Isocrate nacque ad Atene nel 436 a.C. da Teodoro, proprietario di una fabbrica di flauti, ed ebbe un’accurata educazione. Si dedicò alla professione di logografo, che però tentò di tenere nascosta. Egli non fu un oratore politico come Demostene in quanto non gli interessava e non ne aveva i requisiti.
Attorno al 390 a.C. fonda la sua scuola, la quale ebbe un clamoroso successo in quanto l’insegnamento era molto importante all’epoca. Cicerone la chiama “carissima quasi rhetoris officina” e la paragona al cavallo di Troia, da cui uscirono i più forti guerrieri achei, dalla sua scuola infatti uscirono famosi e importanti personaggi, sia politici che tragediografi.
Le opere di Isocrate si dividono in logoi dikanikoi e logoi epideiktikoi.
- Discorsi giudiziari: sono sei, ma sulla loro autenticità si è in dubbio; vanno segnalati l’orazione “Sulla biga”, in difesa di Alcibiade il giovane, l’ “Eginetico”, su una questione di eredità, e il “Trapezitico”, sulla richiesta di restituzione di un deposito bancario.
- Discorsi epidittici: si dividono nei discorsi che fungono da modelli oratori per gli studenti, e nei discorsi di propaganda politica.
Importante testimonianza delle idee pedagogiche di Isocrate è l’orazione “Contro i sofisti”, attorno al 390 a.C., in cui sono contestate le altre forme di insegnamento allora in voga. Isocrate si oppone agli eristici, che promettono di guidare alla felicità, affermando che non è possibile per l’uomo prevedere il futuro; a coloro che pretendono di insegnare i discorsi politici attraverso schemi fissi; agli autori di technai retoriche, che si limitano all’oratoria giudiziaria. Qui inoltre definisce per la prima volta le competenze del maestro di retorica.
Il metodo didattico è esemplificato da due discorsi epidittici, l’ “Elogio di Elena” e il “Busiride”. L’ “Elena” si apre con una lunga polemica nei confronti di Antistene, di Platone e degli eristici e vuole definire le caratteristiche del genere “encomio”, prendendo spunto da uno scritto su Elena che, pur autodefinendosi encomio, in realtà era un’apologia. Isocrate definisce le caratteristiche del suo insegnamento, che non mira a una conoscenza precisa di cose inutili, ma a un’opinione relativa ad argomenti utili, attraverso la quale è possibile insegnare agli allievi ad agire come soggetti politici. Isocrate introduce poi un serie di exempla storico-mitologici, da che da un lato mostrano come si devono inserire gli exempla e quale estensione debbano avere, dall’altro hanno una precisa valenza politica; la guerra di Troia è presentata come la prima vittoria della Grecia unita sull’Asia.
Il “Busiride” – encomio del mitico re d’Egitto che usava sacrificare gli stranieri e che morì per mano di Eracle – è un’orazione in forma di epistola indirizzata al retore Policrate, autore di un “Elogio di Busiride”. Isocrate, fingendo di fornire consigli a Policrate, sottopone a critica la sua orazione, ottenendo il duplice scopo di insegnare la tecnica dell’encomio e di denigrare un concorrente.
Abbiamo poi il “Panegirico”, destinato alla lettura, che imita la forma dei discorsi d’apparato pronunciati in occasioni delle grandi feste panelleniche. Il discorso – la cui composizione impegnò Isocrate per 15 anni – era il più amato dall’autore. L’argomento è quello di ristabilire la concordia tra gli Stati greci e spingerli a combattere la Persia. I modelli sono l’ “Olimpico” di Gorgia e l’ “Olimpico” di Lisia. Troviamo al centro un ampio elogio di Atene; tra i concetti più significativi va ricordato quello relativo al nome dei Greci, che non designa tanto un popolo quanto una cultura, in particolare quanti hanno ricevuto l’educazione ateniese, e quello che contrappone i Greci, abituati a difendere la loro libertà, ai Persiani assuefatti alla schiavitù e quindi militarmente inferiori. Il titolo gli deriva dal fatto che sia fittizamente indirizzato ai Greci riuniti in paneguris, ovvero in un medesimo (Olimpia) luogo per un’occasione importante (la celebrazione delle feste quadriennali di Zeus). Con quest’ orazione Isocrate voleva spingere i greci ad unirsi contro i Persiani ( egli sostiene che nessuno degli scrittori lui precedenti aveva fatto un’analisi tanto chiara della politica e della storia ateniese).
Sostiene due tesi che già Erodono aveva sottolineato
- I greci erano abituati a difendere la loro libertà, mentre i barbari erano militarmente inferiori; 2. non è Greco chi è etnicamente greco ma chi lo è culturalmente (infatti la guerra non voleva difendere la Grecia territoriale, ma la cultura).
- Egli si pone in polemica con Sparta che aveva firmato la pace con il Gran Re, decretando la supremazia persiana in Asia e l’egemonia spartana sugli stati greci.
Nel frattempo i Tebani unificavano la Beozia e nel 373 distruggevano la città di platea, da sempre alleata di Atene. Isocrate prese spunto da questo fatto per scrivere il suo Plataico, presentandolo come un discorso fatto da un abitante della città sconfitta per chiedere aiuto contro Tebe ed elogiare la città di Atene esortandola ad una alleanza con Sparta. Ma, in vero, né Tebe, né Sparta, né Atene erano in grado di sostenere il ruolo di giuda contro l’ avanzata dei Persiani; fu in questo momento che Isocrate cominciò a studiare gli aspetti della monarchia: un re poteva unire la Grecia meglio di una città.
La guerra sociale indusse Isocrate a fustigare il dispotismo ateniese contrapponendola alla saggezza degli antenati, senza badare al fatto anch’ essi avevano abusato dei loro socii: l’orazione Sulla pace ribadisce questa sognante tendenza all’idealizzazione utopica del passato. La democrazia bramata da Isocrate era quella moderata dei conservatori e presupponeva una restaurazione dei valori morali tradizionali.
Nell’Areopagito, Isocrate consiglia di ridare all’Areopago, ridotto un secolo prima a tribunale per i delitti di sangue da Efialte e Pericle, l’antica funzione di controllo politico (cioè rimettere il potere nelle mani dei più ricchi).
Nel 354 un certo Megacleide, cui lo stato aveva imposto di armare a sue spese una trireme, aveva dichiarato che quella liturgia spettava a Isocrate e gli intentò un processo per lo scambio dei patrimoni. Secondo la legge attica, infatti, a chi veniva assegnato di sostenere un servizio pubblico era anche concesso di evitarlo indicando un cittadino più ricco di lui: se costui negava di essere più ricco poteva essere costretto, con un processo, allo scambio dei patrimoni. Isocrate, ricchissimo, perdé il processo ma volle ugualmente scrivere la sua difesa, dal titolo Antidosi o Sullo scambio dei beni, fingendo di rispondere alle accuse di un certo Lisimaco. Egli fa un’ apologia di tutta la sua vita inserendo elementi giudiziari, filosofici e anche didattici oltre che autobiografici.
La politica espansionistica di Filippo di Macedonia (che aveva già invaso i territori limitrofi e della Tracia) aveva diviso gli ateniesi: un partito capeggiato da Demostene che voleva combatterlo e un altro che cercava un accordo. Isocrate non aveva approvato la guerra: egli voleva che gli Ateniesi si alleassero con Filippo per muovere guerra alla Persia. Pubblicò a questo scopo il Filippo, una lettera aperta, in cui il re era proclamato discendente di Eracle ed era celebrato come condottiero e uomo politico eccezionale per ingegno e vigore, capace di unire i Greci.
Isocrate dovette rendersi conto che il progetto da lui vagheggiato era utopistico. A novantaquattro anni (per altri a novantasette) pubblicò il suo ultimo discorso, il Panatenaico, in cu finge di rivolgersi agli Ateniesi durante le feste di Atene e tesse di nuovo le lodi della città, cancellando l’impressione che egli fosse antiateniese. La lode è basata sul discorso con Sparta e a un certo punto Isocrate introduce un’innovazione raccontando che durante la composizione della sua opera erano venuto a trovarlo degli allievi. Ad uno di questi, che si dichiara filospartano, dice di aver chiesto un parere (viene inserito un dialogo come era avvenuto nell’Antidosi).
Isocrate sviluppa uno stile differente da quello degli altri oratori: egli non trasferisce sulla pagina lo stile “orale”, ma costruisce un stile “scritto” e in particolare un stile “periodico”: complesso, articolato, ampio, con molte subordinate, bilanciato in tutte le sue parti (da simmetrie, rispondenze ed antitesi), alieno da ogni scontro di suoi, da ogni iato, elisione o crasi. Tuttavia esso rimane piano, senza inversioni nell’ordine naturale delle parole e senza coloriture poetiche (metonimie o metafore). Nell’oratoria di Isocrate il movimento dei periodi è così lento ed armonioso da dar quasi l’impressione dell’immobilità. Egli non vuole emozionare o scuotere, ma convincere. Per alcuni questo non fu una merito, ma un grave limite: ritengono che i periodi schematizzati e ripetitivi, senza imprevisto o novità, possa solo annoiare il lettore, molti, già nell’antichità, non avevano apprezzato la produzione di Isocrate considerandola senile e pedante. A differenza di Gorgia egli non si serve di periodi brevi e non affolla di figura le sue frasi, ma le impiega avvedutamente, in punti strategici (chiasmo, rima, e amplificazione sinonimica). L’effetto complessivo è di nobiltà e decoro, di misura e persuasività, di fermo controllo dei pensieri e dei sentimenti.
Per Isocrate la forma era importante quanto i contenuti e allora anche di più: impiegò dieci anni a comporre il Panegirico, spesi ad aggiornarlo e a limarlo. Ecco perché una parte della critica ha sempre considerato Isocrate soprattutto un retore. A questa critica si può opporre che gli obiettivi di Isocrate non erano legati ad un breve periodo, ma riguardavano un volta epocale: per essere liberi occorre essere indipendenti e per essere indipendenti occorre essere uniti, anche a costo di sacrificare una parte della propria autonomia. Isocrate è riuscito a guardare oltre i confini della polis e oltre i confini della Grecia, dimostrando una lungimiranza politica quale solo i grandi uomini sanno avere.