
Chi ha avuto modo di conoscerlo sa che non è possibile inquadrarlo in una sola etichetta. Economista, filosofo, imprenditore, manager, antropologo, analista? Niente di tutto questo o forse, semplicemente, la sintesi di tutto questo.
Beniamino Bedusa, romano “espatriato” a Milano per professione, una figlia ed un numero di esperienze lavorative che non bastano le dita delle mani per contarle, è il Presidente di Great Place to Work, l’azienda che dà i voti alle altre aziende ed ha il cambiamento nel suo DNA.
Come trovare il lavoro ideale? I consigli dell'esperto
"Quando finisce un ciclo io devo cambiare. Sento l’attrazione del nuovo, di altre cose da imparare, di contesti sconosciuti nei quali portare la mia esperienza e dai quali apprendere nuove lezioni" – racconta Beniamino (per me, che lo conosco da tempo, da sempre “Ben”).
- Gestire la ferramenta di famiglia non era nel tuo destino.
"I miei genitori hanno raggiunto l’Italia da profughi libici, di fede ebraica. Dall’oggi al domani, perseguitati in patria, si sono reinventati un futuro costruendo da zero la loro nuova vita a Roma, dove sono nato.
Prima hanno vissuto in un campo profughi, poi mio padre ha iniziato a vendere enciclopedie, si è conquistato con le proprie mani tutto quello che ha costruito, compresa la ferramenta di famiglia. Sono molto grato ed orgoglioso per quello che hanno fatto, ma gestire un’attività commerciale al dettaglio non faceva proprio per me.
Io volevo studiare ed affermarmi per le mie idee."
- E come hai scelto i tuoi studi?
"Sono stato il primo della famiglia a laurearsi. Gli inizi sono stati difficili, mi sentivo “chiuso” dalla rigidità della scuola pubblica così, a partire dalle scuole medie, ho frequentato una scuola internazionale che mi ha portato fino al diploma.
Una sorta di scientifico, ma con insegnamenti esclusivamente in lingua inglese. Poi ho scelto Economia…perché? Razionalmente pensavo che fosse la laurea che poteva aprirmi maggiori opportunità lavorative, anche se ho scoperto ben presto che non si vive di soli numeri.
Per caso frequentai un corso di Organizzazione aziendale e rimasi affascinato nello scoprire che le persone e la cultura possono incidere sul business, più dei numeri stessi!"
- E’ stata questa esperienza ad instradarti verso le Risorse Umane?
"Ero attratto da quel mondo e nel cercare il primo lavoro mi lasciai influenzare, scelsi un’esperienza nell’ufficio HR di una banca. Poi seguii il richiamo delle mie passioni, i fumetti e, soprattutto, il cinema. Una famosa casa cinematografica ricercava un segretario di produzione.
Partecipai alle selezioni, convinto che non avrebbero di certo scelto me, tra centinaia di candidati. E invece fui selezionato."
- Sei stato fortunato a vivere, così giovane, il tuo sogno.
"Molto fortunato: ho capito che dietro un sogno ci sono delle illusioni e che scoprirle ti fa crescere. L’output prodotto in quel contesto era pazzesco, di qualità inarrivabile.
Ma il contesto organizzativo mi deluse, non mi offrì gli stimoli attesi. Il mio sogno si disvelò nella sua nuda realtà, dopo poco me ne andai e compresi che le scelte lavorative devono partire da basi razionali. Seguire l’intuito ed il cuore può farti fare degli errori."
- E quali sono, secondo la tua esperienza, le basi per scegliere un lavoro?
"Capire che cosa si sta cercando, quali sono le nostre motivazioni, le nostre aspettative. E, una volta compreso questo, valutare l’azienda e le persone per le quali andrai a lavorare acquisendo quante più informazioni possibili, in modo certo ed affidabile.
Per scegliere un lavoro non basta essere attratti da un bell’ufficio o dal colloquio con il tuo futuro capo. Occorre cercare referenze, parlare con chi ha esperienza diretta, sottoporre ogni aspetto ad una valutazione oggettiva. Soltanto in questo modo si posso evitare future delusioni."
- Dopo l’esperienza nel cinema, le tue scelte professionali sono state fatte in questo modo?
"Purtroppo non sempre ed infatti ho pagato anche scelte sbagliate. In Groupon ero entrato da Direttore HR con l’ambizione di aiutare l’azienda che stava crescendo più velocemente al mondo…ma chi mi assunse se ne andò poco dopo ed mi ritrovai in un ambiente culturalmente molto lontano da me
In Trussardi idem, mi trovai a fare cose completamente diverse da quelle per le quali avevo scelto di andare e lasciai velocemente, con qualche ferita addosso."
- In un percorso di successo ci sono anche dei fallimenti a quanto pare. Come li hai superati?
"Quando lavoravo in Autostrade ebbi l’idea di fondare una start-up che si occupava di economia cognitiva. Presi un periodo di aspettativa per dedicarmi a questo progetto che fallì dopo poco. Ancora oggi credo che quello sia stato uno dei momenti più formativi del mio percorso.
Capii che si poteva sbagliare e che gli errori sono parte della vita. Quando si cade si riflette sull’accaduto, ci si rialza e si riparte più forti di prima. Auguro a tutti di sperimentare, prima o poi, un fallimento."
- Sarà anche per questo che sei una sorta di recordman del cambiamento. Il tuo CV ha più capitoli dei Promessi Sposi!
"Sono fatto così…mi motiva il cambiamento, la voglia di apprendere, di sperimentare. Finito un ciclo inizio a perdere motivazione e cerco nuove sfide, nuovi contesti dove portare le mie competenze e dai quali imparare cose nuove.
Ho avuto esperienze lavorative bellissime che in pochi avrebbero lasciato. In Autostrade sono entrato per la prima volta in una grande azienda, ho seguito progetti HR molto stimolanti, sono cresciuto come manager, ma dopo pochi anni sentivo di non avere più stimoli ed ho cercato altro.
Mi hanno proposto un “assegno in bianco” per restare, ma non sono mai stati i soldi a segnare le mie scelte."
- E poi ConTe.it, Doing, Moleskine, Pinko…e non so quante altre aziende dove hai ricoperto il ruolo di HR Director. Le hai lasciate tutte tu?
"Esperienza belle e gratificanti, ma sono stato sempre io a decidere di andarmene. ConTe.it era una start-up assicurativa di una multinazionale che ho portato in tre anni da 200 a 500 dipendenti. In Moleskine dovevo aiutare un passaggio culturale dop la quotazione in borsa.
L’AD di Pinko l’ho conosciuto in un pub, aveva un bel progetto di cambiamento e l’ho seguito…mi sono addirittura trasferito in provincia (Fidenza, ndr).
Ogni volta, finito il ciclo di cambiamento che dovevo guidare, ho lasciato per aprirmi a nuove sfide. Ah, sono stato anche in Ernest Young come Executive Director…"- Fino a diventare imprenditore in Great Place To Work (GPTW)
"Una nuova dimensione, per me inaspettata, ma estremamente interessante. Conoscevo GPTW da cliente, l’avevo “chiamata” a supportarmi nelle aziende dove sono stato Direttore HR. Ne avevo grande stima.
Così quando si è presentata l’opportunità di subentrare ad un socio uscente ho deciso di investire. Ed oggi mi trovo a fare sia l’imprenditore che il manager: siamo una piccola realtà, devo occuparmi non soltanto degli aspetti societari e di business, ma anche di seguire i clienti ed i progetti che proponiamo…oggi ne abbiamo oltre 400 ed il nostro fatturato, in breve tempo, è raddoppiato."
- GPTW è una delle certificazioni più ambite in ambito HR. Quale è la vostra forza?
"Noi valutiamo le aziende (lato HR) nell’unico modo per me possibile: ascoltando tutte le persone, in modo anonimo e confidenziale. Ascoltare è l’unico metodo per comprendere la realtà.
Noi trasformiamo l’ascolto in numeri, i numeri in indicatori e gi indicatori in feedback utili al management per decidere dove intervenire per migliorare. Si misura il livello di ingaggio, di fiducia che i dipendenti hanno verso l’azienda, ma lo si fa partendo da una base razionale, non soggettiva e, soprattutto, che rappresenta la maggioranza delle persone."
- Da osservatore privilegiato, quale è il tuo parere sul mondo del lavoro in Italia?
"Gli indicatori italiani sono, purtroppo, tra i peggiori in Europa, come dimostra la nostra ricerca “European Workforce Study 2025”: siamo ultimi come gradimento delle aziende da parte dei dipendenti, ultimi come fiducia nella leadership, primi nell’indicatore di chi vuole cambiare lavoro…un livello manageriale basso crea distanza dalle persone e la distanza crea sfiducia.
"Una situazione difficile, ma che crea spazi per creare valore. Personalmente vedo un grande sforzo di cambiamento da parte di tutte le aziende con le quali lavoriamo che sempre, dopo il primo progetto, decidono di proseguire.
Per ottenere la nostra certificazione occorre superare il 60% di gradimento e non tutti riescono ad arrivarci, ma continuano ad investire per farlo.
C’è la volontà di cambiare le cose."
- In un quadro così preoccupante, che consigli puoi dare ad uno studente che cerca il suo “great place to work”?
"Primo: capire che non esistono aziende buone o meno buone. Il parametro di valutazione siamo noi stessi: i nostri obiettivi, le nostre esigenze, le nostre motivazioni.
Il primo passo è scoprire che cosa vogliamo dal lavoro. Secondo: valutare quanto l’azienda corrisponda alle nostre aspettative.
Per farlo è fondamentale informarsi in tutti i modi possibili: acquisendo informazioni, parlando con le persone, facendo confronti.
La scelta di un lavoro ha sicuramente un che di istintivo, ma suggerisco di affidarsi sempre ad elementi razionali, oggettivi e confrontabili…e, perché no, anche alle classifiche di GPTW!"
Gregorio Moretti
Sono nato nel 1980, laureato in Teorie della Comunicazione, da oltre 20 anni mi occupo di persone nelle aziende