Concetti Chiave
- Il conflitto armato danneggia le economie dei paesi coinvolti, ma favorisce l'industria bellica di nazioni come Stati Uniti, Russia e Cina.
- L'industria delle armi rappresenta un settore economico significativo con un giro d'affari di 100 miliardi di dollari l'anno.
- Nel periodo 2008-2012, i principali esportatori di armi erano Stati Uniti, Russia, Germania, Francia e Cina, coprendo il 75% delle esportazioni globali.
- I paesi in via di sviluppo, come India, Cina e Pakistan, sono i principali acquirenti di armamenti.
- Le spese militari sottraggono risorse a settori essenziali come istruzione e sanità, alimentando le disuguaglianze sociali.
Le conseguenze economiche dei conflitti
Le guerre danneggiano gravemente le attività economiche dei paesi coinvolti, ma ci sono Stati e potenti lobby che dalle guerre traggono guadagni enormi perché producono e vendono armi in tutto il mondo: Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Germania, Israele, Cina e Italia sono solo alcuni dei Paesi in cui l’industria delle armi riveste un ruolo economico rilevante (un giro d’affari di 100 miliardi di dollari l’anno).
Infatti nel periodo 2008-2012, Stati Uniti, Russia, Germania, Francia e Cina hanno rappresentato insieme il 75% del volume delle esportazioni di armi. I principali clienti restano i Paesi in via di sviluppo: fra tutti primeggiano l’India, la Cina e il Pakistan. Produzione e vendita rispondono a una domanda in costante crescita: le spese militari, solo nel 2012, ammontavano a 1756 miliardi di dollari. Risorse sottratte all'istruzione, ai servizi sociali, sanitari e culturali, le sole armi in grado di sconfiggere la povertà perché: «ogni arma da fuoco prodotta, ogni nave da guerra varata, ogni missile lanciato significa, in ultima analisi, un furto ai danni di coloro che sono affamati e non sono nutriti, di coloro che hanno freddo e non sono vestiti. Questo mondo in armi non sta solo spendendo denaro. Sta spendendo il sudore dei suoi operai, il genio dei suoi scienziati, le speranze dei suoi giovani» (parole pronunciate nel 1953 da Eisenhower, allora presidente degli Stati Uniti).