Anteprima
Vedrai una selezione di 3 pagine su 6
Luciano di Samosata - Vita e opere Pag. 1 Luciano di Samosata - Vita e opere Pag. 2
Anteprima di 3 pagg. su 6.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Luciano di Samosata - Vita e opere Pag. 6
1 su 6
Disdici quando vuoi 162x117
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Sintesi
Luciano rappresenta il principe della sofistica ma rappresenta anche il meglio del romanzo. Nasce nel 120 d.C. e muore sicuramente dopo il 180 d.C.
Viene a far confluire nella sua straordinaria figura, che consideriamo in qualche modo conclusiva della storia greca, questi due generi a loro volta conclusivi della storia della letteratura greca: la Seconda sofistica e il romanzo.

Per il suo essere sofista (come retore) e romanziere è paragonabile al coevo Apuleio (II secolo).
Entrambi si situano nel cuore del II secolo, entrambi nascono ai margini della romanità, fuori da Roma e dall’Italia e anche proprio fuori dall’Europa. Luciano è orientale, di Samosata (attuale Turchia), mentre Apuleio è di Madaura (attuale Algeria).
Sono entrambi molto dotti e perfetti conoscitori delle due lingue (greco come lingua più antica e del mondo orientali, latino per girare nel mondo romano). Luciano sviluppa la sua opera in lingua greca, Apuleio in lingua latina.

Entrambi molto intelligenti, brillanti, vivaci, assoluti conoscitori della lingua ma anche di tutte le tecniche dell’espressione linguistica orale e scritta, brillanti conferenzieri, rappresentando l’apice dell’espressione sofistica. Inoltre entrambi affascinati dal genere poliedrico e multiforme, in cui molto può stare: il romanzo. Questo genere, per la vivacità di entrambi questi autori, ben si distacca nell’uno e nell’altro caso dal piattume ripetitivo e dal patetico dei romanzi citati in precedenza, per raggiungere vette con cui, in brillantezza, entrambe le letterature si esauriscono.

La biografia di Luciano è profondamente complicata, ricca, difficile da districare. Ci basta segnalare per la vita ancora un dato, che connota la differenza con Apuleio: per Luciano è quasi certa una nascita umile. Da giovane fu apprendista nella bottega di uno zio scultore; questa allude ad una nascita non alta dal punto di vista sociale. La sua avventura di apprendista scultore sarebbe durata molto poco: ben presto ruppe una statua importante e, di conseguenza, fu punito dallo zio e cambierà mestiere.

La produzione biografica


Di questo episodio presso la bottega dello zio scultore ci parla nell’opera “Il sogno”, in cui immagina che in sogno gli apparissero due donne, personificazione di due donne in scultura e cultura (= prosopopea). Le due donne se lo sarebbero tirate a sorte, rappresentando una riproposizione dell’opera dell’antico sofista Prodico di Ceo, che immaginava in siffatta situazione Eracle, semidio, conteso tra la virtù e il vizio.
Seguendo quel modello, Luciano inventa questo sogno, che, secondo una parte della critica, avrebbe una base biografica, a segnalare il suo passaggio dall’attività imposta dalla famiglia e il suo ideale di approfondire la sua cultura - soprattutto in senso filosofico.
In questo sogno c’è anche un qualcosa che può ricordare il topos dell’investitura poetica, per primo nella “Teogonia” di Esiodo.

Un’altra opera che leggiamo come autobiografica è “Il Nigrino”, in cui l’autore immagina di parlare con un amico, di resocontare un incontro con un amico, a cui racconta un incontro che ha avuto a Roma con il filosofo Nigrino. È un filosofo di cui nessuno sa niente: si è pensato ad un’invenzione lucianea oppure al rovesciamento di un filosofo platonico che, all’esatto contrario, si chiamava Albino. Inoltre è interessante perché racchiude elementi riguardanti la vita dell’autore.

Si riconduce a “Il sogno” un’altra opera biografica: il dialogo “Due volte accusato”.
In quest’opera l’autore non si chiama col suo nome ma si identifica col nome Siro. Qui Luciano immagina di essere conteso tra due astrazioni figurate (= prosopopea): la retorica (operazione da deuterosofista) e il dialogo - nella maggior parte delle sue opere Luciano si avvale della forma dialogica.
La retorica lo accusa di tradimento per aver abbandonato la strada della vita di conferenziere da deuterosofista per dedicarsi alle opere anche di altro genere, mentre il dialogo lo accusa di aver trascinato nel fango un genere nobile (i primi dialoghi della storia greca e romana risalgono a Platone quindi hanno un’altezza straordinaria; Platone viene ripreso come modello da Cicerone e Seneca).
Dunque anche il dialogo lo accusa in qualche modo di tradimento, per averlo degenerato e averlo trasformato in basso da alto che era.

Infine fa parte della produzione biografica “Apologia”, uno scritto minore che riveste sicuramente l’importanza dell’opera omonima di Apuleio. È significativa quest’opera: l’autore si giustifica, in una lettera ad un amico, per aver accettato una carica a pagamento in Egitto. Si arrampica un po’ sugli specchi dicendo che un conto è una carica a pagamento in nome dello Stato, un conto è invece una carica a pagamento presso privati.
L’amico Sabino lo contesta visto che, in un altro scritto, Luciano se l’era presa con gli istitutori privati, con coloro che vivono come istitutori nella casa dei ricchi (= Parini in letteratura italiana). Nell’Apologia chiarisce questa differenza, che sente forte e importante, tra l’essere pagato dallo Stato, che sente come un impiego nobile e degno, e l’essere pagato da privati, che sente come più servile.

La produzione sofistica


Le opere sofistiche, nel senso retorico più che filosofico, sono:
- Erodoto o Aezione: nel titolo ricordano lo storiografo Erodoto e il pittore Aezione, auspicando di raggiungere ad un successo pari al loro nella sua opera retorica
- La Sala (valore di ἔκϕρασις)
- Ippia o il bagno (valore di ἔκϕρασις)
- I Ritratti (o Εικονες): l’autore non opera col suo nome ma lo storpia in Licino. È un intento celebrativo quello di Luciano nei confronti dell’imperatore Lucio Vero (anni ’60 del II secolo)
- Il tirannicida: in quest’opera Luciano riflette su questo gesto di violenza

Produzione polemica


Le opere polemiche sono le opere in cui se la prende con ciò che non gli piace dell’antichità e degli altri, mostrando appieno lo spirito beffardo, ipercritico, distruttivo e mordace, che insistentemente lo caratterizza e che ne rappresenta un limite.

Tendenzialmente si distrugge e si pratica quella che in filosofia si chiama “pars destruens” bisogna anche ricostruire, costruendo la cosiddetta “pars costruens”. In Luciano la pars costruens manca del tutto: si limita a distruggere, con ironia beffarda.
Cosa lascia la sua maceria? Nient’altro che l’esortazione, l’invito e l’esempio a seguire la ragione.
È un’implicazione molto vaga, quindi possiamo dire che al fortissimo spirito distruttivo non corrisponde lo spirito costruttivo, che non sia l’aver formato un modello o un paradigma di intelligenza lucidissima perché sempre razionale.

Gli scritti polemici, meglio ancora di quelli biografici o filosofi, ci presentano questa sua capacità di sfottò e distruttiva e mordace, soprattutto nei confronti di chi parla a vanvera, di chi mente senza rendersene conto perché mossi da un principio irrazionale.
In questi scritti se la prende anche con i cristiani, con un discorso sostenuto alla pari da Tacito (Annales, 16) e Plinio il Giovane.

Gli scritti politici sono:
- Gli innamorati della menzogna
- Alessandro o il falso profeta
- La morte di Peregrino: Peregrino è talmente ciarlatano che, per attirare gli sguardi su di sé, si dà fuoco ma sbaglia le misure e muore in un suicido pubblico allucinante
- Menippo o la negromanzia: motivo del viaggio nell’aldilà e della presenza del cinico Menippo lì

In particolar modo sono l’idolo polemico di Luciano i filosofi.
Luciano non apprezza la filosofia: vivendo nel II secolo dell’epoca volgare comprende che negli ultimi otto secoli la filosofia ha cambiato i percorsi senza garantire mai davvero salvezza all’uomo, quindi perché credere ancora nella validità di un percorso filosofico?

Sembra salvare da un parlare che considera generico soltanto Menippo, i cui toni dovevano profondamente piacere a Luciano, che a sua volta tende con facilità a variare di genere.
Menippo diventa una sorta di suo portavoce, per cui la filosofia cinica è l’unica nei confronti della quale non appuntisca critiche feroci.

In questo discorso sugli scritti polemici è da ricordare molto il suo atteggiamento antireligioso, essendo il suo un razionalismo ateo.
Ecco in cosa consiste il punto di distanza tra Luciano e Apuleio: in Apuleio troviamo la magia e i culti misterici nel libro 11 delle “Metamorfosi”, in cui si fa riferimento ai dieci giorni di purificazione e all’accesso ai misteri nell’undicesimo giorno.

Sono anche questi i due aspetti, i volti di una stessa faccia: il II secolo, sul quale abbiamo aperto le danze leggendo “Encomio a Roma” di Elio Aristide, a livello speculativo, filosofico e religioso è un secolo di estrema crisi.
Ormai la crisi del pensiero filosofico e del sentire religioso è vivissima, forse proprio a causa della nascita nel secolo precedente del nuovo credo cristiano, che dal I secolo sta dando, sempre più potente nel II secolo, una vigorosa spallata non solo alla religiosa olimpica profondamente fasulla, insufficiente, insoddisfacente, ma anche a quelle filosofie ellenistiche (o filosofie della salvezza), che a quell’epoca cercavano la salvezza dell’uomo principalmente per via razionale.

In quest’età, nonostante la prosperità e la ricchezza, sembrano venire al pettine i nodi, quest’insufficienza della filosofia e della religione tradizionale, quest’ansia di sostituirlo con altro. Apuleio incarna quest’aspetto in lingua latina e trova quel “altro” nei misteri isiaci; la risposta di Apuleio alla crisi che macchia e disturba il secolo solo apparentemente perfetto è una risposta in senso mistico, ma una mistica che potremmo definire ancora pagana.

Tuttavia sono moltissime le fasce di popolazione - sia alta sia bassa - che abbraccia la fede cristiana. Luciano, in maniera moderna, in nome di quel che resta del raziocinio, si lega a una siffatta scelta, ma la sua negazione e lo sfottò i tutti i valori antichi e presenti rimane una valenza distruttiva priva di un simmetrico costruttivo. Se ne lodiamo l’intelligenza lucida, divertita e divertente nel suo farsi mordace del suo farsi mordace di ciò che è storico poiché irrazionale nella vita dell’uomo, non possiamo però non percepirne e contestarne l’assenza di nuovi ideali proposti al posto di quelli di cui ha calpestato le ultime macerie (= decadentismo italiano e inglese).


L’opera polemica in cui quest’ideologia meglio si esprime è nei Dialoghi, che si suddividono in:
- Dialoghi dei morti (30)
- Dialoghi degli dei in genere (26)
- Dialoghi degli dei marini (15)
- Dialoghi delle meretrici (15) = ricordano Aretino, rappresentante dell’anticlassicismo del ‘500

Luciano, come vale per tutta la letteratura del II secolo, tende al ritorno alla purezza del greco originale, abbracciando la corrente dell’atticismo. Il suo è un riandare all’uso attico molto regolare, lineare, pacato, è un ben tradurre.
Non tanto nella scuola antica ma nella scuola più vicina a noi era un classico tradurre Luciano come autori già nel ginnasio. Luciano ha una lingua facile, lineare, è un atticismo pulito, senza il rischio di esagerare nell’imitazione del modello.

Una delle traduzioni più note dei dialoghi lucianei fu data da Luigi Settembrini, patriota italiano, che diceva di aver conforto - durante la sua prigionia - proprio grazie a quest’opera.

L’opera forse più significativamente antifilosofica sono le “Vite all’incanto”, in cui immagina di mettere all’asta al più basso prezzo le vite dei filosofi.

È particolarmente interessante la polemica sociale sulle ingiustizie sociali e gli eccessi sociali che connota i “Saturnalia”: non a caso nel titolo si allude a quelle feste romane di metà dicembre, in cui si concedeva agli schiavi - unica volta all’anno - di trattare alla pari i padroni.
La letteratura bassa, più realistica, delle satire di Orazio e degli epigrammi di Marziale, contengono di riferimenti a quest’uso, a cui si agganciano i “Saturnalia” di Luciano per introdurre un discorso di polemica sociale sulle ingiustizie sociali.

Produzione di ambito letterario


Ricordiamo soprattutto “Come si deve scrivere la storia”, che ci interessa perché in un autore storico e poliedrico come Luciano, inserisce l’elemento di meta letteratura storiografica, di riflessione in merito alla storiografia, interessante per il rapporto che può creare con le opere biografiche. Ricordiamo anche delle opere minori di argomento letterario, come l’attacco nei confronti dei sofisti in “Il precettore dei retori” e contro gli eccessi atticisti - benché lui stesso sia atticista - in “Lessifane”.
Arriva poi ad una polemica estrema contro gli estremi retorici in “Giudizio delle vocali”, in cui addirittura una giuria di vocali deve giudicare lo scontro tra due consonanti, Τ e Σ, con chiara allusione al fatto che la prevalenza dei dialetti greci usa il doppio Σ quando la consonante gutturale incontra lo iod (?) tranne l’attico, che sostituisce il doppio Σ con il doppio Τ.

La vera opera letteraria di Luciano è il suo romanzo intitolato “Storia Vera”.
Il titolo è di per sé antifrastico, fasullo: è una storia irreale, sovrannaturale, incredibile.
Tratta le avventure mirabolanti sulla luna - che trovano una ripresa nella letteratura di Ariosto -, le avventure di uomini microscopici o giganti - anticipano la letteratura inglese di Gulliver -, con una balena che ingoia intere barche - ricorda Pinocchio. Possiamo dire che molta letteratura successiva ha preso spunto da quest’opera di un autore greco tardo, meno solennemente noto rispetto ad autori della letteratura arcaica proprio per il suo porsi ai limiti estremi della storia della letteratura greca, ma, in realtà, eccezionale per la sua creatività.

Nel prologo vedremo come l’autore prenda le distanze vigorosamente da quegli altri romanzi di cui abbiamo parlato in precedenza, tutti cosi monotonamente simili nelle trame e nei personaggi, che sono suoi coevi. Sono quei romanzi ellenistici che vogliono far passare per vere avventure che tali non possono essere ritenute.
Luciano, invece, nella protasi volutamente dirà ai lettori di non credere alle sue parole perché di vero non contiene proprio nulla, anzi è tutto inventato. Luciano si pone in netto distacco rispetto alla letteratura che lo precede o che gli è contemporanea, di cui la sua forza inventiva fa sentire a maggior ragione la monotonia.

Gli viene anche attribuito un romanzo definitivo dello “Pseudo Luciano”. Si tratta di un romanzo dallo stile sciatto, tutt’altro che lucianeo; le ragioni stilistiche inducono a non attribuirglielo, senza contare che, anche a livello di organizzazione della trama, manca la brillantezza e creatività che caratterizza il romanzo lucianeo. Forse si basa sulla vaga somiglianza onomastica tra il nome Luciano e il nome del protagonista dell’opera, Lucio, o forse perché la metamorfosi di Lucio in asino ha indotto a pensare alla fantasia lucianea.

In realtà “Lucio o l’asino” ha probabilmente un antecedente nell’opera di un tal Lucio di Patre (Patrasso = ovest della Grecia). Lucio di Patre avrebbe scritto queste metamorfosi, che sono le metamorfosi di Lucio in asino. È certamente stato il modello per le “Metamorfosi” di Apuleio che, dalla definizione proposta da lì ad alcuni secoli successivi da Agostino, viene ricordato anche col titolo di “Asino d’oro”.
Le varie somiglianze tra i due autori contemporanei (es. rapporto al romanzo, rapporto alla deuterosofistica) hanno indotto a pensare ad un modello lucianeo per Apuleio - anche se oggi questa attribuzione non è più ritenuta valida.
Estratto del documento

Luciano di Samosata

Luciano rappresenta il principe della sofistica ma rappresenta anche il meglio

del romanzo. Nasce nel 120 d.C. e muore sicuramente dopo il 180 d.C.

Viene a far confluire nella sua straordinaria figura, che consideriamo in qualche

modo conclusiva della storia greca, questi due generi a loro volta conclusivi

della storia della letteratura greca: la Seconda sofistica e il romanzo.

Per il suo essere sofista (come retore) e romanziere è paragonabile al coevo

Apuleio (II secolo).

Entrambi si situano nel cuore del II secolo, entrambi nascono ai margini della

romanità, fuori da Roma e dall’Italia e anche proprio fuori dall’Europa. Luciano

è orientale, di Samosata (attuale Turchia), mentre Apuleio è di Madaura (attuale

Algeria).

Sono entrambi molto dotti e perfetti conoscitori delle due lingue (greco come

lingua più antica e del mondo orientali, latino per girare nel mondo romano).

Luciano sviluppa la sua opera in lingua greca, Apuleio in lingua latina.

Entrambi molto intelligenti, brillanti, vivaci, assoluti conoscitori della lingua ma

anche di tutte le tecniche dell’espressione linguistica orale e scritta, brillanti

conferenzieri, rappresentando l’apice dell’espressione sofistica. Inoltre

entrambi affascinati dal genere poliedrico e multiforme, in cui molto può stare:

il romanzo. Questo genere, per la vivacità di entrambi questi autori, ben si

distacca nell’uno e nell’altro caso dal piattume ripetitivo e dal patetico dei

romanzi citati in precedenza, per raggiungere vette con cui, in brillantezza,

entrambe le letterature si esauriscono.

La biografia di Luciano è profondamente complicata, ricca, difficile da

districare. Ci basta segnalare per la vita ancora un dato, che connota la

differenza con Apuleio: per Luciano è quasi certa una nascita umile. Da giovane

fu apprendista nella bottega di uno zio scultore; questa allude ad una nascita

non alta dal punto di vista sociale. La sua avventura di apprendista scultore

sarebbe durata molto poco: ben presto ruppe una statua importante e, di

conseguenza, fu punito dallo zio e cambierà mestiere.

• La produzione biografica

Di questo episodio presso la bottega dello zio scultore ci parla nell’opera “Il

sogno”, in cui immagina che in sogno gli apparissero due donne,

personificazione di due donne in scultura e cultura (= prosopopea). Le due

donne se lo sarebbero tirate a sorte, rappresentando una riproposizione

dell’opera dell’antico sofista Prodico di Ceo, che immaginava in siffatta

situazione Eracle, semidio, conteso tra la virtù e il vizio.

Seguendo quel modello, Luciano inventa questo sogno, che, secondo una parte

della critica, avrebbe una base biografica, a segnalare il suo passaggio

dall’attività imposta dalla famiglia e il suo ideale di approfondire la sua cultura -

soprattutto in senso filosofico.

In questo sogno c’è anche un qualcosa che può ricordare il topos

dell’investitura poetica, per primo nella “Teogonia” di Esiodo.

Un’altra opera che leggiamo come autobiografica è “Il Nigrino”, in cui l’autore

immagina di parlare con un amico, di resocontare un incontro con un amico, a

cui racconta un incontro che ha avuto a Roma con il filosofo Nigrino. È un

filosofo di cui nessuno sa niente: si è pensato ad un’invenzione lucianea oppure

al rovesciamento di un filosofo platonico che, all’esatto contrario, si chiamava

Albino. Inoltre è interessante perché racchiude elementi riguardanti la vita

dell’autore.

Si riconduce a “Il sogno” un’altra opera biografica: il dialogo “Due volte

accusato”.

In quest’opera l’autore non si chiama col suo nome ma si identifica col nome

Siro. Qui Luciano immagina di essere conteso tra due astrazioni figurate (=

prosopopea): la retorica (operazione da deuterosofista) e il dialogo - nella

maggior parte delle sue opere Luciano si avvale della forma dialogica.

La retorica lo accusa di tradimento per aver abbandonato la strada della vita di

conferenziere da deuterosofista per dedicarsi alle opere anche di altro genere,

mentre il dialogo lo accusa di aver trascinato nel fango un genere nobile (i

primi dialoghi della storia greca e romana risalgono a Platone quindi hanno

un’altezza straordinaria; Platone viene ripreso come modello da Cicerone e

Seneca).

Dunque anche il dialogo lo accusa in qualche modo di tradimento, per averlo

degenerato e averlo trasformato in basso da alto che era

Infine fa parte della produzione biografica “Apologia”, uno scritto minore che

riveste sicuramente l’importanza dell’opera omonima di Apuleio. È significativa

quest’opera: l’autore si giustifica, in una lettera ad un amico, per aver

accettato una carica a pagamento in Egitto. Si arrampica un po’ sugli specchi

dicendo che un conto è una carica a pagamento in nome dello Stato, un conto

è invece una carica a pagamento presso privati.

L’amico Sabino lo contesta visto che, in un altro scritto, Luciano se l’era presa

con gli istitutori privati, con coloro che vivono come istitutori nella casa dei

ricchi (= Parini in letteratura italiana). Nell’Apologia chiarisce questa differenza,

che sente forte e importante, tra l’essere pagato dallo Stato, che sente come

un impiego nobile e degno, e l’essere pagato da privati, che sente come più

servile.

• Le produzione sofistica

Le opere sofistiche, nel senso retorico più che filosofico, sono:

- Erodoto o Aezione: nel titolo ricordano lo storiografo Erodoto e il pittore

Aezione, auspicando di raggiungere ad un successo pari al loro nella sua

opera retorica

- La Sala (valore di ἔκϕρασις)

- Ippia o il bagno (valore di ἔκϕρασις)

Εικονες

- I Ritratti (o ): l’autore non opera col suo nome ma lo storpia in

Licino. È un intento celebrativo quello di Luciano nei confronti dell’imperatore

Lucio Vero (anni ’60 del II secolo)

- Il tirannicida: in quest’opera Luciano riflette su questo gesto di violenza

• Produzione polemica

Le opere polemiche sono le opere in cui se la prende con ciò che non gli piace

dell’antichità e degli altri, mostrando appieno lo spirito beffardo, ipercritico,

distruttivo e mordace, che insistentemente lo caratterizza e che ne rappresenta

un limite.

Tendenzialmente si distrugge e si pratica quella che in filosofia si chiama “pars

destruens” bisogna anche ricostruire, costruendo la cosiddetta “pars

costruens”. In Luciano la pars costruens manca del tutto: si limita a

distruggere, con ironia beffarda.

Cosa lascia la sua maceria? Nient’altro che l’esortazione, l’invito e

l’esempio a seguire la ragione.

È un’implicazione molto vaga, quindi possiamo dire che al fortissimo spirito

distruttivo non corrisponde lo spirito costruttivo, che non sia l’aver formato un

modello o un paradigma di intelligenza lucidissima perché sempre razionale.

Gli scritti polemici, meglio ancora di quelli biografici o filosofi, ci presentano

questa sua capacità di sfottò e distruttiva e mordace, soprattutto nei confronti

di chi parla a vanvera, di chi mente senza rendersene conto perché mossi da

un principio irrazionale.

In questi scritti se la prende anche con i cristiani, con un discorso sostenuto alla

pari da Tacito (Annales, 16) e Plinio il Giovane.

Gli scritti politici sono:

- Gli innamorati della menzogna

- Alessandro o il falso profeta

- La morte di Peregrino: Peregrino è talmente ciarlatano che, per attirare gli

sguardi su di sé, si dà fuoco ma sbaglia le misure e muore in un suicido

pubblico allucinante

- Menippo o la negromanzia: motivo del viaggio nell’aldilà e della presenza

del cinico Menippo lì

In particolar modo sono l’idolo polemico di Luciano i filosofi.

Luciano non apprezza la filosofia: vivendo nel II secolo dell’epoca volgare

comprende che negli ultimi otto secoli la filosofia ha cambiato i percorsi senza

garantire mai davvero salvezza all’uomo, quindi perché credere ancora

nella validità di un percorso filosofico?

Sembra salvare da un parlare che considera generico soltanto Menippo, i cui

toni dovevano profondamente piacere a Luciano, che a sua volta tende con

facilità a variare di genere.

Menippo diventa una sorta di suo portavoce, per cui la filosofia cinica è l’unica

nei confronti della quale non appuntisca critiche feroci.

In questo discorso sugli scritti polemici è da ricordare molto il suo

atteggiamento antireligioso, essendo il suo un razionalismo ateo.

Ecco in cosa consiste il punto di distanza tra Luciano e Apuleio: in Apuleio

troviamo la magia e i culti misterici nel libro 11 delle “Metamorfosi”, in cui si fa

riferimento ai dieci giorni di purificazione e all’accesso ai misteri

nell’undicesimo giorno.

Sono anche questi i due aspetti, i volti di una stessa faccia: il II secolo, sul

quale abbiamo aperto le danze leggendo “Encomio a Roma” di Elio Aristide, a

livello speculativo, filosofico e religioso è un secolo di estrema crisi.

Ormai la crisi del pensiero filosofico e del sentire religioso è vivissima, forse

proprio a causa della nascita nel secolo precedente del nuovo credo cristiano,

che dal I secolo sta dando, sempre più potente nel II secolo, una vigorosa

spallata non solo alla religiosa olimpica profondamente fasulla, insufficiente,

insoddisfacente, ma anche a quelle filosofie ellenistiche (o filosofie della

salvezza), che a quell’epoca cercavano la salvezza dell’uomo principalmente

per via razionale.

In quest’età, nonostante la prosperità e la ricchezza, sembrano venire al

pettine i nodi, quest’insufficienza della filosofia e della religione tradizionale,

quest’ansia di sostituirlo con altro. Apuleio incarna quest’aspetto in lingua

latina e trova quel “altro” nei misteri isiaci; la risposta di Apuleio alla crisi che

macchia e disturba il secolo solo apparentemente perfetto è una risposta in

senso mistico, ma una mistica che potremmo definire ancora pagana.

Tuttavia sono moltissime le fasce di popolazione - sia alta sia bassa - che

abbraccia la fede cristiana. Luciano, in maniera moderna, in nome di quel che

resta del raziocinio, si lega a una siffatta scelta, ma la sua negazione e lo sfottò

i tutti i valori antichi e presenti rimane una valenza distruttiva priva di un

simmetrico costruttivo. Se ne lodiamo l’intelligenza lucida, divertita e

divertente nel suo farsi mordace del suo farsi mordace di ciò che è storico

poiché irrazionale nella vita dell’uomo, non possiamo però non percepirne e

contestarne l’assenza di nuovi ideali proposti al posto di quelli di cui ha

calpestato le ultime macerie (= decadentismo italiano e inglese).

L’opera polemica in cui quest’ideologia meglio si esprime è nei Dialoghi, che si

suddividono in:

- Dialoghi dei morti (30)

Dettagli
Publisher
6 pagine
1 download