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Lisia

Notizie sulla vita di Lisia ci provengono da Lisia stesso, da Platone e da Dionigi di Alicarnasso. Il padre di Lisia era un ricco siracusano che si trasferì ad Atene e lì aprì una fabbrica di scudi; Lisia si recò con il fratello Polemarco a Turii, colonia panellenica dove erano confluiti anche Erodoto e Protagora. In Italia meridionale Lisia studiò retorica, forse con lo stesso Tisia. Tornato ad Atene, dopo il fallimento della spedizione ateniese in Sicilia, fu costretto a lasciare la città durante il governo dei Trenta, che avevano ucciso il fratello Polemarco nell’ambito di una persecuzione dei meteci e avevano confiscato parte dei suoi averi.

Lisia contribuì alla sconfitta dei Trenta e solo l’opposizione di un certo Archino impedì a Trasibulo di far passare un decreto con il quale Lisia e altri meteci avrebbero ottenuto la cittadinanza, che comunque ottenne in seguito. La sua morte si colloca nel 379-378 a.C.
Quando Lisia fu spinto dalle circostanze a fare il logografo, doveva essere già un oratore affermato nel genere epidittico e un insegnante di retorica tra i più apprezzati. Gli argomenti intorno ai quali ruotano i discorsi di Lisia spaziano dalla politica ai delitti di sangue, dai casi religiosi a quelli economici, dalla corruzione alle docimasie.
Le 34 orazioni che ci sono giunte sono solo una piccola parte delle 425 che gli antichi gli attribuivano, e la loro paternità è messa in dubbio. Si dividono in epidittiche, 2, e giudiziarie, 32.
Le orazioni epidittiche sono l’ “Epitafio”, in cui Lisia si concentra sulle imprese di Atene dedicando molto spazio alla rievocazione delle guerre persiane; c’è poi un encomio dei restauratori della democrazia. Si chiude con un solenne encomio degli ateniesi caduti per soccorrere i Corinzi contro Sparta. L’altra è l’ “Olimpico”, un discorso panegirico, rivolto a tutti i Greci riuniti per celebrare i giochi olimpici; il discorso invitata i Greci a combattere contro il re di Persia e contro Dionigi, il tiranno di Siracusa.
Contro Eratostene” è l’orazione che Lisia pronunciò per ottenere la condanna di Eratostene, responsabile della morte del fratello Polemarco, ed è tra le più elaborate sia per la complessa ricostruzione storica del periodo, sia per l’impegno profuso sul piano argomentativo, sia per la cura riservata allo stile.
L’orazione “Contro Agorato” si riferisce a fatti avvenuti durante la tirannide dei Trenta: Agorato aveva denunciato un gruppo di strateghi contrari a stipulare una pace sfavorevole e aveva provocato la loro condanna a morte. All’accusa di omicidio si aggiungeva quella di non essere cittadino ateniese e di essere un sicofante (spia). C’è un frequente richiamo allo ius sacrum, un’elaborata narratio e una puntigliosa analisi della personalità e dell’operato di Agorato.
Assunta a modello da oratori come Isocrate e Demostene, la sua arte si distingue per l’estrema chiarezza dell’esposizione e una naturale predisposizione alla narrazione dei fatti. Caratteristica principale dello stile di Lisia è l’ezopoiìa, che consiste nella capacità d immedesimarsi con l’indole di un’altra persona, adottandone la condizione sociale, l’età, il livello culturale ecc; i discorsi che Lisia scriveva per i propri assistiti venivano pronunciati da questi ultimi con lo scopo di persuadere la giuria, ragion per cui venivano concepiti secondo il punto di vista del committente, del quale era posto in luce ogni aspetto che potesse essere utile alla causa. Notevole è anche la capacità mimetica di Lisia, abile nel ricostruire situazioni e ambienti del tempo, nel ricreare situazioni ora drammatiche ora pittoresche, nel disegnare i profili psicologici dei personaggi. Nuovo è il rifiuto di ogni schematismo argomentativo a favore di una concezione dinamici e asistematica. Lo stile di Lisia è piano, moderato nell’ornamentazione, privilegia la chiarezza, la credibilità, la concisione e la purezza linguistica.

Per l'uccisione di Eratostene

E' la più nota delle orazioni lisiane, si tratta dell’autodifesa di un marito tradito, Eufileto, che, avendo assassinato l’amante della moglie, colto in adulterio, è accusato dai parenti della vittima di aver ordito e commesso un omicidio premeditato. L’orazione è un esempio di cronaca nera ateniese e presenta ingredienti dai toni boccacceschi; la narrazione si sviluppa in un crescendo “drammatico” fino allo scioglimento tragico e catartico. Non mancano un’ironia penetrante e un gradevole e malizioso umorismo, come quando la moglie chiude a chiave il marito per poter incontrare indisturbata l’amante.
Eufileto appare come un contadino semplice, un brav’uomo senza grandi aspirazioni, pacifico e tranquillo, affettuoso con la moglie. Egli non nutre alcun sospetto verso la consorte, esperta di furbi depistaggi; è ingenuo a tal punto da lasciarsi convincere dalla moglie ad andare a dormire al piano di sopra da solo per non venire svegliato dal bambino inquieto, e farsi addirittura chiudere a chiave in stanza; la donna, fingendosi gelosa, motiva il gesto con la preoccupazione che lui possa tentare la schiava, ma in realtà la moglie può così stare indisturbata con Eratostene. Eufileto non si sarebbe mai accorto di nulla se un’anziana serva non l’avesse informato dell’abitudine di Eratostene di sedurre donne maritate. La serva è stata inviata dalla precedente amante di Eratostene, sedotta e poi abbandonata, appena l’uomo ha allacciato la relazione con la moglie di Eufileto. Egli appronta un piano per vendicare con il sangue l’offesa al proprio onore. Eratostene commette di nuovo il passo falso e così la schiava avverte Eufileto, il quale irrompe in casa e sorprende Eratostene che non può che ammettere la propria responsabilità, e tenta invano di offrire un risarcimento economico per aver salva la vita: Eufileto lo uccide, avendo dalla sua la legge ateniese. Lisia ci offre un documento di quotidianità all’interno di una famiglia comune di Atene.
Il personaggio chiave della vicenda è Eufileto, presentato con realismo psicologico coerente; Lisia fonda tutta la difesa del cliente sull’ingenuità del carattere, puntando così a captare la benevolenza dei giurati. Eufileto non è in grado di raccontare bugie, né di ordire piani di omicidio, essendo un uomo alla buona; tutta l’orazione è costruita in modo che la giuria sia indotta a percepire l’autodifesa di Eufileto come un racconto credibile e vero.
La moglie, di cui non conosciamo il nome, come ogni cittadina ateniese, si trova confinata e relegata in casa, mentre il marito è occupato in lavori agricoli fuori città; la moglie si occupa solo della gestione domestica e della crescita del figlio. Esce soltanto in rare occasioni, per partecipare al funerale di un parente o a qualche festa religiosa. Agli occhi del marito ella non appare così maliziosa e partecipe, ma vittima indifesa e passiva del seduttore.
Eufileto considera l’adulterio un oltraggio gravissimo non solo per la famiglia, ma per la città intera. Colui che seduce e spinge all’adulterio corrompe e rovina la donna, violando la sua proprietà. Eratostene viene presentato come un seduttore incallito, un professionista della corruzione delle donne.
Nell’exordium (prooìmion) vengono anticipate le linee generali dell’arringa di difesa e si cerca di ottenere la captatio benevolentiae dei giudici; Eufileto mira a procurarsela soffermandosi sulla gravità del reato di Eratostene e appellandosi all’atteggiamento concorde di tutta la Grecia riguardo all’adulterio.
Nella narratio (diègesis), Eufileto ricostruisce gli eventi precedenti all’omicidio, raccontando gli indizi che l’hanno indotto ad indagare.
Nell’argumentatio (bebaìosis) vengono addotte prove che servono a dimostrare la liceità dell’uccisione di Eratostene secondo la legislazione in vigore.
La refutatio (antìzesis) è il momento più delicato e difficile dell’orazione: Eufileto deve respingere o confutare punto per punto le accuse degli avversari, i famigliari di Eratostene.
Nella peroratio (epilogo), Eufileto ripercorre i punti principali della sua linea difensiva e tenta di coinvolgere i giudici: il suo è stato un gesto compiuto per la polis. Se Eufileto venisse dichiarato colpevole, tutti si sentirebbero meno protetti nella loro casa, e i seduttori, rimasti impuniti, sarebbero liberi di agire. Egli conclude ribadendo che rischia di essere condannato solo perché ha ubbidito alle leggi della città.

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