Questione omerica
Settecento
Abate d’Aubignac
Omero non è mai esistito e i poemi rappresentavano l’unione di più canti diversi per epoca e autore;
Giambattista Vico
le opere erano trasmesse oralmente e furono assemblate in seguito;
Uno studioso inglese scoprì l’esistenza del ‘digamma’, notando come la lingua si fosse modificata nel tempo.
De Villoison
Riscrive l’Iliade secondo due codici detti Veneto A e Veneto B che aggiungevano, al testo omerico, informazioni di età ellenistica e imperiale.
Wolf scrive Prolegomena ad Homerum in cui ribadiva come i poemi fossero stati scritti da più autori diversi e i canti furono raccolti nel VI secolo a.C. con la redazione di Pisistrato. Con Wolf iniziò la vera e propria questione omerica perché si basò su studi filologici.
Ottocento
Ampio dominio lo ebbe la filologia tedesca che ricostruì gli stadi che portarono le opere all’attuale configurazione. Dalla teoria dei Canti separati (unione dei singoli nuclei narrativi) si passò a quella della compilazione (opere omeriche come l’unione di epiche minori).
Dalla teoria del nucleo, che evidenziava la genesi da un nucleo originario, si passò a quella delle interpolazioni secondo cui al gruppo originale sia stato aggiunto qualcosa di non autentico.
Inoltre, tutte queste teorie portarono a considerare la stesura dei testi non come contigua, ma relativa, cioè alcuni nati prima, altri dopo.
Inizi del Novecento
Nasce il concetto fondamentale di omogeneità, stesso stile e compattezza. Le opere vengono poste accanto e analizzate, traendo le differenze. In comune hanno la guerra di Troia, quindi, il tema.
Una nuova corrente è la NEOANALISI: l’intera opera è presa e poi suddivisa. Ampio supporto è dato al sistema formulare di W. Parry che poneva, nelle opere, dei punti fermi, chiave, grazie ai quali gli aedi potevano anche improvvisare. Questa teoria fu approfondita grazie al confronto con i canti serbo-croati.
Seconda metà del Novecento
Si cerca di capire il punto di partenza, cioè l’alveo, affrontando genesi, fissazione e scrittura delle opere. Sicuramente l’aedo o il probabile Omero ha scelto, da questa raccolta, i materiali cantandoli, anche improvvisando. Così si abbandonava l’idea di una unica oralità.