I Greci consideravano la tragedia la forma artistica più elevata. Essa rappresentava fatti seri e drammatici, che avevano come protagonisti personaggi di elevata condizione sociale: re, regine, principi, eroi. Secondo la tradizione fu Tespi, un autore e attore del VI secolo a.C. , a creare le prime tragedie. Le tragedie univano sulla scena la suggestione delle parole a quella dell’azione, prendendo spunto da miti e antichi racconti e rappresentando vicende ricche di violenti contrasti e di forti sentimenti che esprimevano i valori e i principi sociali.
Gli argomenti portati sulla scena erano i conflitti e le grandi passioni umane ( la guerra, la gelosia, la morte, il tradimento) e la conclusione era tragica: la morte del protagonista e spesso di altri personaggi. Normalmente le tragedie avevano una struttura fissa e comprendevano cinque atti, articolati in scene. La recitazione degli attori, che non erano mai più di tre ( ma c’erano comparse mute), era accompagnata da musiche e danze. La tragedia si apriva con un prologo, cioè un momento introduttivo di solito recitato da un attore che spiegava ciò che era avvenuto prima ( l’antefatto). Seguivano poi l’ingresso del coro e le scene recitate ( episodi) intervallate da cori. La tragedia si concludeva con una catastrofe che di solito era un fatto di sangue, con molte vittime che non si svolgeva sulla scena ma veniva spiegato dal coro, nell’ultima scena, prima dell’esodo, l’uscita del coro. Un ruolo molto importante veniva svolto dunque dal coro, che partecipava dando consigli, esprimendo opinioni, dialogando con gli attori, di solito senza intervenire attivamente nell’azione. Aveva soprattutto il compito di dare un’interpretazione di ciò che avveniva sulla scena. E’ attraverso il coro che l’autore interveniva e commentava gli eventi.
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