Titolo: Il titolo “Troiane”ci rimanda alle donne della città di Troia, è un titolo piuttosto generico e alla caduta della città di Troia, una fase precedente rispetto a quelle trattate nelle altre tragedie.
Trama: Il prologo è recitato dal dio Poseidone che narra l’incendio della città di Troia. Con la fine della città i vincitori oltre che saccheggiare la città decidono quale deve essere la sorte delle donne prigioniere. Esse vengono sorteggiate per essere assegnate ai vincitori come bottino di guerra. Ecuba si ridesta dal suo torpore ed esprime la sua angoscia per il futuro; invita poi le altre donne ad unirsi nel suo lamento. Le donne Troiane formano un coro di lamentazioni. Ecuba, moglie di Priamo, è quella che ha subito più disgrazie, ha infatti visto morire i suoi figli, che erano stati protagonisti delle varie aristie, combattimenti tra eroi. I 50 figli di Priamo erano tutti stati in prima linea in quanto principi. Ettore è il più famoso ma ci sono anche altre figure che vengono ricordate nel poema, esse hanno lo scopo di esortare a combattere, sono delle ombre che appaiono in sogno.
Nel primo episodio appare un araldo che annuncia ad Ecuba l’assegnazione per sorteggio e la destinazione delle varie donne. Come nella altre tragedie si procede per anticipazioni, i lamenti e le angosce sono una anticipazione di ciò che avverrà successivamente. Il lettore è così preparato nel frattempo ad aspettarsi qualcosa in particolare, come nella “Medea”.
o Cassandra tocca in sorte ad Agamennone (lo abbiamo già visto nell’ “Orestea”).
o Polissena tocca in sorte ad Achille.
o Andromaca tocca in sorte a Pirro Neottolemo, figlio di Achille.
o Ecuba tocca in sorte ad Odisseo.
Non solo le donne più giovani, anche quelle anziane sono quindi vittime della guerra.
Nel secondo episodio Ecuba viene a sapere che Polissena, sua figlia, è stata sacrificata sulla tomba di Achille. Viene anche annunciato ad Ecuba che non solo diverrà schiava dei greci ma anche che dovrà sacrificare Astianatte. Il piccolo viene gettato giù dalle mura di Troia per eliminare totalmente la dinastia ed impedire che da Astianatte possa ritornare a Troia la stessa stirpe. Ecuba aveva visto Priamo sgozzato presso gli altari e le varie morti dei suoi figli.
Nel terzo episodio c’è uno scontro verbale per quanto riguarda la figura di Elena. Elena ed Ecuba dialogano alla presenza di Menelao. Le donne discutono sul ruolo che ha ricoperto Elena nella guerra di Troia. La figura di questa giovane donna è piuttosto discussa. Elena si difende dicendo che in realtà la guerra non è dipesa da lei. Lei era stata involontariamente scelta da Paride come più bella. Quindi tutto per Elena è dipeso dagli dei e dalla scelta di Paride. Ecuba invece la accusa ritenendola la causa dei mali che hanno afflitto la sua famiglia e la sua città.
Nell’esodo Astianatte muore e gli vengono resi onori funebri.
Temi: Quello che è centrale nella trama è la sorte che hanno avuto le donne dopo la guerra di Troia. Il tema più importante è la GUERRA, ma non come quella vista nell’”Iliade” cioè come un’occasione per l’eroe per mettere in luce il proprio onore. Non si esaltano la fama e la timè, qui si vede il riflesso che la guerra ha sulle famiglie, sulle donne, su chi la guerra non la combatte.
Questa concezione della guerra la ritroviamo in Virgilio, dove la guerra è presentata dal punto di vista dei vinti, non più da quello dei vincitori. La guerra è deprecata, infatti una delle parti più sentite dell’opera virgiliana è quella in cui l’autore presenta la lista dei giovani morti in battaglia (Lauso, Pallante, la vergine Camilla). In quell’episodio si sente lo strazio di chi vive le tragedie e di chi muore in battaglia in giovane età.
È totalmente diversa la visione di Tirteo che ritiene che la morte in battaglia da giovane sia motivo di ammirazione e di vanto. Con Euripide, dopo alcuni secoli dall’epica omerica, comincia ad affermarsi il senso di inutilità della guerra vista come lutto e come dolore.
Siamo lontani dall’”Agamennone” di Eschilo dove la guerra di Troia è vista come un atto di giustizia. In Eschilo tutto ciò che avviene è spiegato come realizzazione della dike, della giustizia divina.
Con Sofocle ed Euripide le cose cambiano, il destino è spesso imperscrutabile e la scelta che gli dei fanno è numerosamente criticata da Euripide.
“Stolto è tra i mortali colui che distrugge le città e abbandona alla desolazione i templi e le tombe, sacre dimore dei morti: egli stesso in seguito è destinato a perire”
La guerra è insensata e porta solo dolore e distruzione.
Le donne: la guerra è vista attraverso il punto di vista femminile, protagonisti non sono gli uomini, insignificanti in questa tragedia. Gli unici due uomini presenti nella scena sono Menelao è la vittima che affronta la guerra a causa della moglie e l’araldo, figura ricorrente nella tragedia perché riporta fatti che non potevano essere rappresentati sulla scena. L’analisi psicologica è però incentrata sui personaggi femminili.
o Ecuba, personaggio principale della tragedia, è madre di Polissena, di Paride e di Ettore, è suocera di Andromaca. È proprio suo figlio che ha scelto di rapire Elena e di scatenare quindi la guerra. All’inizio ci viene presentata questa donna completamente prostrata a terra, che si duole, che si sposta da un fianco all’altro, immagine ricorrente di chi cerca di lenire il dolore. Questa immagine ci da l’idea dello stato di sofferenza di Ecuba. La donna enumera poi in un monologo tutte quelle che sono state le sue disgrazie per accentuare il senso di dolore. Lei, moglie di Priamo e regina, a causa della guerra di Troia, oltre ad aver perso marito, figli e figlie vede sé stessa imprigionata e ridotta a schiava. Quello che Andromaca aveva predetto per sé stessa e per suo figlio riguarda anche Ecuba.
o Cassandra, personaggio già presentato da Eschilo come delirante, come una donne che cade in trans, danza, si agita. Qui Cassandra anticipa la morte di Agamennone per mano di Clitemnestra ed Egisto. Cassandra, recandosi alla reggia di Agamennone, è causa anche lei dell’accanimento di Clitemnestra nei confronti del marito. Viene assimilata alla figura di Elena, così come Elena è causa della distruzione della sua e delle altrui famiglie, così anche Cassandra contribuisce alla distruzione della famiglia di Agamennone.
o Andromaca, presentata da Omero come la moglie che vorrebbe mantenere unita la famiglia. Vorrebbe che il marito desse priorità agli affetti familiari. È una donna che si realizza all’interno della casa, come madre e come moglie. In questa tragedia viene colpita nel vivo del suo ruolo di donna e di madre perché le viene strappato il figlio Astianatte che poi verrà ucciso.
o Elena, descritta da Euripide, così come da Platone e da Isocrate, come donna bella e seducente per mettere in evidenza proprio quella bellezza che è stata la causa della guerra. C’è contrasto tra la sua bellezza e la sua eleganza e il senso di dolore che caratterizza le donne troiane che si sono tagliate i capelli e sono vestite a lutto. Nel dialogo con Ecuba Elena cerca di discolparsi. Alla fine convince il marito di non essere stata lei la causa della guerra ed ottiene il perdono.
Parte finale: Il finale è spettacolare, ha dei tratti oleografici, ha un finale banale, scontato, stereotipato. Ecuba vorrebbe gettarsi sul rogo e bruciare insieme alle fiamme che stanno pervadendo tutti gli edifici della sua città. Il fuoco che caratterizza la parte finale della tragedia richiama l’inizio del mito, in particolare un sogno avvenuto alla nascita di Paride. Quando stava per nascere Paride aveva sognato un tizzone ardente e, facendo interpretare il sogno, le era stato predetto che avrebbe partorito un figlio che sarebbe stato causa della rovina della sua famiglia e della sua città. Per questo motivo Alessandro Paride era stato abbandonato ed aveva vissuto tra i pastori. Il fuoco che avvolge la città e il desiderio di Ecuba di finire la vita con la sua città ci rimandano al mito iniziale.
Le divinità: In questa tragedia troviamo come divinità solo Poseidone. Il dio anticipa quella che sarà a sorte dei troiani che hanno ormai perso la guerra. C’è un senso di accettazione del destino che appare qualcosa di ingiusto e imperscrutabile. Secondo Euripide la divinità non è sempre garante di giustizia. C’è un senso di sfiducia, qualcuno ritiene addirittura che Euripide possa essere ateo. Ecuba smaschera amaramente questa dimensione sgradevole della fede negli dei, ridotta al rango di improbabile medicina doloris o a semplice precaria illusione:
“Oh dei. Cattivi alleati sono questi che io invoco, tuttavia ha una sua dignità invocare gli dei, quando uno di noi incorra in una sorte sventurata”
“Ah dei. E perché invoco gli dei? Anche prima non ascoltarono, quantunque invocati”
Quando invece Saffo soffre per amore invoca Afrodite come alleata per avere la forza di sopportare il mal di cuore. Gli dei, che nel mondo antico erano visti come alleati degli uomini e li soccorrevano nel momento del bisogno, ora vengono messi in discussione. Vedendo che la sorte è tragica Ecuba si chiede dove sia la divinità e perché non la stia aiutando.
Qui la fede ostinata in una Teodicea, in un rapporto tra giustizia e divinità, coesiste con la convinzione dell’assoluta indecifrabilità del divino. L’indecifrabilità degli dei di Sofocle è quindi condivisa anche da Euripide che però si permette di accusare e criticare gli dei per la presenza del male sulla terra.
Teodicea: branca della teologia che si occupa del rapporto tra la giustizia divina e il male che esiste sulla terra. Come si può giustificare se dio è veramente giusto la presenza del male sulla terra.
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