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Concetti Chiave

  • La magia a Roma era percepita come una pratica che violava le leggi naturali e sociali, utilizzata per ottenere informazioni sul futuro e per il contatto con forze divine.
  • La magia romana era vista come una combinazione di medicina, astrologia e religione, considerata fraudolenta ma ampiamente diffusa, coinvolgendo anche gli imperatori.
  • Le streghe, spesso donne straniere emarginate, erano rappresentate come figure inquietanti, che sfidavano l'ordine sociale e praticavano incantesimi per denaro.
  • Diversi termini latini descrivevano le praticanti di magia: saga per le profetesse, venefica per le avvelenatrici, e striga per le trasformiste notturne.
  • La negromanzia implicava l'evocazione di defunti tramite rituali notturni e sacrifici animali, mentre alcune streghe potevano rianimare i morti senza evocazioni.

Indice

  1. Magia, streghe e necromanzia a Roma
  2. Risposta alle incertezze umane
  3. Streghe, donne ai margini
  4. Sagae, veneficae e strigae
  5. Negromanzia

Magia, streghe e necromanzia a Roma

Nel testo appena letto, Lucano si sofferma sulle pratiche magiche compiute dalla strega Eritto che, per ottenere informazioni sul futuro, compie atti contrari alle leggi di natura ma anche a quelle che regolano la convivenza tra gli esseri umani. Ma come era percepita la magia a Roma e da chi era praticata?

Risposta alle incertezze umane

Nel mondo romano la magia ha il suo fondamento nella possibilità di contatto tra esseri umani e forze divine e ha il suo veicolo principale nella parola, una parola “potente”, quella dell’incantesimo. Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XX, 1-2) sostiene che la magia è una mescolanza di medicina, astrologia e religione, originatasi in Persia e passata poi in Grecia e in Italia. Il suo scopo è rispondere a necessità prettamente umane quali la salute, la conoscenza del futuro e il tentativo di controllo dell’azione degli dèi. Si tratta, secondo l’autore latino, di una pratica del tutto fraudolenta, ma assai diffusa nella società romana, dove gli stessi imperatori si rivolgevano talora a maghi e astrologi.

Streghe, donne ai margini

A esercitare la magia, per lo meno nella letteratura, sono soprattutto le donne: di origine straniera (spesso provenienti dalla Tessaglia, patria per eccellenza delle maghe, come Eritto; t2), esse vivono ai margini della società, frequentando luoghi come i cimiteri alla ricerca di materiali per le loro pozioni e i loro incantesimi; affermano di essere in grado di sconvolgere le leggi di natura e spesso prestano i loro servigi in cambio di denaro. A volte sono raffigurate come donne anziane, altre volte sono descritte come brutte, emaciate e pallide come i defunti. Dedite a pratiche anti-sociali, le streghe mettono in discussione l’ordine del mondo “civile”.

Sagae, veneficae e strigae

Dal punto di vista lessicale, la donna che pratica la magia si definisce in latina con diversi nomi: saga (dal verbo sagire, “avere buon fiuto”), quando se ne vuole sottolineare la capacità profetica; venefica, quando si mette in evidenza la sua caratteristica di avvelenatrice; striga (da strix, “rapace notturno”), quando si fa leva sulla sua capacità di trasformarsi in uccello notturno, che si aggira alla ricerca di neonati o bambini in custodia che uccide e di cui beve il sangue. Per allontanare le strigae, che sono in grado di passare attraverso le porte, era necessario, secondo Ovidio (Fasti, VI, vv. 155-162), compiere alcuni riti davanti all’ingresso di casa (qualcosa di simile a quello che occorre fare con le ianare, le streghe delle porte della tradizione beneventana).

Negromanzia

La negromanzia è l’evocazione di alcuni defunti per ottenerne predizioni relative al futuro. Per richiamare in vita un defunto è necessario scavare una fossa nel terreno, possibilmente durante la notte, e versarvi il sangue di un animale nero sacrificato, perché lo spirito del cadavere lo beva e riacquisti la capacità di interagire con il mondo dei vivi. Le due streghe oraziane Canidia e Sagana in Sermones, 1, 8, che conversano poi con i fantasmi usando suoni incomprensibili e animaleschi. In Lucano invece, Eritto non ha necessità di evocare un fantasma, ma può rianimare, grazie ai suoi incantesimi, un individuo morto di recente.

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