Luciano di Samosata fu uno dei pochi intellettuali del tempo (età ellenistico-romana, fine I secolo d.C. – metà del III secolo d.C) a non farsi coinvolgere dall’ondata di misticismo ed irrazionalismo, tanto da criticare anzi i fanatismi e le superstizioni della sua epoca.
Fu uno spirito indipendente, ed anche se ad un certo punto della sua vita prese le distanze dalla Seconda Sofistica, tuttavia ne rappresenta di certo la personalità più creativa.
La vita:
Luciano nacque a Samosata intorno al 120 d.C.
La città era all’epoca una delle più importanti in Siria.Ancora giovinetto, fu mandato nella bottega di uno zio scultore per imparare il mestiere. Ma, avendo maldestramente rotto una lastra di marmo con lo scalpello, lo zio lo picchiò. Corso a casa, raccontò ciò che gli era successo, e della crudeltà dimostrata dallo zio.
Quella notte stessa gli apparvero in sogno due donne che se lo contendevano: l’Eloquenza e la Scultura. Ricordandosi di ciò che era accaduto quel giorno, tra le due Luciano scelse allora la prima, e divenne sofista, girando il mondo osannato dalle folle.
Questo ci racconta Luciano stesso nella sua opera Sogno.
Giunto ai quarant’anni, decise poi di abbandonare quelle “chiassate”- come le definì lui stesso- e di passare dalla retorica al dialogo.
Si è discusso in passato se la “conversione” al dialogo non stesse ad indicare una conversione di Luciano di Samosata dalla retorica alla filosofia, di cui il dialogo era l’emblema. Molto probabilmente no: il genere del dialogo fu adottato solo per poter aderire maggiormente alla realtà’ umana e per poter utilizzare nuove forme espressive.
Visse allora ad Atene, finchè, grazie ad alcuni amici influenti, ottenne un posto ragguardevole nella cancelleria del prefetto d' Egitto.
Lamentandosi nell’opuscolo Sugli stipendi della condizione degradante in cui si trovava, di letterato greco a servizio di ricche famiglie romane, molti lo criticarono ed accusarono di incoerenza.
Nell’Apologia Luciano ribattè perciò che vi è una grande differenza tra l’essere a servizio di privati e lavorare come funzionario pubblico, perché il secondo non è schiavo di nessuno e può anche essere utile alla città.
Nonostante in quest’opera si noti lo sdegno di Luciano nei confronti della boria e dell’ignoranza dei dominatori romani, tuttavia in essa appare anche, ora più di prima, una sua malcelata propensione alla collaborazione con essi.
Negli ultimi anni della sua vita –probabilmente intorno al 180 d.C- tornò poi a fare il sofista itinerante.
Scrisse 80 opere.
Del primo periodo sofistico la più importante è il paradossale Elogio della mosca.
Qui, anche se Luciano riesce, con festosi intrecci di parole ed immagini estrose, a dare dignità letteraria all’animale, tuttavia l’accento batte soprattutto sul virtuosismo letterario, e lo humour dell’opera risulta artificioso e freddo.
L’arte di Luciano di Samosata:
Nel periodo letterario più maturo, gli scritti di Luciano di Samosata sono caratterizzati principalmente dall’uso della satira, piena di scherzo e parodie, humour e a volte sarcasmo. E sebbene allegra e frizzante, tuttavia spesso anche amara e cinica.
Satira filosofica: il nuovo corso di Luciano era cominciato proprio con la scoperta della filosofia, in seguito all’incontro col platonico Nigrino. Ma l’entusiasmo provato si era presto spento, come ci dice egli stesso nel Pescatore.
Prima di quest’opera, Luciano aveva scritto le Vite all’incanto, nella quale le vite dei filosofi del passato (Pitagora, Diogene, Socrate...), venivano messe in vendita. Nel Pescatore, invece, essi resuscitano per punire Luciano, colpevole di averli in precedenza derisi. Portato in tribunale, Luciano afferma allora, davanti alla Filosofia, di aver inteso deridere solo i filosofastri del suo tempo, che scimmiottavano gli antichi sapienti. Essi, dice Luciano, sono come dei pesci attirati all’amo da un’esca d’oro e fichi secchi. Una volta tirati su, nessuno di loro viene riconosciuto dai propri maestri, e sono perciò gettati sugli scogli.
Nota: Molti hanno voluto intendere, in quest’opera e nelle Vite all’incanto, uno sdegno da parte di Luciano anche verso i filosofi antichi, considerando soprattutto il modo umiliante in cui essi sono descritti e derisi nella seconda. Del resto non c’è mai, anche nel Pescatore, adesione interiore alla filosofia da parte dell’autore, ma solo un grande pessimismo. Luciano è un uomo aggrappato alla razionalità, ma dubita che si possa con essa arrivare alla verità. L’insufficienza della filosofia è per lui palese, e quindi la ragione non può che condurlo verso la via dello scetticismo.
Satira religiosa: un altro bersaglio comune nella satira di Luciano è la religione. Sull’Olimpo egli immagina divinità ridicole, vanitose e piene di vizi. La sua satira a riguardo è comunque garbata, quasi come descrivesse una scena di vita quotidiana: nei Dialoghi degli déi, Hermes viene descritto come un piccolo ladro, Zeus come un casanova, ed Era come una moglie gelosa. Luciano è abilissimo nel descrivere e dissacrare questo mondo.
Zeus è solitamente quello maggiormente preso di mira. Ad esempio nello Zeus confutato, il dio discute con un cinico, che lo mette spesso alle corde su questioni importanti, come il potere degli déi di fronte al fato, la loro presunta felicità (dal momento che Efesto è brutto e zoppo e Crono è ancora incatenato al Tartaro) e l’ingiustizia delle punizioni umane giacchè caratterizzate dall’ineluttabilità.
Appare dunque evidente che anche gli dèi, come gli uomini, sono in balìa del destino. Ma almeno gli uomini muoiono e diventano liberi, mentre per gli dèi la schiavitù è eterna.
Non mancano però, in Luciano, anche critiche verso la nuova religiosità misticheggiante, superstiziosa ed irrazionale.
Un esempio è la Morte di Peregrino, dove si narra di uno spudorato avventuriero chiamato anche Proteo, perché come il Dio marino subisce varie metamorfosi prima di diventare fuoco.
A causa dei suoi crimini, Peregrino viene costretto ad abbandonare la patria e, giunto in Palestina, diventa cristiano. Ma dopo alcune controversie con i cristiani, si unisce ai cinici, criticando così tutto e tutti.
Infine, per attirare l’attenzione di tutti, annuncia la pazza idea di volersi gettare nel fuoco durante i giochi olimpici, onde dimostrare i suo disprezzo per la morte.
Il personaggio di Peregrino è colpito da Luciano senza pietà, poiché prigioniero di un desiderio di gloria talmente ampio che lo spinge ad uccidersi anche quando non vuole.
La sua critica colpisce però soprattutto le superstizioni a cui credono i suoi contemporanei, che sono creduloni e stupidi.
Il mondo è così accecato, che nell’ultima parte, quando Luciano stesso narra alla gente sulla via cosa ne è stato di Peregrino, le parole che dovrebbero smascherare l’impostura la rendono invece più credibile ai loro occhi.
Molti ritengono lo scherno di Luciano rivolto anche verso i cristiani, anche perché la morte di Peregrino ricorda sotto molti aspetti quella di un martire.
Può essere vero, tuttavia Luciano descrive i cristiani come persone buone e caritatevoli, non superbi ed impostori come Peregrino. Sono solamente creduloni, e guardati con un certo compatimento, perché hanno quella speranza che a Luciano manca.
Satira sociale: Il terzo bersaglio della satira di Luciano sono i vizi e stoltezze degli uomini.
E’ un periodo, quello in cui vive Luciano, di serenità e benessere per l’Impero: è un secolo d’oro. Tuttavia affiorano, al di là della facciata, anche elementi disgregatori, che esploderanno nel secolo successivo.
L’eroe di questa satira è Menippo, filosofo cinico, personaggio descritto nell’opera Dialogo dei morti.
Egli arriva, una volta morto, da Caronte –traghettatore infernale- talmente povero da non aver soldi per poterlo pagare. Tuttavia la sua grandezza interiore e la sua libertà, che pure non possono niente contro la morte, non solo irridono quest'ultima, ma riescono anche a mettere in crisi sia Caronte che Ermete.
Nell’opera è presente una critica verso chi si lascia dominare dalle ricchezze e dai piaceri, dimentichi del dover morire al punto da rimpiangere le ricchezze anche da morti. Al rogo finisce però anche la bellezza, che diventa per tutti un macabro teschio.
In Luciano c’è sempre il dramma di non poter riempire il vuoto lasciato dalle illusioni cadute. Con esse l’uomo perde sicurezza ed identità.
All’inizio viene infatti apprezzata la morte che toglie ogni distinzione, ma poi la mancanza di tratti distintivi che essa genera, provoca sgomento.
I romanzi:
Tra le opere di Luciano spiccano due romanzi, di cui il primo, per la verità, quasi certamente non appartiene a Luciano di Samosata.
Lucio o L'asino: l’opera narra la storia di un giovane che, giunto a casa di un amico, si accorge che la moglie di questi è una maga. Ruba dunque i suoi unguenti per trasformarsi in un uccello, ma sbaglia e diventa asino.
L’unico modo per tornare come prima è mangiare delle rose, ma prima di poter far questo, il giovane viene rapito dai briganti che lo trascinano suo malgrado in una serie di avventure.
Un giorno, condotto in un teatro ad esibirsi, vede un tale con delle rose, le mangia e torna uomo.
L’argomento di questa storia non è originale, tant’è vero che un certo Lucio di Patre ne avrebbe scritta prima ancora una versione più ampia, e che la vicenda, anche se con maggiori riferimenti allegorici e mistici, è presente nelle Metamorfosi di Apuleio.
E’ probabile che tutte e tre queste versioni (quella di Luciano di Samosata, di Lucio Patre e di Apuleio) derivano da uno dei racconti delle Milisie di Aristide.
La storia vera: questo romanzo ci porta invece nel mondo della favola e della fantascienza. Narra di una navicella che, passate le colonne d’Ercole, viene sollevata da un uragano e portata sulla Luna. Qui l’equipaggio, comandato da Luciano stesso, combatte con i lunari contro i solari.
L’equipaggio riparte, alla volta della Terra. La nave viene però inghiottita da una balena, all’interno della quale si trovano uccelli, una foresta e persino un tempio dedicato a Posidone. Giunti ad un casolare, vi trovano un vecchio e suo figlio, che vivono ormai da molti anni dentro la balena.
Passati molti mesi insieme, questi e l’equipaggio decidono di fuggire: appiccato un incendio alla foresta, mentre la balena muore, essi riescono a fuggire passando attraverso i suoi denti. Tornati in mare, essi raggiungono l’isola dei Beati, dove avviene l’incontro con Omero.
Ripreso il viaggio, raggiungono, dopo una breve sosta all’isola degli Empi, l’isola dei Sogni, piena di papaveri e pipistrelli. Dopo un’altra breve tappa, raggiungono infine il continente posto agli antipodi della terra abitata. E qui la storia si conclude, con la promessa però di concluderla in libri successivi.
In questo romanzo sembrano venir meno le usuali razionalità e verità di Luciano, per abbandonarsi alla fantasia. In realtà lo scenario fantastico nasconde un proposito polemico ed irridente.