Fabrizio Del Dongo
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Concetti Chiave

  • In italiano esistono cinque vocali principali: a, e, i, o, u, classificate in gutturali e palatali a seconda della loro articolazione.
  • Le varianti di e e o, non presenti nell'alfabeto, si distinguono in suoni chiusi e aperti, rappresentati graficamente come [è], [é], [ò], [ó].
  • La difficoltà nel distinguere le vocali aperte e chiuse in italiano è dovuta all'assenza di indicazioni ortografiche, rendendo necessario l'uso di dizionari per il corretto riconoscimento.
  • Il timbro delle vocali può alterare il significato delle parole, come visto in coppie omofone quali pésca/pèsca, dove il timbro differenzia l'attività dal frutto.
  • La diversità di tono nelle vocali [e] e [o] in italiano ha origine dal latino, dove la distinzione era basata sulla quantità delle vocali, con le vocali brevi e lunghe differenziate dal timbro.

Indice

  1. Informazioni generali
  2. Altre due vocali non presenti nell’alfabeto
  3. Distinzione fra vocali aperte e chiuse
  4. Motivazione della diversità di tono all’interno delle vocali [o e [e]

Informazioni generali

Nella lingua italiana esistono cinque vocali: a, e, i o, u. Si distinguono vocali gutturali e palatali.
• La [a] e la sono gutturali. Per pronunciare la [a], la cavità della bocca fa da risonanza e l’emissione della voce parte dalla gola e si allarga; per pronunciare la , la bocca si restringe al massimo, ma l’emissione gutturale del suono rimane.
• La [e] e la sono palatali perché nella pronuncia viene coinvolto anche il palato.
Per rappresentare graficamente i suoni possiamo immaginare un triangolo equilatero:
• al vertice, in alto, poniamo la lettera [a],
• ai vertici di base, collochiamo rispettivamente, a sinistra la e, a destra, la .
• sui due lati obliqui, fra la [a] e la , si trova la [e], mentre, fra la [a] e la , si colloca la [o].

Altre due vocali non presenti nell’alfabeto

La pronuncia dell’italiano dispone anche di altre vocali, non presenti nell’alfabeto; si tratta delle vocali e e o che possono, rispettivamente un suono chiuso e un suono aperto, per un totale di quattro suoni. Se necessario i quattro suoni così ottenuti si trascrivono nel modo seguente: [è], [è], [ò], [ó]. Si parla anche di suono chiuso o aperto oppure suono stretto largo. La [è] e la [ò] sono più vicini alla [a], mentre la [e] la [ó] sono più vicini rispettivamente alla e alla . Il della pronuncia larga o stretta è chiamato timbro.

Distinzione fra vocali aperte e chiuse

La distinzione fra vocali aperte e chiuse costituisce una delle maggiori difficoltà dell’italiano parlato, fatta distinzione per i Toscani che per tradizione sono abituati a distinguere i due suoni. Il problema della doppia pronuncia si ha quando la o o la e sono toniche; se invece, sono atone il suono e sempre piuttosto breve e chiuso: es. f[e]rir[e]. Non esiste una regolare per stabilire quando si tratti di una vocale chiusa o aperta, anche perché l’ortografia italiana non indica il timbro aperto o chiuso che sia. È l’uso che ci aiuta, oppure il dizionario che segna in modo diverso il timbro. Può anche succedere che un termine con la vocale aperta abbuia un significato e con la vocale chiusa ne acquisti un altro. Questo è il caso di pésca/pèsca in cui l’attività di pescare si oppone al frutto, di pésco/pèsco, in cui la prima parola è la 1.a persona del presente indicativo del verbo “pescare, mentre la seconda è l’albero da frutto che produce le pèsche. In questo caso, si parla di parole omofone, con timbro vocalico diverso.
Alcuni esempi: si dice stélle e non stèlle, bène e non béne, Còmo e non Cómo, légno e non lègno, èrba e non érba

Motivazione della diversità di tono all’interno delle vocali [o e [e]

La distinzione di tono fra [è] e [è], fra [ò] e [ó] non è frutto di un capriccio linguistico. Il timbro deriva dall’originaria parola latina. In latino le vocali si distinguevano in funzione della quantità, cioè potevano essere brevi [ĕ] oppure lunghe [ē]. La vocale breve aveva un timbro aperto, mentre la vocale lunga aveva un timbro chiuso. L’italiano, ha perso la nozione di quantità ma ha conservato quella di timbro. Pertanto la [ĕ] latina, in italiano è diventata [è] e la [ē] è diventata [è]. Esempio: latino brĕvis > italiano brève, latino tēle > italiano téla. Ovviamente esistono anche eccezioni, come sempre, soprattutto nel caso di parole dotte.
Lo stesso procedimento hanno seguito le vocali latine [ŏ] e [ō]. Esempio: latino hŏrtus > italiano òrto, latino fōrma > italiano fórma.

Domande da interrogazione

  1. Quali sono le vocali presenti nella lingua italiana e come vengono classificate?
  2. Nella lingua italiana ci sono cinque vocali: a, e, i, o, u. Si distinguono in vocali gutturali e palatali.

  3. Quali sono le vocali italiane non presenti nell'alfabeto e come si distinguono?
  4. Le vocali non presenti nell'alfabeto sono varianti di e e o, che possono avere un suono chiuso o aperto, trascritte come [è], [é], [ò], [ó].

  5. Perché la distinzione tra vocali aperte e chiuse è difficile per chi parla italiano?
  6. La distinzione è difficile perché l'ortografia italiana non indica il timbro aperto o chiuso, e non esiste una regola fissa; l'uso e i dizionari aiutano a distinguere.

  7. Come influisce il timbro delle vocali sul significato delle parole in italiano?
  8. Il timbro può cambiare il significato delle parole, come in pésca/pèsca, dove il timbro distingue tra l'attività di pescare e il frutto.

  9. Qual è l'origine della diversità di tono nelle vocali [e] e [o] in italiano?
  10. La diversità di tono deriva dal latino, dove le vocali si distinguevano per quantità: brevi con timbro aperto e lunghe con timbro chiuso. L'italiano ha mantenuto il timbro ma non la quantità.

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