, un discorso in cui esorta i suoi connazionali a difendere la loro libertà contro gli invasori Romani, i quali non sono altro che “predoni del mondo” (raptores orbis); il discorso si conclude con queste parole: “rubare”, massacrare, trucidare con falso nome chiamano impero, e dove hanno fatto il deserto la chimano pace”.
In un’altra opera, la Germania, Tacito ammira senza riserve la semplicità di costumi dei Germani, in rapporto alla corruzione in cui Roma è caduta. La salvezza di Roma, per Tacito, passa appunto dal rendere esempio dai barbari, in questo, restaurando gli antichi costumi che avevano fatto Roma grande, al tempo in cui era ancora un po’ “barbara” anche lei.
Quando alla fine dell’epoca antica i barbari si stanziarono nelle terre dell’Impero appare come un misto di paura, disprezzo, angoscia, come se la civiltà stesse ormai crollando; tuttavia, va detto che buona parte dei migliori generali dell’Impero erano ormai anch’essi barbari, e si chiamavano Silicone, Ardabur, Bautone Aspar e simili. Non è rarissimo trovare negli scrittori cristiani del V secolo parole di amministrazione per i barbari e di critica per i Romani: per esempio, Salviano di Marsiglia scriveva che i barbari erano stati contaminati dalle pratiche pagane, come gli spettacoli teatrali e i giochi del circo. Più semplici intellettualmente, e non “corrotti” dalla civiltà pagana, i barbari avrebbero potuto diventare ottimi cristiani in generale, del resto, i monaci condannavano gli aspetti principali della vita cittadina (terme, circo, teatro, sport) che facevano la gloria dell’eredità romana. Barbaro o romano poteva fare poca differenza: l’essenziale era costruire una società cristiana.
Un caso singolare è raccontato dallo storico Prisco di Panes, che guidò un’ambasceria dell’imperatore d’Oriente alla corte di Attila. Qui, gli capitò d’incontrare un prigioniero romano che iniziò a lodare la vita di questi selvaggi cavalieri. Per quest’anonimo personaggio, la vita nell’Impero era un inferno, e non per colpa dei barbari: si era tormentati da fisco rapace, da funzionari corrotti, da banditismo dilagante, da un governo inefficiente e oppressivo; non era possibile ottenere giustizia, non c’era possibilità di esercitare alcuna libertà. Meglio gli Unni, allora, dove la lealtà e il coraggio ricevevano almeno un premio, a alla porta non si presentava l’ispettore del fisco per spogliare con la violenza una povera famiglia sino all’ultima briciola.
Queste idee potevano essere condivise da una piccola parte della popolazione: piccoli contadini, schiavi e in genere gli strati più popolari, ridotti in uno stato di estrema miseria. Per loro cambiare padrone faceva poca differenza. Naturalmente, i ceti superiori erano imbevuti della nozione della missione civilizzatrice di Roma e vedevano lo scontro con i barbari come una lotta di civiltà: è il caso di un alto funzionario, Rutilio Namaziano, che scrisse un poemetto sul suo ritorno in Gallia da Roma: in esso egli sintetizza la missione storica di Roma con queste parole “offrendo ai vinti di partecipare alle tue leggi, hai fatto una sola città di quel che prima era il mondo”. Ora in questa città abitavano anche i barbari, con le leggi loro, e non sarebbe stato più possibile sloggiarli.
Domande da interrogazione
- Qual era la percezione dei Romani nei confronti dei barbari?
- Come Tacito descrive i barbari nelle sue opere?
- Qual era l'opinione di alcuni scrittori cristiani del V secolo sui barbari?
- Cosa racconta Prisco di Panes riguardo alla vita sotto i barbari?
- Come vedevano i ceti superiori romani lo scontro con i barbari?
I Romani consideravano i barbari come un'umanità arretrata e selvaggia, ma alcuni li vedevano come simboli di libertà perduta da Roma.
Tacito ammira la semplicità dei costumi dei Germani e critica la corruzione di Roma, suggerendo che Roma potrebbe imparare dai barbari per restaurare i suoi antichi valori.
Alcuni scrittori cristiani ammiravano i barbari per la loro semplicità e li consideravano potenziali buoni cristiani, criticando invece la corruzione dei Romani.
Prisco di Panes narra di un prigioniero romano che lodava la vita tra gli Unni, preferendola all'oppressione e corruzione dell'Impero Romano.
I ceti superiori romani vedevano lo scontro con i barbari come una lotta di civiltà, credendo nella missione civilizzatrice di Roma, come espresso da Rutilio Namaziano.