Concetti Chiave
- Velleio Patercolo e Valerio Massimo esaltano il principato e le virtù dell'età giulio-claudia, con Patercolo che celebra Tiberio e Seiano, e Massimo che utilizza exempla per un fine moralistico.
- Curzio Rufo narra la vita di Alessandro Magno con imparzialità, sottolineando la sua influenza anche dopo la morte e paragonandolo a Caligola.
- Fedro, liberato da Augusto, scrive favole ispirate a Esopo, con un tono moralizzatore e un evidente pessimismo sulla natura umana e la società del tempo.
- Seneca esamina le contraddizioni della vita tra impegno politico e introspezione filosofica, utilizzando uno stile asiano e teatrale, e innovando con un approccio alla filosofia attraverso conversazioni.
- Petronio crea il Satyricon, un'opera "pluralistica" che combina romanzo, satira e parodia, descrivendo una società corrotta attraverso personaggi ambigui e situazioni ironiche.
Letteratura latina
Età giulio-claudia
Tiberio (14-37), Caligola (37-41), Claudio (41-54), Nerone (54-68).
Velleio Patercolo
Nelle Historiae ad Marcum Vinicium è ricostruita la storia di Roma dalla guerra troiana al regno di Tiberio. L'autore risulta maggiormente efficace nella esposizione degli avvenimenti a lui temporalmente più vicini. Inoltre, celebra il principato e definisce l'epoca di Tiberio "età dell’oro": si registra, infatti, il recupero delle antiche virtù e l’ascesa di nuovi ceti sociali.
Valerio Massimo
Scrisse una raccolta di exempla, ovvero, di episodi tratti dalla storia romana e da quella di altri popoli, dal titolo Fatti e detti memorabili in IX libri, caratterizzata da toni encomiastici, indirizzati alla figura di Cesare e di Tiberio. L’obiettivo dell’autore è, in linea con Velleio, moralistico. La sua opera, opportunamente compendiata, è stata spesso adoperata all'interno delle scuole di retoriche per facilitare l'apprendimento e la conoscenza della storia.
Curzio Rufo
Il suo nome è legato all'opera Historiae Alexandri Magni in cui è ricostruita la vita di Alessandro Magno dall’ascesa al trono fino alla morte la quale, secondo l'autore, ha rappresentato la causa principale della crisi dell’impero. All'intero dell'opera Curzio Rufo, inoltre, celebra il suo princeps Caligola in quanto considera Alessandro il più alto modello di sovrano. Le fonti, cui attinge l'autore, sono costituite dalle numerose opere che lo stesso Alessandro commissionò agli storici che lo accompagnavano in ogni impresa. È opportuno osservare che, per la prima volta all'interno di un'opera storica, si pone l'accento su un personaggio singolo, ovvero, Alessandro, e non su un intero popolo. Il protagonista, Alessandro Magno, è descritto con imparzialità: straordinario sia nei vizi che nelle virtù, fu causa di proteste per i suoi eccessi, per la sua volontà di imitare i popoli vinti e per la trasgressione, ma si configura come un personaggio assolutamente affascinante.
Fedro (Macedonia 20 a.C. - 50 d.C.)
Era uno schiavo che venne liberato da Augusto. Si dedicò all’insegnamento e scrisse 93 favole sul modello di Esopo, considerato l'auctor per eccellenza della fabula, ma rielabora la materia nella metrica, adoperando senari al posto della prosa, e nei contenuti che risultano piuttosto vari. I tratti distintivi della sua opera sono la varietas e la brevitas. I personaggi, tratti soprattutto dal mondo animale, rappresentano delle maschere fisse (ad esempio, la volpe incarna la furbizia, il leone la prepotenza, ecc.), ma sono presenti anche personaggi storici. Nonostante l'intento perseguito dal poeta sia chiaramente moralizzatore, Fedro manifesta un evidente pessimismo in quanto crede che la situazione non possa cambiare: gli uomini non si accorgono dei propri errori e il debole soccomberà sempre al più forte; pertanto, conviene sparire dalla storia. Egli, quindi, accusa la società del suo tempo, piena di uomini oziosi e dominata da dispotismo e servilismo, all'interno della quale le persone oneste, spesso, vengono punite ingiustamente.
Persio (Volterra 34 - 62 d.C.)
Compose un “libro di Satire” dove affronta i classici temi della satira tradizionale inseriti, però, in nuovi quadri narrativi, quali dialoghi e situazioni esemplari. Persio si attribuisce il ruolo di ammonitore denunciando il malcostume dell’epoca e inneggiando allo studio della filosofia. Infatti, il suo uditorio è piuttosto ampio ma, tuttavia, è irriso dal poeta con toni forti. Egli non vede comunque possibilità di miglioramento tant'è che si limita alla critica, senza trovare soluzioni. Lo stile di Persio è caratterizzato dall'uso di parole stridenti al fine di sferzare il lettore (iunctura acris), e di espressioni quotidiane, non più candida iunctura, attingendo ad un vocabolario crudo ma realistico.
Lucano (Cordova 39 - 65 d.C.)
Nipote di Seneca, studiò insieme a Persio, e si suicidò per aver preso parte alla congiura pisoniana.
Scrisse la Pharsalia, un poema epico-storico che tratta della guerra civile tra Cesare e Pompeo. I personaggi principali sono Cesare, Pompeo e Catone: Cesare è descritto come eroe negativo, che si macchia di hybris e di crimini sanguinari; Pompeo, invece, è un eroe tragico, l’anti-Enea, perseguitato dal fato, ed è l'unico personaggio che conosce un’evoluzione interiore; Catone è l’emblema dello stoicismo, colui che combatte la tirannide pur sapendo di perdere, senza temere la Fortuna.
L’opera è considerata più storiografica che epica perché propone un epos nuovo, eliminando l’apparato mitologico tradizionale (anche se il sovrannaturale è presente negli incantesimi e nelle profezie), senza tralasciare, tuttavia, il Fato Oscuro.
La guerra civile è narrata come un lamento funebre con tono indignato e disperato: egli rovescia l’epica virgiliana che vedeva l’età di Augusto come il culmine dell’Impero e considerava la guerra civile una parentesi. Lucano, invece, afferma che i valori risiedono in un passato inevocabile, e svuota del loro valore tradizionale gli oracoli e le profezie che, all'interno della sua opera, rivestono il ruolo di "annunciatori" di morte e sventure.
La visione del mondo di Lucano è stoica ma antitetica perché, nella sua ottica, non esiste un logos provvidenziale ma una forza malefica e capricciosa. Dalla morte non c’è salvezza neanche con la filosofia.
Il tema principale è la fine del mondo perché l’uomo, infrangendo le leggi umane, viola anche quelle universali.
Lo stile lucaneo è originale, caratterizzato da una retorica eccessiva allo scopo di creare un tono sublime e da un narratore invadente che interviene con invocazioni, apostrofi e molteplici discorsi. Si tratta di uno stile anticlassico e drammatico, adoperato per descrivere un mondo derealizzato.
Seneca (Cordova 12 a.C. circa - 65 d.C.)
Studiò presso i migliori maestri di Roma e si appassionò alla filosofia stoica intraprendendo il cursus honorum (prima curò l’asma ad Alessandria e smise di essere vegetariano) e venne introdotto a corte da Caligola ma, in seguito ad uno scandalo, fu mandato in esilio da Messalina in Corsica. Successivamente, con Agrippina, tornò a Roma per istruire Nerone di cui divenne consigliere. Quando il princeps divenne dispotico si ritirò e nel 65 d.C. si uccise dopo essere stato accusato della congiura pisoniana.
È considerato il poeta più moderno in quanto pieno di contraddizioni: pur affermando la necessità di una vita ascetica lontano dalla politica, era ambizioso politicamente. Il suo pensiero contradditorio tra necessità di vita pubblica e importanza di vita privata trova conciliazione con l’idea che l’uomo debba agire per il bene comune, soprattutto se quest’uomo riveste il ruolo di princeps.
Nel De Clementia, infatti, presenta la monarchia come utile e necessaria perché il rex iustus deve regnare secondo le leggi divine e deve avere clementia perché essa è virtù morale e politica, utile ad un buon governo.
Poi, però, quando fu escluso dalla politica scrisse il De otium dove critica ogni forma di governo e si dedica al perfezionamento interiore: solo chi, sottraendosi alle passioni, si dedica alla filosofia è davvero libero.
La filosofia di Seneca è libera da ogni vincolo; si ispira principalmente allo stoicismo ma anche all’epicureismo: la verità è accessibile a tutti, basta studiare con qualità e seguire la natura con la propria ratio divina. È una filosofia della libertà perché con essa l’uomo diventa padrone del suo destino. Seneca vuol persuadere il lettore a percorrere la via della sapienza. Egli è innovativo perché istruisce non più con i mezzi tradizionali ma con conversazioni che rimangono impresse nella mente del lettore.
Nel De brevitate vitae tratta della morte e del tempo: molti uomini lottano per i propri beni materiali senza preoccuparsi dello scorrere del tempo ma si lamentano che la vita è breve mentre dovrebbero impiegarla più correttamente, dedicandosi agli studi; la morte, inoltre, tocca tutti e, man mano che ci si avvicina alla vecchiaia, essa è più vicina, ma non bisogna temerla perché ci libera da ogni schiavitù.
Lo stile di Seneca è asiano, elaborato e teatrale, con andamenti asimmetrici e concentrato sulle singole espressioni (maximum risultato nel minimum spazio); si ravvisa la presenza di antitesi e variatio adoperate per esprimere la sua nuova visione del mondo in conflitto con se stesso.
Le Naturales Quaestiones sono una raccolta di 7 libri di argomento meteorologico: si tratta di uno studio dei fenomeni di cielo e terra che rivelano la natura del cosmo dominato da una mens divina (lega la scienza alla teologia). Ciò che conta è diventare più saggi e avere sapientia per innalzarsi al cielo mentre la sagacitas è inutile. Ogni argomento ha una prefazione etico-filosofica dove si evidenzia la paura dell’uomo di fronte ai fenomeni irrazionali. Il trattato si conclude con una riflessione sugli studi contemporanei: c’è poco impegno e ciò porta all’abbandono delle scuole filosofiche, anche se ha fiducia nel progresso.
In seguito alla ironica laudatio funebris in onore di Claudio Seneca scrisse la satira menippea Apokolokyntosis, “Deificazione di una zucca”, dove dice di narrare ciò che realmente avvenne all'anima di Claudio dopo la sua morte: Mercurio fece morire il princeps che poi si presentò sull’Olimpo dove dialogò stupidamente con Eracle e in seguito gli dei decisero di mandarlo negli Inferi dove fu condannato da Eaco a giocare per sempre ai dadi con un bussolotto bucato. In seguito, l’anima di Caligola lo prese come schiavo per poi darlo a Eaco che, a sua volta, lo trasferì ad un suo liberto. In questa satira menippea ci sono situazioni narrative tipiche, mescolanza di prosa e verso, alternanza di stile aulico e volgare, citazioni erudite parodiche e caricature (“divertissement letterario”).
Scrisse, inoltre, 10 tragedie di data incerta, 9 cothurnatae [ambientazione latina e argomento greco] e 1 praetextama dubbia, ispirate alle tragedie greche classiche di Eschilo, Sofocle ed Euripide: Seneca porta allo stremo la spettacolarità ma amplia i monologhi e le digressioni, rallentando l’azione; inoltre, dà importanza all’animo umano (introspezione psicologica). Il coro commenta solo l’azione.
Furono scritte sia per essere lette che per essere rappresentate, alcune di intento pedagogico. Seneca predilige le vicende cupe e orride (omicidi per amore, follie e suicidi) e i personaggi non si misurano più col fato ma con la propria coscienza, che può indurre a pensieri atroci; i dialoghi mostrano il contrasto tra ratio e furor ed a prevalere è il male. Lo stile è magniloquente, denso e ricco di battute fulminanti con dialoghi di ogni tipo (monologhi o scambio di battute).
Petronio
Scrisse il Satyricon più o meno dopo il 60 d.C., anche se non siamo certi della sua identità. A tal proposito, vi sono due tesi: per i “separatisti” l'autore di quest'opera non è da identificare con il Petronius Arbiter di cui parla Tacito perché egli stesso, nel fare il ritratto di Petronio, non fa accenno all'esistenza di un romanzo (ma fu così anche per Seneca e Luciano), perché le testimonianze su di lui sono tutte posteriori al II sec e perché vi sono molti volgarismi (ma, in realtà, sono ravvisabili anche nell’Apokolokyntosis di Seneca); per gli “unionisti” l'autore del romanzo è, invece, da identificare proprio con il Petronio di Tacito in quanto è evidente il richiamo ad attori e gladiatori dell’epoca neroniana, perché lo stile risulta simile a quello di Seneca e perché vi è la chiara allusione parodistica alle ambizioni letterarie di Nerone.
Il Satyricon è mutilo, privo della parte iniziale e finale e con molte lacune interne. La storia è narrata dal personaggio principale Encolpio in prima persona ma si inseriscono 5 novelle. La storia si può dividere in 5 blocchi: 1) le avventure di Encolpio, Ascilto e Gitone in una città campana; 2) la cena di Trimalchione (episodio più compatto e famoso); 3) l’incontro tra Encolpio e il poeta Eumolpo; 4) l’episodio sulla nave di Lica e Trifena; 5) l’arrivo a Crotone.
I modelli sono vari:
- Romanzo antico, destinato ad un pubblico non elevato, allo scopo d’intrattenere. Ma, in realtà, tale modello è adoperato parodisticamente tant'è vero che i due amanti sono due ragazzi, per di più, infedeli; infatti, l’amore, ingrediente del romanzo antico, è sostituito dai desideri materiali. Inoltre, le situazioni sono serie ed è accentuato l’elemento realistico.
-Odissea: anche in questo caso si tratta di un uso in chiave parodistica perché Encolpio è perseguitato come Odisseo da un dio che è Priapo che lo rende impotente. Sono riscontrabili anche nomi tratti dall'Odissea, quali Circe, (la matrona nel Satyricon), ma è evidente come il mito venga inserito in uno scenario fortemente comico.
-Fabula milesia, novella di argomento erotico narrata con realismo.
-Mimo da cui sono mutuate le situazioni scabrose degli strati più bassi della popolazione.
-Satira da cui derivano le figure dei convitati e il tono della narrazione senza, però, la presenza di invettive.
-Satira menippea per la varietà dei registri linguistici e la funzione di fantasia e realismo.
In realtà l’opera è rivolta ad un pubblico colto. Il viaggio è il centro dell’azione ma si tratta di un viaggio labirintico, pieno di insidie, che non giunge alla fine; dietro Encolpio si cela l’autore che confronta continuamente gli avvenimenti del Satyricon con quelli dei modelli greci.
I personaggi sono viziosi, senza scrupoli, truffatori e volgari, i quali vengono descritti lucidamente da Petronio toccando i problemi del suo tempo (carestie, sovraffollamento, ecc.). Ma non prende mai posizione, non interviene con commenti personali ma lascia il giudizio ai personaggi, mettendo in evidenza la loro natura ambigua: Trimalchione, ad esempio, è un personaggio ridicolo, istintivo ed eccentrico, un plebeo (liberto) che vuole sembrare ricco, ossessionato dalla morte che cerca di esorcizzare. Oltre alla cena di Trimalchione ci sono altri due racconti importanti: la discussione nella scuola di retorica tra Agamennone ed Encolpio, incentrata sulle ragioni del decadimento dell’oratoria, e il brano poetico di Eumolpo, il Bellum Civile dove critica l’assenza del mito nel poema epico (al contrario di Lucano) ma nello stile subisce l’influsso della nuova poetica.
Per quanto riguarda lo stile l’opera è “pluralistica”: in base al linguaggio si distinguono i personaggi colti e incolti, oltre che le novelle (popolare le streghe, colta la matrona di Efeso, intermedia la cena).
Dai Flavi a Traiano
Galba, Otone, Vitellio, Vespasiano (69-79); Tito (79-81), Domiziano (81-96), Nerva (96-98), Traiano (98-117).
La cultura flavia si differenzia da quella claudia in quanto privilegia la retorica, della quale il più illustre rappresentante è Quintiliano (considerato il primo professore pubblico stipendiato della storia) e poiché il genere epico torna nuovamente ad attingere al mito; inoltre, si riscopre fortemente il classicismo (Virgilio e Cicerone, in primis). Non c’è più mecenatismo ma ossequio perché i Flavi non sono interessati alla cultura come i Claudi. Pertanto, la poesia diventa puro divertimento.
Quintiliano (Calagurris 35 - 96 d.C.)
Primo maestro di retorica, insegnò a Plinio il Giovane e a Tacito. La sua opera principale è l’Institutio Oratoria: è un trattato sulla formazione del buon oratore che si apre con un'opinione sull’educazione: i bambini devono studiare retorica da piccoli, non dai 17 anni come avveniva ai suoi tempi. Nella parte centrale tratta le 5 qualità del buon oratore: l’inventio (trovare l’argomento), la dispositio (disporre gli argomenti), l’elocutio (saper attrarre l’uditorio), la memoria(ricordare il testo) e l’actio (esposizione animata).
Il libro X è un excursus sui migliori modelli per il futuro oratore; l’ultimo, il XII, delinea le caratteristiche del perfetto oratore. Quintiliano mostra interesse pedagogico perché spiega come deve essere insegnata la retorica: il buon maestro deve saper individuare l’indole di ogni alunno e indurlo all'apprendimento gradualmente e in modo divertente, abolendo le punizioni corporali come strumento educativo. Per Quintiliano l’educazione inizia in famiglia. Tutti i giovani sono portati all’apprendimento, basta la volontà. Afferma, inoltre, l’importanza dell’istruzione pubblica che favorisce le relazioni e le amicizie, stimola l’intelligenza e l’impegno dei maestri. Il buon maestro deve essere colto, virtuoso, severo nella giusta misura, un secondo padre. L'oratore deve essere perfectus, ovvero, deve conoscere tutte le discipline, e deve essere onesto.
I modelli sono Cicerone e Demostene, evidentemente riadattati alla mutata realtà politico - sociale: la retorica, all'epoca di Quintiliano, viene adoperata come strumento di mediazione tra principe e società perché si mantenga la cultura; infatti, dopo Augusto c’è stata una degenerazione dello stile evidenziata attraverso la critica all’asianesimo ed a Seneca. Lo stile di Quintiliano è caratterizzato dal frequente ricorso alla variatio, alle metafore, agli ornamenti retorici e alle sententiae.
Stazio (Napoli 40 - 96 d.C. circa)
Le notizie biografiche derivano dalla sua raccolta di componimenti lirici, le Silvae che contengono carmina, libelli ed epigrammata i quali ci informano sull’ambiente raffinato della corte, e che tessono le lodi di Domiziano, paragonato ad Eracle; tuttavia, sono presenti anche riflessioni sulla morte e confessioni dei propri sentimenti (buon padre di famiglia). L’opera è eterogenea perché contiene una varietà di temi e di metri (disordine elaborato), c’è il riuso dei tradizionali momenti dell’epos e delle poesie; inoltre, è importante la celeritas (rapidità espositiva) che rende la narrazione spontanea.
Le sue opere più importanti sono la Tebaide e l’Achilleide.
La Tebaide narra la storia dell’assedio di Tebe in 12 libri (6 per i preparativi e 6 per la guerra) e inizia con la maledizione di Edipo sui figli e prosegue con la lotta tra Eteocle e Polinice per il trono che terminerà con l’uccisione a vicenda dei due; poi, è narrata la vicenda di Teseo che aiuta la sposa e la sorella di Polinice a seppellire i corpi dei due, gettandoli su una pira (la fiamma si biforca).
Il modello è l’Eneide sia per la struttura bipartita sia per le situazioni (invocazione di Edipo a Tisifone = quella di Giunone ad Aletto), ma a differenza di Virgilio la guerra è vista come evento malvagio in quanto gli dei vogliono portare il male sulla stirpe tebana e gli uomini sono oppressi dal fatum; dunque, l’opera è un’anti-Eneide come emerge dal contrasto tra la pietas di Enea nei confronti del padre e la maledizione di Edipo a danno dei figli (la pietas è, invece, una qualità che possiede Adrasto, re di Argo). Emerge qui l’idea del potere per Stazio: il desiderio di averlo porta ad esiti tragici; i Flavi sono una liberazione come Teseo che, però, usa la violenza rendendo la vittoria mutila. Gli dei dominano e il fatum è impietoso coi virtuosi, anche se l’autore lascia spazio a uno spiraglio, il passaggio dalla virtus alla clementia sebbene l’ultimo libro si apra e si chiuda con un funerale.
L’Achilleide è un’opera incompiuta che avrebbe dovuto ripercorrere tutta la vita di Achille ma, in realtà, la narrazione giunge fino al suo smascheramento da parte di Ulisse. È una "commedia degli inganni" perché Achille si nasconde nel gineceo di Licomede ma Ulisse lo scopre; viene messa in evidenza la libertà d’azione dei personaggi, anche se Stazio avrebbe dato più spazio alla tematica amorosa. Il personaggio è ambiguo perché si traveste(rimando ai riti iniziatici dell’antica Grecia). La narrazione è agile e divertente e la lingua si ispira ad Ovidio per l'uso dell'esametro e per il contrasto astratto/concreto, e a Lucano per l'intensificazione del patetico e per il gusto per il macabro (ravvisabile anche in Seneca).
Marziale (Bilbili 41 - 104 d.C.)
È stato autore di 15 libri di Epigrammi:
-Liber de spectaculis per l’inaugurazione del Colosseo (80) costruito da Tito, oggetto di lode.
-Xenia e Apophoreta, raccolte di componimenti che accompagnavano dei doni consegnati durante i Saturnali. Nello specifico, gli xenia erano doni per gli ospiti mentre gli apophoreta erano doni estratti a sorte, più preziosi anche se spesso erano accompagnati da altri più poveri per rendere il tutto più divertente.
-Epigrammata sono 11 libri pubblicati singolarmente anno per anno dall’86 al 96; sono di vario genere (autobiografico, satirico, funebre, erotico), tutti introdotti da un proemio dove l’autore espone la propria poetica. L’ordine è casuale per conferire più naturalezza.
L’opera di Marziale è varia oltre che vasta; l’unico elemento di unione tra le varie composizioni è la voce del poeta che descrive la realtà cosi com’è, senza censure, servendosi del carattere giocoso dell'epigramma stesso. Critica l’epos mitologico e la tragedia perché sono generi opposti all’epigramma, di pura evasione, finzione, che non parla della verità, così come la satira che non deve denunciare i vizi ma ritrarre la realtà. La sua è una poesia leggera ma non frivola come la mitologia (si ispira a Catullo). Si concentra sulla gloria elogiando i principes Tito e Domiziano attraverso poesie di carattere celebrativo per le occasioni pubbliche e d’intrattenimento per i patroni.
I temi sono vari e si possono dividere in due categorie: la prima tratta di Marziale stesso (contrasto tra vita cittadina e desiderio di otium in campagna); la seconda è più ampia e descrive la società del tempo, priva di virtù, attraverso personaggi caricaturali i quali, tuttavia, non subiscono alcuna critica personale ma sono descritti in modo obiettivo.
Marziale rimane fedele ai caratteri dell’epigramma ellenistico ma potenzia la concretezza della narrazione e l’effetto sorpresa che viene realizzato spesso con un aprosdoketon, "elemento inatteso": ad esempio, ricorre ad una descrizione per creare attesa oppure ad una domanda da parte di un interlocutore immaginario, oppure ad un finale a sorpresa per il quale è costruita la parte iniziale. Per Marziale l’artificio linguistico è vuota erudizione inutile; si ispira alle Nugae di Catullo che esprimevano immediatezza espressiva. Non mancano grecismi e volgarismi, rifiuta, invece, gli arcaismi, variando gli stili in base al componimento.
Giovenale (Aquino 50 - 127 d.C. circa)
Scrisse 16 satire in opposizione alle recitationes epiche e tragiche che si allontanavano dalla realtà: l'autore vive in un periodo di forte crisi del mos maiorum e trasforma la satira in una rivendicazione della necessità morale: ora è l’indignatio la musa ispiratrice (“facit indignatio versum”); infatti, descrive la realtà come pervasa dal vizio, non riportando obiettivamente i fatti. Critica anche il potere, ma personaggi del passato, Domiziano e Nerone, perché temeva ritorsioni. Giovenale presenta due fasi: 1) poetica di pathos e indignatio; 2) poetica più riflessiva e distaccata (dalla satira X dove riporta la storia di Eraclito che piangeva di fronte ai mali del mondo mentre Democrito rideva); ma la struttura è la stessa così come l'intento di persuadere il lettore con efficacia emotiva. I miti tragici vengono ricordati per risaltare la meschinità dei tempi moderni.
I temi ricorrenti sono il contrasto tra realtà e apparenza (colpevoli i Greci che fingono sempre e invadono Roma), la corruzione e l’astio verso le divitiae (colpevoli i patroni), frutto dell'esperienza personale. I vizi colpiscono anche le donne (senza pudore) e, al suo tempo, l’onestà è vista come portento. Critica anche la religione perché il vizio è insito nell’uomo e gli dei rappresentano il decadimento delle virtù (per lui “mens sana in corpore sano”). Ma le sue critiche non hanno punti di riferimento o pensieri coerenti, perché egli non crede che si possa cambiare il mondo.
Lo stile è elaborato ma egli non riuscì a dare una solida struttura ai suoi testi (troppo scolasticismo); si ispira a Marziale per i cataloghi e l’aprosdoketon. Egli evoca un mondo disumanizzato facendo eseguire ad oggetti inanimati azioni umane. Il linguaggio è legato alla poetica dello smascheramento accostando termini aulici e volgarismi; l’epica è parodistica e i termini osceni sono presenti in chiave innocente.
Plinio il Giovane (Como 61 - 114 d.C. circa)
Allevato dallo zio Plinio il Vecchio che morì nell’eruzione del Vesuvio (79), intraprese la carriera di politico e avvocato. Scrisse molte orazioni ma l’unica a noi pervenuta è il Panegirico di Traiano per ringraziare il Senato dell’elezione a console: ha sia interesse letterario che storico perché è l’unico esempio di orazione dai tempi di Cicerone e perché è l’unico testo che tratta delle attività politiche del primo Traiano. Il tema centrale è il rapporto tra princeps e senatori, conducendo, inoltre, un paragone tra Traiano e Domiziano: il primo rendeva possibile la libertas come ossequio, riuscendo ad ottenere rispetto, mentre il secondo esercitava una dominatio che rendeva il popolo scontento. Era un ammonimento per il futuro perché voleva persuadere il Senato a mantenere la libertas repubblicana esercitando una monarchia costituzionale.
Ma Plinio, non riuscendo ad attrarre il lettore con le tecniche retoriche perché ciò di cui parlava era già noto, si affidò alla varietas per facilitare i passaggi da passi più elevati ad altri più semplici. Inoltre, era criticato per la monotonia e l’eccessiva lunghezza dell’orazione. Per lo stile alcuni lo considerano asiano, altri quintilianeo, altri ancora inferiore alle epistole.
Plinio pubblicò un Epistolario senza ordine cronologico: si tratta di lettere elaborate stilisticamente che si dividono in 3 tipologie: motivazioni pratiche (inviate), relazioni sociali (riflessioni) e ricche di excursus su fatti storici (non pubblicate). Nelle seconde emerge il pensiero di Plinio: egli privilegia gli studia ai facta politici (amava l’otium per fuggire da una politica sempre meno attraente), considera le recitationes una sorta di revisione per poter poi rielaborare l’oratio da pubblicare (actio meno importante), esalta l’ingenium individuale, riprendendo il “Sublime”; critica, inoltre, la persecuzione indiscriminata dei cristiani (bisogna condannare solo chi non rinnega la propria fede). Troviamo anche notizie sulla sua produzione poetica.
Per Plinio lo stile più naturale si trova nelle lettere perché è più aperto e vario, non ornato; si distinguono le epistole narrative-descrittive (più chiare) e quelle più brevi (relazioni sociali). Ci sono varietas e proporzione tra res e verba.
I modelli sono Cicerone (vita privata), Orazio (Sermones), Seneca (le epistole filosofiche), Marziale (attenzione alla realtà), Stazio (Silvae).
Svetonio (Ostia 70 - 132 d.C.)
Studioso erudito, bibliotecario e alchimista, compose molte opere la maggior parte delle quali non ci sono pervenute (opere d’antichità, scienze e biografie).
Possediamo due raccolte biografiche:
-De viris illustribus è una raccolta di biografie di grandi letterati ma abbiamo solo quelle dei grammatici e dei retori, più alcuni frammenti (continua la tradizione iniziata da Varrone e Cornelio Nepote). Ogni libro comprendeva l’indice degli autori trattati, un’introduzione del genere letterario e la vita usando erudizione e curiosità per i dettagli.
-De vita Caesarum, raccolta di vite degli imperatori da Cesare a Domiziano. Ci sono 2 tipologie di racconto biografico: ordinamento cronologico (per tempora) e per rubriche(per species) che Svetonio adopera in questo modo: il primo tipo per le prime e ultime parti della vita mentre il secondo tipo per la parte centrale anche se si registrano delle variazioni. Le fonti sono gli acta ufficiali degli archivi imperiali ed, al tempo stesso, dicerie orali che egli riporta con disinvoltura, senza condurre le opportune verifiche di veridicità. L’attenzione di Svetonio si concentra sui particolari e sulle curiosità perché il pubblico amava il "gossip". Ecco come si spiegano i vari ritratti anche crudeli di alcuni personaggi (Caligola soprattutto).
La prosa di Svetonio è asciutta e disadorna, priva di enfasi e di discorsi ampi; preferisce l’essenzialità ma con ripetizioni che causano monotonia. La lingua non è omogenea ma presenta arcaismi e termini colloquiali che conferiscono realismo all’opera.
Apuleio (Madaura 125 - 170 d.C.)
Studiò filosofia e viaggiò per il Mediterraneo venendo iniziato a molti culti misterici. Incontrò ad Alessandria Sicinio Ponziano, suo amico e ne sposò la madre Pudentilla; dopo la morte di Sicinio i parenti della madre lo accusarono di aver usato arti magiche per influenzare la donna e sposarla per l’eredità. In sua difesa pronunciò in tribunale l’Apologia o De Magia, un'orazione che si articola in tre parti: 1) Apuleio respinge le accuse minori descrivendosi come uomo troppo bello e colto per essere pieno di vizi; 2) sfata le credenze sulla magia che sono, in realtà, esperienze mediche e religiose [descrive due tipologie di magia: sconfessa la magia volgare (stregoneria) ed esalta quella positiva (devozione religiosa)]; 3) parla del suo matrimonio e riporta il testamento di Pudentilla che assegnava i suoi averi al figlio minore Pudente.
Apuleio si basa sulla sua cultura per ridicolizzare gli accusatori e manifesta la propria abilità retorica con digressioni e citazioni (come fosse una micro - conferenza). Nell’opera si incrociano l’orazione giudiziaria e l’eloquenza; notiamo, inoltre, gli influssi di Cicerone per la struttura del periodo e lo smantellamento delle accuse.
Scrisse anche opere filosofiche (era neoplatonico) senza distinguere filosofia, magia e religione, e parlò dei demoni come intermediari tra uomo e dio (come per Plutarco).
Compose, inoltre, Le Metamorfosi o L’asino d’oro, un romanzo antico latino che narra la storia di Lucio, un giovane che spinto dalla curiositas si ritrova a compiere alcune avventure trasformato in asino. L’opera è simile alla contemporanea Lucio o l’asino, scritta dallo pseudo-Luciano che si ritiene, però, composta prima; i modelli sono anche Omero (episodio Circe), le Metamorfosi di Ovidio, il Satyricon di Petronio, la fabula milesia (su ammissione di Apuleio per il tono e l’intento ludico) e il romanzo ellenistico (anche se è più complesso in Apuleio). Rispetto al Satyricon i temi alti non sono parodiati ma riferiti a un pubblico colto. La storia si divide in 3 blocchi: 1) libri I-III narra il viaggio di Lucio con una narrazione lineare; 2) libri IV-X è la più ampia e riporta le disavventure di Lucio trasformato in asino e come il personaggio subisce la trasformazione così muta anche la narrazione che diventa disordinata (eventi uno di seguito all’altro) ma come accade anche nell'Odissea, il protagonista Lucio, proprio in seguito a questo evento, acquista progressivamente saggezza; 3) libro XI la trasformazione di Lucio da asino a uomo grazie alla dea Iside, e così la narrazione cambia di nuovo diventando più mistica con prevalenza di dialoghi. L’ultima parte presenta un racconto iniziatico, un’allegoria del processo di cambiamento interiore del protagonista: dalla punizione per la curiositas, all’espiazione nel corpo di un asino alla salvezza per merito di una dea. Anche la struttura ricorda un rito : 11 libri come 11 giorni del rito (10 di preparazione + 1 del cerimoniale). La storia appare unitaria e tutto si spiega.
All’interno c’è una disposizione simmetrica delle insertae fabule, le storie nella storia: nel primo blocco esse rappresentano un monito contro la magia; nel secondo c’è una serie di racconti sanguinosi che circondano il cuore dell’opera, cioè, la novella di Amore e Psiche (libro VI) che riporta il mito in cui la donna affronta una serie di prove per riunirsi ad Amore. Qui vediamo un parallelismo tra la vicenda dei due innamorati e Lucio che viene liberato da Iside, come Amore libera Psiche; così come si chiama “Voluptas” la loro figlia così anche Lucio dovrà ricercare il piacere insvelabile. Questo è il punto più alto dell’opera e rappresenta l’allegoria dell’itinerario dell’anima attraverso il mondo irrazionale, oltre che essere un messaggio religioso; infatti, l’interpretazione teleologica vede la storia come un percorso rituale dell’iniziato.
Lo stile è sontuoso, lavorato con attenzione, caratterizzato da una lingua originale fatta di neologismi, arcaismi e sermo quotidianus” con uso di figure retoriche. Le caratteristiche principali sono la varietas e l’abundantia che vengono adattate alle differenti situazioni del romanzo.
Tacito (57 - 117 d.C.)
Intraprese il cursus honorum grazie all’appoggio del suocero Giulio Agricola ed entrò nel Senato romano. È stato autore delle seguenti opere:
-Dialogus de oratoribus, trattato sull’oratoria che segue il modello del dialogo ciceroniano: riferisce di una conversazione tra Curiazio Materno (che riporta il pensiero di Tacito) e i maggiori oratori dell’epoca quali Apro e Messalla. Apro elogia l’eloquenza, Materno la poesia, Messalla parla della decadenza dell’oratoria; per Materno l’eloquenza poteva fiorire in tempi di libertà politica. Per Tacito il principato è inevitabile anche se ammira la vecchia repubblica: il princeps ora deve governare insieme al Senato ma i senatores non rispettano gli antichi mores.
-L’Agricola è la monografia della vita del suocero Giulio Agricola, dalla formazione alla carriera che lo porterà ad essere governatore della Britannia. Non è solo una biografia ma anche un exitus inlustrium virorum perché fa riferimento alla vita di Peto e Prisco; inoltre, è una laudatio funebris e anche una critica al principato di Domiziano che era geloso della gloria di Giulio che non ostentava ma si limitava a compiere il proprio dovere, anteponendo gli interessi della res publica ai propri.
-La Germania è una monografia etno-geografica che descrive le popolazioni germaniche implicitamente paragonate alla gente romana. La prima parte tratta dei caratteri generali delle popolazioni germaniche; nella seconda sono analizzate le singole popolazioni. La fonte principale è Cesare ma anche Sallustio, Plinio il Vecchio, Cordo. Tacito dà risalto ai caratteri virtuosi dei Germani: essi sono forti, coraggiosi, non amano il lusso; le loro donne sono fiere e fedeli; per questo i Germani sono un pericolo per i Romani perché amavano la libertas e avevano virtus; trattavano gli schiavi come servi senza concedere le libertà di cui godevano i liberti romani, e non ostentavano nei funerali. Ma Tacito evidenzia anche le loro debolezze (ignoranti, oziosi e rissosi) e su queste fa affidamento per ritardare l’invasione barbarica a Roma.
-Le Historiae e gli Annales sono opere storiografiche che narrano gli eventi passati di Roma: le Historiae trattano gli eventi da Galba a Vespasiano (guerre civili); gli Annales riepilogano la storia di Roma dai re ad Augusto e da Tiberio a Nerone. Tacito voleva narrare anche i principati seguenti (di Tito e Traiano) ma non ci riuscì; tuttavia, la critica al presente è visibile nel ricordo del passato. Nelle Historiae è ravvisabile un parallelismo storico in quanto si fa riferimento all'adozione di Pisone da parte di Galba e, nello stesso periodo, dell'adozione di Traiano da parte di Nerva, in modo da sottolineare come l'adozione fosse lo strumento utilizzato per assurgere al principato. Negli Annales si oppongono le figure di Tiberio (dispotico) e di Germanico (nobile) e Seiano (subdolo); l'autore, poi, descrive eroicamente Cordo e critica quelli che, come Seneca, si uccisero danneggiando il principato (mentre il suicidio di Nerone è utile). Le fonti sono varie: dalla letteratura storica precedente alle memorie private, ai documenti ufficiali e alle testimonianze orali a cui dà poco credito.
La scelta ora non è più tra monarchia e repubblica, ma tra tirannia e monarchia, coadiuvata dal Senato che deve rispettare la libertas. Tacito afferma di voler narrare "senza amore né odio", proclamando la sua obiettività, elemento mancante agli storici del principato, volti all’adulazione. Lo storico ora non è il cantore delle gesta del suo popolo ma il narratore di azioni ignobili; per questo denuncia i vizi della società (molte sono le sententiae).
Gli eventi avvengono per Tacito in base a una Fortuna casuale che disorienta l'uomo, evidenziando il disinteresse degli dei per le vicende umane.
Per quanto riguarda lo stile, il modello di riferimento è Sallustio per la drammatizzazione della narrazione, per lo stile conciso, spezzato, ellittico, fortemente anti-ciceroniano, e per il profondo moralismo. Tuttavia, Tacito supera di gran lunga il modello sallustiano per l’adozione di uno stile caratterizzato anche dall’uso di termini poetici, molti dei quali si rifanno all’Eneide virgiliana, di aggettivi sostantivati e di termini con valenza semantica del tutto inedita nonché per una più profonda capacità di penetrare la sfera psicologica dei personaggi i quali vengono analizzati con particolare attenzione, conferendo ad ogni figura un aspetto complesso: sminuisce i virtuosi, come Seneca, e mostra alcuni tratti positivi di personalità "discusse", come Tiberio e Nerone, riflettendo sul fatto che anche le folle sono irrazionali e lanciate verso il disastro.
Domande da interrogazione
- Quali sono le principali opere di Velleio Patercolo e Valerio Massimo, e quale scopo perseguono?
- Come viene descritto Alessandro Magno nell'opera di Curzio Rufo?
- Quali sono le caratteristiche distintive delle favole di Fedro?
- Qual è la visione del mondo di Lucano nella "Pharsalia"?
- Quali sono le principali tematiche affrontate da Seneca nelle sue opere?
Velleio Patercolo ha scritto le "Historiae ad Marcum Vinicium", che ricostruiscono la storia di Roma fino al regno di Tiberio, celebrando il principato come un'"età dell'oro". Valerio Massimo ha scritto "Fatti e detti memorabili", una raccolta di exempla con toni encomiastici verso Cesare e Tiberio, con un obiettivo moralistico.
Curzio Rufo, nella sua "Historiae Alexandri Magni", descrive Alessandro Magno con imparzialità, evidenziando sia i suoi vizi che le sue virtù. Alessandro è visto come un modello di sovrano, ma anche come causa della crisi dell'impero dopo la sua morte.
Le favole di Fedro, ispirate a Esopo, sono caratterizzate da varietas e brevitas. Utilizzano senari al posto della prosa e presentano personaggi animali come maschere fisse. Fedro esprime un pessimismo verso la società, criticando il dispotismo e il servilismo del suo tempo.
Lucano, nella "Pharsalia", presenta una visione stoica ma antitetica del mondo, priva di un logos provvidenziale. La guerra civile è narrata come un lamento funebre, e i valori risiedono in un passato inevocabile. La sua opera è più storiografica che epica, con un tono indignato e disperato.
Seneca affronta tematiche come la necessità di una vita ascetica, la clementia come virtù politica, e la filosofia come mezzo per la libertà. Nei suoi scritti, come "De Clementia" e "De brevitate vitae", esplora la morte, il tempo e la natura del buon governo, con uno stile asiano e teatrale.