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Civiltà del libro e il rapporto artista-corte in età ellenistica

Con il diffondersi delle biblioteche durante l’età ellenistica (le più importanti si trovavano a Pergamo, Antiochia e Pella), si inizia a parlare di “civiltà del libro”. Si tratta di una civiltà che dà un’importanza sempre crescente al testo scritto e alla sua conservazione: il passato letterario inizia a giocare un ruolo sicuramente non indifferente e la trasmissione della cultura e del sapere diventa un punto cruciale e di obbligata menzione per comprendere la civiltà del tempo.

Si parla di una vera e propria “tesaurizzazione” del libro, che veniva visto come una fonte inestimabile di ricchezza. Proprio lo stesso sovrano decide di patrocinare le attività culturali e per questo egli si definisce “evergete”. Non si tratta dunque soltanto di un cambiamento culturale, ma anche di un progetto politico.

A questo proposito è necessario nominare un altro aspetto di questa civiltà, ovvero quello dell’artista di corte.
Nell’età classica, infatti, l’artista era tenuto a relazionarsi con la polis tutta e il committente dell’opera, ovvero la città, costituiva anche il fruitore del prodotto culturale. Questo accadeva perché nella polis tutto avveniva in una dimensione collettiva (si pensi anche alla sfera dell’eteria nei simposi). L’artista ora deve sottostare alle regole di una committenza più elitaria, accomunata da un simile background sociale e culturale e, a differenza di quanto avveniva nella polis, più dotta.
Oltre al rapporto col pubblico cambia anche, come si è visto, la modalità di composizione delle opere che da un contesto orale-aurale si sposta su un piano meno immediato, tramite quindi il medium del libro.

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