Nella prima fase della medicina greca si possono distinguere due filoni:
- Medicina tradizionale
- Medicina scientifica.
La medicina tradizionale era un insieme di metodi empirici e magia, ed era praticata da guaritori dediti a esorcismi e purificazioni. Essi guarivano i malati con erbe e pozioni, ma vi aggiungevano suggestionanti pratiche magiche (si pensava che la malattia avesse origine demoniaca).
Nell’“Iliade” appaiono dei medici come eroi-guaritori, che avevano un culto in varie zone della Grecia e attorno ai quali si sviluppò una categoria di medici-sacerdoti il cui maggior rappresentante tradizionale era Asclepio, poi considerato dio della medicina e nume tutelare dei medici scientifici.
I primi che praticarono la medicina furono dunque i sacerdoti, in particolare nei templi di Apollo, divino padre di Asclepio (per questo essa viene detta medicina templare). In queste occasioni venivano celebrati dei riti e la guarigione era solo un fatto di suggestione.
Intanto si sviluppò anche un atteggiamento scientifico verso le malattie. Seguendo tale sviluppo, il primo medico in assoluto è da considerare Alcmeone di Crotone, del VI secolo a.C., autore dell’opera “περι φυσιος”, che ci è arrivata in frammenti. Essa ha subito l’influenza delle dottrine di Pitagora (come del resto l’intera Magna Grecia), che aveva dato vita alla teoria, sostenuta anche da Alcmeone, dell’equilibrio tra gli elementi all’interno dell’organismo: la salute è determinata dall’armonia degli umori che formano il corpo umano, mentre la malattia deriva dalla prevalenza di uno sull’altro, definita da Alcmeone con il termine di “monarchia”. Egli scoprì anche l’importanza del cervello, partendo da dati induttivi (dal particolare al generale).
Nel V secolo cominciarono a comparire delle schede cliniche sul decorso delle malattie. Pur essendo ancora in una civiltà aurale, ci si stava avvicinando alla civiltà della scrittura del periodo ellenistico. Nell’auralità solo la fruizione avveniva oralmente.
In ambito medico, però, il lavoro di diagnostica si basava sui sintomi e l’indagine scientifica sul corpo umano avveniva in modo filosofico.
Il vero fondatore della medicina antica va considerato Ippocrate di Kos (460-370 a.C. c.ca), un professionista itinerante che esercitò in vari luoghi. A suo nome ci è giunto un “Corpus Hippocraticum”, anche se è difficile distinguere quale di questi 42 scritti medici potrebbero risalire a lui stesso. Scritto probabilmente tra il V e il IV secolo a.C., contiene dai trattati destinati ai medici alle opere divulgative destinate ad un pubblico più ampio. Anche i temi sono vari: clinica, dietetica, chirurgia, ginecologia, traumatologia, malattie mentali. Con opere di vario genere, scritto in dialetto ionico, questo “Corpus” è importante per capire il ruolo della medicina durante il V secolo e, inoltre, per il ruolo fondamentale che ha avuto nella creazione di una specifica terminologia medica.
Gli scritti, come abbiamo detto, sono molto eterogenei, e i più importanti sono quelli filosofici:
- “Sulla malattia sacra”, in cui si analizza la scoperta che l’epilessia ha origine nel cervello e che si può considerare un manifesto del metodo (il principio fondamentale è che vi è la necessità di separare l’approccio scientifico, fondato sulla rigorosa osservazione della natura, da quello religioso)
- “Giuramento” di Ippocrate, dove si definisce una deontologia professionale del medico e se ne delinea la figura con tratti di elevata moralità
- “Prognostico”, dedicato alla decifrazione dei primi segni di una malattia, ossia alla capacità di individuarla partendo da un’analisi metodica dei sintomi
- “Epidemie”, in 7 libri, che è una raccolta di cartelle cliniche
- “Sulle arie, acque e luoghi”, in cui si definisce il rapporto tra malattia e contesto fisico e si sostiene il determinismo ambientale, che agisce sulle caratteristiche non solo fisiche, ma anche morali degli individui e di interi popoli”: l’opera si inserisce nel quadro del più ampio dibattito tra natura e cultura.
Il “Corpus” ha una struttura composita ed è stratificato. Ciò che caratterizza tali scritti è un approccio empirico non astratto, poi vanificato in età ellenistica a causa di una scuola ippocratica molto più dogmatica e ortodossa che elaborerà la teoria dei quattro umori.
In questi scritti ci si occupa poco della terapia tanto che Di Benedetto parla di una “crisi della terapia”. Questo si spiega con la peste di Atene, che aveva dimostrato l’impotenza dei medici: comincia la crisi della terapia e ci si rifugia in un’indagine filosofica astratta.
Una delle più moderne idee del “Corpus” è quella dell’importanza della ginnastica per la salute.
Nell’ambito dell’anatomia conosciamo due importanti opere: “Sulle fratture” e “Sulla riduzione delle articolazioni”.
I medici, poi, diventeranno esegeti del “Corpus”.
Ippocrate è considerata una persona evanescente, come Omero. Egli lavorava nel tempio di Asclepio, ma gli studiosi si sono chiesti: che rapporto c’è tra la medicina templare e i medici laici Asclepiadi? Il rapporto si può spiegare così: nel V secolo i laici sono comunque ancora legati ai templi e alle cure intese come pratiche magiche, mentre i sacerdoti stessi tengono sempre in grande considerazione i medici laici.
La medicina ippocratica si fonda su una premessa scientifica: l’osservazione dei malati, la decifrazione dei sintomi, l’atteggiamento laico. Nonostante queste idee innovative, i medici antichi pensavano che la materia fosse costituita da quattro elementi fondamentali: terra, acqua, aria, fuoco, ai quali corrispondevano nell’organismo quattro umori (bile gialla, bile nera, flegma, sangue).
Sicuramente ippocratica sembra essere stata questa teoria: dai cibi mal digeriti si possono formare dei gas che sono causa delle malattie (secondo Di Benedetto questa teoria deriva dal peripatetico Merone): da qui nascerà l’importanza della dieta.
Platone gli attribuisce anche l’idea di corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo, che devono essere in equilibrio.