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Viene a far confluire nella sua straordinaria figura, che consideriamo in qualche modo conclusiva della storia greca, questi due generi a loro volta conclusivi della storia della letteratura greca: la Seconda sofistica e il romanzo.
Per il suo essere sofista (come retore) e romanziere è paragonabile al coevo Apuleio (II secolo).
Entrambi si situano nel cuore del II secolo, entrambi nascono ai margini della romanità, fuori da Roma e dall’Italia e anche proprio fuori dall’Europa. Luciano è orientale, di Samosata (attuale Turchia), mentre Apuleio è di Madaura (attuale Algeria).
Sono entrambi molto dotti e perfetti conoscitori delle due lingue (greco come lingua più antica e del mondo orientali, latino per girare nel mondo romano). Luciano sviluppa la sua opera in lingua greca, Apuleio in lingua latina.
Entrambi molto intelligenti, brillanti, vivaci, assoluti conoscitori della lingua ma anche di tutte le tecniche dell’espressione linguistica orale e scritta, brillanti conferenzieri, rappresentando l’apice dell’espressione sofistica. Inoltre entrambi affascinati dal genere poliedrico e multiforme, in cui molto può stare: il romanzo. Questo genere, per la vivacità di entrambi questi autori, ben si distacca nell’uno e nell’altro caso dal piattume ripetitivo e dal patetico dei romanzi citati in precedenza, per raggiungere vette con cui, in brillantezza, entrambe le letterature si esauriscono.
La biografia di Luciano è profondamente complicata, ricca, difficile da districare. Ci basta segnalare per la vita ancora un dato, che connota la differenza con Apuleio: per Luciano è quasi certa una nascita umile. Da giovane fu apprendista nella bottega di uno zio scultore; questa allude ad una nascita non alta dal punto di vista sociale. La sua avventura di apprendista scultore sarebbe durata molto poco: ben presto ruppe una statua importante e, di conseguenza, fu punito dallo zio e cambierà mestiere.
La produzione biografica
Di questo episodio presso la bottega dello zio scultore ci parla nell’opera “Il sogno”, in cui immagina che in sogno gli apparissero due donne, personificazione di due donne in scultura e cultura (= prosopopea). Le due donne se lo sarebbero tirate a sorte, rappresentando una riproposizione dell’opera dell’antico sofista Prodico di Ceo, che immaginava in siffatta situazione Eracle, semidio, conteso tra la virtù e il vizio.
Seguendo quel modello, Luciano inventa questo sogno, che, secondo una parte della critica, avrebbe una base biografica, a segnalare il suo passaggio dall’attività imposta dalla famiglia e il suo ideale di approfondire la sua cultura - soprattutto in senso filosofico.
In questo sogno c’è anche un qualcosa che può ricordare il topos dell’investitura poetica, per primo nella “Teogonia” di Esiodo.
Un’altra opera che leggiamo come autobiografica è “Il Nigrino”, in cui l’autore immagina di parlare con un amico, di resocontare un incontro con un amico, a cui racconta un incontro che ha avuto a Roma con il filosofo Nigrino. È un filosofo di cui nessuno sa niente: si è pensato ad un’invenzione lucianea oppure al rovesciamento di un filosofo platonico che, all’esatto contrario, si chiamava Albino. Inoltre è interessante perché racchiude elementi riguardanti la vita dell’autore.
Si riconduce a “Il sogno” un’altra opera biografica: il dialogo “Due volte accusato”.
In quest’opera l’autore non si chiama col suo nome ma si identifica col nome Siro. Qui Luciano immagina di essere conteso tra due astrazioni figurate (= prosopopea): la retorica (operazione da deuterosofista) e il dialogo - nella maggior parte delle sue opere Luciano si avvale della forma dialogica.
La retorica lo accusa di tradimento per aver abbandonato la strada della vita di conferenziere da deuterosofista per dedicarsi alle opere anche di altro genere, mentre il dialogo lo accusa di aver trascinato nel fango un genere nobile (i primi dialoghi della storia greca e romana risalgono a Platone quindi hanno un’altezza straordinaria; Platone viene ripreso come modello da Cicerone e Seneca).
Dunque anche il dialogo lo accusa in qualche modo di tradimento, per averlo degenerato e averlo trasformato in basso da alto che era.
Infine fa parte della produzione biografica “Apologia”, uno scritto minore che riveste sicuramente l’importanza dell’opera omonima di Apuleio. È significativa quest’opera: l’autore si giustifica, in una lettera ad un amico, per aver accettato una carica a pagamento in Egitto. Si arrampica un po’ sugli specchi dicendo che un conto è una carica a pagamento in nome dello Stato, un conto è invece una carica a pagamento presso privati.
L’amico Sabino lo contesta visto che, in un altro scritto, Luciano se l’era presa con gli istitutori privati, con coloro che vivono come istitutori nella casa dei ricchi (= Parini in letteratura italiana). Nell’Apologia chiarisce questa differenza, che sente forte e importante, tra l’essere pagato dallo Stato, che sente come un impiego nobile e degno, e l’essere pagato da privati, che sente come più servile.
La produzione sofistica
Le opere sofistiche, nel senso retorico più che filosofico, sono:
- Erodoto o Aezione: nel titolo ricordano lo storiografo Erodoto e il pittore Aezione, auspicando di raggiungere ad un successo pari al loro nella sua opera retorica
- La Sala (valore di ἔκϕρασις)
- Ippia o il bagno (valore di ἔκϕρασις)
- I Ritratti (o Εικονες): l’autore non opera col suo nome ma lo storpia in Licino. È un intento celebrativo quello di Luciano nei confronti dell’imperatore Lucio Vero (anni ’60 del II secolo)
- Il tirannicida: in quest’opera Luciano riflette su questo gesto di violenza
Produzione polemica
Le opere polemiche sono le opere in cui se la prende con ciò che non gli piace dell’antichità e degli altri, mostrando appieno lo spirito beffardo, ipercritico, distruttivo e mordace, che insistentemente lo caratterizza e che ne rappresenta un limite.
Tendenzialmente si distrugge e si pratica quella che in filosofia si chiama “pars destruens” bisogna anche ricostruire, costruendo la cosiddetta “pars costruens”. In Luciano la pars costruens manca del tutto: si limita a distruggere, con ironia beffarda.
Cosa lascia la sua maceria? Nient’altro che l’esortazione, l’invito e l’esempio a seguire la ragione.
È un’implicazione molto vaga, quindi possiamo dire che al fortissimo spirito distruttivo non corrisponde lo spirito costruttivo, che non sia l’aver formato un modello o un paradigma di intelligenza lucidissima perché sempre razionale.
Gli scritti polemici, meglio ancora di quelli biografici o filosofi, ci presentano questa sua capacità di sfottò e distruttiva e mordace, soprattutto nei confronti di chi parla a vanvera, di chi mente senza rendersene conto perché mossi da un principio irrazionale.
In questi scritti se la prende anche con i cristiani, con un discorso sostenuto alla pari da Tacito (Annales, 16) e Plinio il Giovane.
Gli scritti politici sono:
- Gli innamorati della menzogna
- Alessandro o il falso profeta
- La morte di Peregrino: Peregrino è talmente ciarlatano che, per attirare gli sguardi su di sé, si dà fuoco ma sbaglia le misure e muore in un suicido pubblico allucinante
- Menippo o la negromanzia: motivo del viaggio nell’aldilà e della presenza del cinico Menippo lì
In particolar modo sono l’idolo polemico di Luciano i filosofi.
Luciano non apprezza la filosofia: vivendo nel II secolo dell’epoca volgare comprende che negli ultimi otto secoli la filosofia ha cambiato i percorsi senza garantire mai davvero salvezza all’uomo, quindi perché credere ancora nella validità di un percorso filosofico?
Sembra salvare da un parlare che considera generico soltanto Menippo, i cui toni dovevano profondamente piacere a Luciano, che a sua volta tende con facilità a variare di genere.
Menippo diventa una sorta di suo portavoce, per cui la filosofia cinica è l’unica nei confronti della quale non appuntisca critiche feroci.
In questo discorso sugli scritti polemici è da ricordare molto il suo atteggiamento antireligioso, essendo il suo un razionalismo ateo.
Ecco in cosa consiste il punto di distanza tra Luciano e Apuleio: in Apuleio troviamo la magia e i culti misterici nel libro 11 delle “Metamorfosi”, in cui si fa riferimento ai dieci giorni di purificazione e all’accesso ai misteri nell’undicesimo giorno.
Sono anche questi i due aspetti, i volti di una stessa faccia: il II secolo, sul quale abbiamo aperto le danze leggendo “Encomio a Roma” di Elio Aristide, a livello speculativo, filosofico e religioso è un secolo di estrema crisi.
Ormai la crisi del pensiero filosofico e del sentire religioso è vivissima, forse proprio a causa della nascita nel secolo precedente del nuovo credo cristiano, che dal I secolo sta dando, sempre più potente nel II secolo, una vigorosa spallata non solo alla religiosa olimpica profondamente fasulla, insufficiente, insoddisfacente, ma anche a quelle filosofie ellenistiche (o filosofie della salvezza), che a quell’epoca cercavano la salvezza dell’uomo principalmente per via razionale.
In quest’età, nonostante la prosperità e la ricchezza, sembrano venire al pettine i nodi, quest’insufficienza della filosofia e della religione tradizionale, quest’ansia di sostituirlo con altro. Apuleio incarna quest’aspetto in lingua latina e trova quel “altro” nei misteri isiaci; la risposta di Apuleio alla crisi che macchia e disturba il secolo solo apparentemente perfetto è una risposta in senso mistico, ma una mistica che potremmo definire ancora pagana.
Tuttavia sono moltissime le fasce di popolazione - sia alta sia bassa - che abbraccia la fede cristiana. Luciano, in maniera moderna, in nome di quel che resta del raziocinio, si lega a una siffatta scelta, ma la sua negazione e lo sfottò i tutti i valori antichi e presenti rimane una valenza distruttiva priva di un simmetrico costruttivo. Se ne lodiamo l’intelligenza lucida, divertita e divertente nel suo farsi mordace del suo farsi mordace di ciò che è storico poiché irrazionale nella vita dell’uomo, non possiamo però non percepirne e contestarne l’assenza di nuovi ideali proposti al posto di quelli di cui ha calpestato le ultime macerie (= decadentismo italiano e inglese).
L’opera polemica in cui quest’ideologia meglio si esprime è nei Dialoghi, che si suddividono in:
- Dialoghi dei morti (30)
- Dialoghi degli dei in genere (26)
- Dialoghi degli dei marini (15)
- Dialoghi delle meretrici (15) = ricordano Aretino, rappresentante dell’anticlassicismo del ‘500
Luciano, come vale per tutta la letteratura del II secolo, tende al ritorno alla purezza del greco originale, abbracciando la corrente dell’atticismo. Il suo è un riandare all’uso attico molto regolare, lineare, pacato, è un ben tradurre.
Non tanto nella scuola antica ma nella scuola più vicina a noi era un classico tradurre Luciano come autori già nel ginnasio. Luciano ha una lingua facile, lineare, è un atticismo pulito, senza il rischio di esagerare nell’imitazione del modello.
Una delle traduzioni più note dei dialoghi lucianei fu data da Luigi Settembrini, patriota italiano, che diceva di aver conforto - durante la sua prigionia - proprio grazie a quest’opera.
L’opera forse più significativamente antifilosofica sono le “Vite all’incanto”, in cui immagina di mettere all’asta al più basso prezzo le vite dei filosofi.
È particolarmente interessante la polemica sociale sulle ingiustizie sociali e gli eccessi sociali che connota i “Saturnalia”: non a caso nel titolo si allude a quelle feste romane di metà dicembre, in cui si concedeva agli schiavi - unica volta all’anno - di trattare alla pari i padroni.
La letteratura bassa, più realistica, delle satire di Orazio e degli epigrammi di Marziale, contengono di riferimenti a quest’uso, a cui si agganciano i “Saturnalia” di Luciano per introdurre un discorso di polemica sociale sulle ingiustizie sociali.
Produzione di ambito letterario
Ricordiamo soprattutto “Come si deve scrivere la storia”, che ci interessa perché in un autore storico e poliedrico come Luciano, inserisce l’elemento di meta letteratura storiografica, di riflessione in merito alla storiografia, interessante per il rapporto che può creare con le opere biografiche. Ricordiamo anche delle opere minori di argomento letterario, come l’attacco nei confronti dei sofisti in “Il precettore dei retori” e contro gli eccessi atticisti - benché lui stesso sia atticista - in “Lessifane”.
Arriva poi ad una polemica estrema contro gli estremi retorici in “Giudizio delle vocali”, in cui addirittura una giuria di vocali deve giudicare lo scontro tra due consonanti, Τ e Σ, con chiara allusione al fatto che la prevalenza dei dialetti greci usa il doppio Σ quando la consonante gutturale incontra lo iod (?) tranne l’attico, che sostituisce il doppio Σ con il doppio Τ.
La vera opera letteraria di Luciano è il suo romanzo intitolato “Storia Vera”.
Il titolo è di per sé antifrastico, fasullo: è una storia irreale, sovrannaturale, incredibile.
Tratta le avventure mirabolanti sulla luna - che trovano una ripresa nella letteratura di Ariosto -, le avventure di uomini microscopici o giganti - anticipano la letteratura inglese di Gulliver -, con una balena che ingoia intere barche - ricorda Pinocchio. Possiamo dire che molta letteratura successiva ha preso spunto da quest’opera di un autore greco tardo, meno solennemente noto rispetto ad autori della letteratura arcaica proprio per il suo porsi ai limiti estremi della storia della letteratura greca, ma, in realtà, eccezionale per la sua creatività.
Nel prologo vedremo come l’autore prenda le distanze vigorosamente da quegli altri romanzi di cui abbiamo parlato in precedenza, tutti cosi monotonamente simili nelle trame e nei personaggi, che sono suoi coevi. Sono quei romanzi ellenistici che vogliono far passare per vere avventure che tali non possono essere ritenute.
Luciano, invece, nella protasi volutamente dirà ai lettori di non credere alle sue parole perché di vero non contiene proprio nulla, anzi è tutto inventato. Luciano si pone in netto distacco rispetto alla letteratura che lo precede o che gli è contemporanea, di cui la sua forza inventiva fa sentire a maggior ragione la monotonia.
Gli viene anche attribuito un romanzo definitivo dello “Pseudo Luciano”. Si tratta di un romanzo dallo stile sciatto, tutt’altro che lucianeo; le ragioni stilistiche inducono a non attribuirglielo, senza contare che, anche a livello di organizzazione della trama, manca la brillantezza e creatività che caratterizza il romanzo lucianeo. Forse si basa sulla vaga somiglianza onomastica tra il nome Luciano e il nome del protagonista dell’opera, Lucio, o forse perché la metamorfosi di Lucio in asino ha indotto a pensare alla fantasia lucianea.
In realtà “Lucio o l’asino” ha probabilmente un antecedente nell’opera di un tal Lucio di Patre (Patrasso = ovest della Grecia). Lucio di Patre avrebbe scritto queste metamorfosi, che sono le metamorfosi di Lucio in asino. È certamente stato il modello per le “Metamorfosi” di Apuleio che, dalla definizione proposta da lì ad alcuni secoli successivi da Agostino, viene ricordato anche col titolo di “Asino d’oro”.
Le varie somiglianze tra i due autori contemporanei (es. rapporto al romanzo, rapporto alla deuterosofistica) hanno indotto a pensare ad un modello lucianeo per Apuleio - anche se oggi questa attribuzione non è più ritenuta valida.
Luciano di Samosata
Luciano rappresenta il principe della sofistica ma rappresenta anche il meglio
del romanzo. Nasce nel 120 d.C. e muore sicuramente dopo il 180 d.C.
Viene a far confluire nella sua straordinaria figura, che consideriamo in qualche
modo conclusiva della storia greca, questi due generi a loro volta conclusivi
della storia della letteratura greca: la Seconda sofistica e il romanzo.
Per il suo essere sofista (come retore) e romanziere è paragonabile al coevo
Apuleio (II secolo).
Entrambi si situano nel cuore del II secolo, entrambi nascono ai margini della
romanità, fuori da Roma e dall’Italia e anche proprio fuori dall’Europa. Luciano
è orientale, di Samosata (attuale Turchia), mentre Apuleio è di Madaura (attuale
Algeria).
Sono entrambi molto dotti e perfetti conoscitori delle due lingue (greco come
lingua più antica e del mondo orientali, latino per girare nel mondo romano).
Luciano sviluppa la sua opera in lingua greca, Apuleio in lingua latina.
Entrambi molto intelligenti, brillanti, vivaci, assoluti conoscitori della lingua ma
anche di tutte le tecniche dell’espressione linguistica orale e scritta, brillanti
conferenzieri, rappresentando l’apice dell’espressione sofistica. Inoltre
entrambi affascinati dal genere poliedrico e multiforme, in cui molto può stare:
il romanzo. Questo genere, per la vivacità di entrambi questi autori, ben si
distacca nell’uno e nell’altro caso dal piattume ripetitivo e dal patetico dei
romanzi citati in precedenza, per raggiungere vette con cui, in brillantezza,
entrambe le letterature si esauriscono.
La biografia di Luciano è profondamente complicata, ricca, difficile da
districare. Ci basta segnalare per la vita ancora un dato, che connota la
differenza con Apuleio: per Luciano è quasi certa una nascita umile. Da giovane
fu apprendista nella bottega di uno zio scultore; questa allude ad una nascita
non alta dal punto di vista sociale. La sua avventura di apprendista scultore
sarebbe durata molto poco: ben presto ruppe una statua importante e, di
conseguenza, fu punito dallo zio e cambierà mestiere.
• La produzione biografica
Di questo episodio presso la bottega dello zio scultore ci parla nell’opera “Il
sogno”, in cui immagina che in sogno gli apparissero due donne,
personificazione di due donne in scultura e cultura (= prosopopea). Le due
donne se lo sarebbero tirate a sorte, rappresentando una riproposizione
dell’opera dell’antico sofista Prodico di Ceo, che immaginava in siffatta
situazione Eracle, semidio, conteso tra la virtù e il vizio.
Seguendo quel modello, Luciano inventa questo sogno, che, secondo una parte
della critica, avrebbe una base biografica, a segnalare il suo passaggio
dall’attività imposta dalla famiglia e il suo ideale di approfondire la sua cultura -
soprattutto in senso filosofico.
In questo sogno c’è anche un qualcosa che può ricordare il topos
dell’investitura poetica, per primo nella “Teogonia” di Esiodo.
Un’altra opera che leggiamo come autobiografica è “Il Nigrino”, in cui l’autore
immagina di parlare con un amico, di resocontare un incontro con un amico, a
cui racconta un incontro che ha avuto a Roma con il filosofo Nigrino. È un
filosofo di cui nessuno sa niente: si è pensato ad un’invenzione lucianea oppure
al rovesciamento di un filosofo platonico che, all’esatto contrario, si chiamava
Albino. Inoltre è interessante perché racchiude elementi riguardanti la vita
dell’autore.
Si riconduce a “Il sogno” un’altra opera biografica: il dialogo “Due volte
accusato”.
In quest’opera l’autore non si chiama col suo nome ma si identifica col nome
Siro. Qui Luciano immagina di essere conteso tra due astrazioni figurate (=
prosopopea): la retorica (operazione da deuterosofista) e il dialogo - nella
maggior parte delle sue opere Luciano si avvale della forma dialogica.
La retorica lo accusa di tradimento per aver abbandonato la strada della vita di
conferenziere da deuterosofista per dedicarsi alle opere anche di altro genere,
mentre il dialogo lo accusa di aver trascinato nel fango un genere nobile (i
primi dialoghi della storia greca e romana risalgono a Platone quindi hanno
un’altezza straordinaria; Platone viene ripreso come modello da Cicerone e
Seneca).
Dunque anche il dialogo lo accusa in qualche modo di tradimento, per averlo
degenerato e averlo trasformato in basso da alto che era
Infine fa parte della produzione biografica “Apologia”, uno scritto minore che
riveste sicuramente l’importanza dell’opera omonima di Apuleio. È significativa
quest’opera: l’autore si giustifica, in una lettera ad un amico, per aver
accettato una carica a pagamento in Egitto. Si arrampica un po’ sugli specchi
dicendo che un conto è una carica a pagamento in nome dello Stato, un conto
è invece una carica a pagamento presso privati.
L’amico Sabino lo contesta visto che, in un altro scritto, Luciano se l’era presa
con gli istitutori privati, con coloro che vivono come istitutori nella casa dei
ricchi (= Parini in letteratura italiana). Nell’Apologia chiarisce questa differenza,
che sente forte e importante, tra l’essere pagato dallo Stato, che sente come
un impiego nobile e degno, e l’essere pagato da privati, che sente come più
servile.
• Le produzione sofistica
Le opere sofistiche, nel senso retorico più che filosofico, sono:
- Erodoto o Aezione: nel titolo ricordano lo storiografo Erodoto e il pittore
Aezione, auspicando di raggiungere ad un successo pari al loro nella sua
opera retorica
- La Sala (valore di ἔκϕρασις)
- Ippia o il bagno (valore di ἔκϕρασις)
Εικονες
- I Ritratti (o ): l’autore non opera col suo nome ma lo storpia in
Licino. È un intento celebrativo quello di Luciano nei confronti dell’imperatore
Lucio Vero (anni ’60 del II secolo)
- Il tirannicida: in quest’opera Luciano riflette su questo gesto di violenza
• Produzione polemica
Le opere polemiche sono le opere in cui se la prende con ciò che non gli piace
dell’antichità e degli altri, mostrando appieno lo spirito beffardo, ipercritico,
distruttivo e mordace, che insistentemente lo caratterizza e che ne rappresenta
un limite.
Tendenzialmente si distrugge e si pratica quella che in filosofia si chiama “pars
destruens” bisogna anche ricostruire, costruendo la cosiddetta “pars
costruens”. In Luciano la pars costruens manca del tutto: si limita a
distruggere, con ironia beffarda.
Cosa lascia la sua maceria? Nient’altro che l’esortazione, l’invito e
l’esempio a seguire la ragione.
È un’implicazione molto vaga, quindi possiamo dire che al fortissimo spirito
distruttivo non corrisponde lo spirito costruttivo, che non sia l’aver formato un
modello o un paradigma di intelligenza lucidissima perché sempre razionale.
Gli scritti polemici, meglio ancora di quelli biografici o filosofi, ci presentano
questa sua capacità di sfottò e distruttiva e mordace, soprattutto nei confronti
di chi parla a vanvera, di chi mente senza rendersene conto perché mossi da
un principio irrazionale.
In questi scritti se la prende anche con i cristiani, con un discorso sostenuto alla
pari da Tacito (Annales, 16) e Plinio il Giovane.
Gli scritti politici sono:
- Gli innamorati della menzogna
- Alessandro o il falso profeta
- La morte di Peregrino: Peregrino è talmente ciarlatano che, per attirare gli
sguardi su di sé, si dà fuoco ma sbaglia le misure e muore in un suicido
pubblico allucinante
- Menippo o la negromanzia: motivo del viaggio nell’aldilà e della presenza
del cinico Menippo lì
In particolar modo sono l’idolo polemico di Luciano i filosofi.
Luciano non apprezza la filosofia: vivendo nel II secolo dell’epoca volgare
comprende che negli ultimi otto secoli la filosofia ha cambiato i percorsi senza
garantire mai davvero salvezza all’uomo, quindi perché credere ancora
nella validità di un percorso filosofico?
Sembra salvare da un parlare che considera generico soltanto Menippo, i cui
toni dovevano profondamente piacere a Luciano, che a sua volta tende con
facilità a variare di genere.
Menippo diventa una sorta di suo portavoce, per cui la filosofia cinica è l’unica
nei confronti della quale non appuntisca critiche feroci.
In questo discorso sugli scritti polemici è da ricordare molto il suo
atteggiamento antireligioso, essendo il suo un razionalismo ateo.
Ecco in cosa consiste il punto di distanza tra Luciano e Apuleio: in Apuleio
troviamo la magia e i culti misterici nel libro 11 delle “Metamorfosi”, in cui si fa
riferimento ai dieci giorni di purificazione e all’accesso ai misteri
nell’undicesimo giorno.
Sono anche questi i due aspetti, i volti di una stessa faccia: il II secolo, sul
quale abbiamo aperto le danze leggendo “Encomio a Roma” di Elio Aristide, a
livello speculativo, filosofico e religioso è un secolo di estrema crisi.
Ormai la crisi del pensiero filosofico e del sentire religioso è vivissima, forse
proprio a causa della nascita nel secolo precedente del nuovo credo cristiano,
che dal I secolo sta dando, sempre più potente nel II secolo, una vigorosa
spallata non solo alla religiosa olimpica profondamente fasulla, insufficiente,
insoddisfacente, ma anche a quelle filosofie ellenistiche (o filosofie della
salvezza), che a quell’epoca cercavano la salvezza dell’uomo principalmente
per via razionale.
In quest’età, nonostante la prosperità e la ricchezza, sembrano venire al
pettine i nodi, quest’insufficienza della filosofia e della religione tradizionale,
quest’ansia di sostituirlo con altro. Apuleio incarna quest’aspetto in lingua
latina e trova quel “altro” nei misteri isiaci; la risposta di Apuleio alla crisi che
macchia e disturba il secolo solo apparentemente perfetto è una risposta in
senso mistico, ma una mistica che potremmo definire ancora pagana.
Tuttavia sono moltissime le fasce di popolazione - sia alta sia bassa - che
abbraccia la fede cristiana. Luciano, in maniera moderna, in nome di quel che
resta del raziocinio, si lega a una siffatta scelta, ma la sua negazione e lo sfottò
i tutti i valori antichi e presenti rimane una valenza distruttiva priva di un
simmetrico costruttivo. Se ne lodiamo l’intelligenza lucida, divertita e
divertente nel suo farsi mordace del suo farsi mordace di ciò che è storico
poiché irrazionale nella vita dell’uomo, non possiamo però non percepirne e
contestarne l’assenza di nuovi ideali proposti al posto di quelli di cui ha
calpestato le ultime macerie (= decadentismo italiano e inglese).
L’opera polemica in cui quest’ideologia meglio si esprime è nei Dialoghi, che si
suddividono in:
- Dialoghi dei morti (30)